Puglia: avventura in Capitanata , stupore e bollicine

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5 febbraio 2019
destinazione: Italia

Una terra profondamente legata al sovrano passato alla storia come Stupor Mundi, un paesaggio grandioso, dove campi ben pettinati sembrano toccare il cielo, e vini grandiosi. La Capitanata ci aspetta, andiamo a scoprirla.

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Capitanata o Daunia?
La prima buona notizia è che sarete voi a scegliere il nome della vostra destinazione. Direte di essere in Capitanata, se vorrete far riferimento all’antica area amministrativa che, dai tempi di Federico II al XIV secolo, comprendeva il territorio di Foggia. In questo modo, vi lancerete anche in un piccolo esercizio filologico, perché il termine Capitanata deriva dal greco-bizantino catepano (“colui che sta al di sopra”), da cui discende anche il nostro capitano. Se, invece, voleste rendere omaggio agli antichi abitatori di questi luoghi, e risalire ai tempi della Magna Grecia, racconterete agli amici di aver fatto un viaggio in Daunia, la terra dei Dauni, il popolo che abitava la Puglia settentrionale. Le due aree in realtà non si sovrappongono perfettamente, ma non importa. Seguendoci nell’itinerario di questo articolo, non correte il rischio di sconfinamenti.

L’invenzione dell’aperitivo

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Su Federico II si sono dette così tante cose (e quasi sempre belle) che non suonerà blasfemo giocare un po’ con questo personaggio, tra i più importanti del Medioevo. Di sangue svevo, Federico è davvero cittadino del mondo: nasce a Jesi, nelle Marche, trascorre l’infanzia a Palermo e in età adulta si innamora della Puglia, tanto da venir definito dalle fonti Puer Apuliae, il figlio della Puglia. Dissemina l’Italia meridionale di palazzi e castelli (Castel del Monte è il più celebre), tiene la corte a Foggia e non manca, da vero Stupore del mondo, di lasciare traccia di sé in Capitanata. Un esempio su tutti: quando caccia un enorme cinghiale, dà un banchetto e, a modo suo, inventa l’aperitivo, perché i cronisti raccontano che ‘aperuit coenam’, ‘aprì la cena’. Da questo motto deriva il nome del comune di Apricena, qui nel Foggiano.

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Il modo migliore per esplorare questo territorio è fare una breve escursione a Castelpagano. Dotatevi di buone scarpe e preparatevi a scarpinare per una mezz’ora lungo un sentiero acciottolato, tra vacche podoliche e cavalli al pascolo. All’improvviso, dopo un saliscendi, comparirà ai vostri occhi il profilo delle rovine di Castelpagano e, sullo sfondo, la distesa sterminata dei campi di grano del Tavoliere. Nelle giornate terse, lo sguardo si spinge lontano, fino ai rilievi innevati della Maiella.

Ma che cos’è questo castello e perché si chiama così? Bene, la sua origine si perde nella notte dei tempi, ma a noi interessa sapere che Federico II lo fece restaurare trasformandolo in un maniero da caccia e lo dotò di una guarnigione di fedeli soldati saraceni – da cui deriverebbe il toponimo ‘pagano’. Due consigli a questo punto: attenti a non confondere questo luogo con il paese di Castelpagano, che si trova in provincia di Benevento. E non fatevi troppo suggestionare dallo Stupor mundi: secondo gli storici, infatti, Federico fece restaurare il castello, ma non ci mise mai piede.

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Prima di passare alla tappa successiva, urge un po’ di ristoro. A Torremaggiore fate una salto al ristorante Le Tre Volte e sperimentate le delizie dei menu di terra e di mare. Delle favolose orecchiette con marasciuoli (un’erba spontanea della Daunia) e acciughe farete il bis, ma non preoccupatevi… sono gli inconvenienti del mestiere.

La profezia della porta di ferro

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Puoi stupire il mondo e costruire castelli, ma se sei un imperatore del Medioevo non devi sottovalutare le profezie. Federico II non commise l’errore e quando si trovò a letto, in preda alla dissenteria, e soprattutto in prossimità di una porta dagli stipiti di ferro, capì che il suo astro stava per tramontare. A pronunciare la terribile profezia per cui sarebbe morto ‘presso una porta ferrea in un luogo che ha il fiore nel nome’ era stato un dignitario della sua corte, l’astrologo Michele Scoto. Federico si tenne per questo sempre lontano da Firenze, ma quando si ammalò durante una caccia non potè impedire di essere trasportato nella sua domus nel territorio di Fiorentino, non lontano dal confine col Molise, dove morì il 13 dicembre 1250. Oggi gli scavi della domus sono visitabili, ma al tramonto l’emozione più grande è regalata dal cippo che ricorda la morte del grande svevo.

Appuntamento con la Dama forestiera

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A questo punto ci vuole un buon calice di vino. Fate un salto a San Severo e perdetevi, letteralmente, nella cantina d’Araprì. Attenti, però, a non mancare l’appuntamento con la Dama forestiera! Ora vi diremo come…

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Questo luogo magico si apre, come una ragnatela sotterranea, nel sottosuolo del paese, accorpando una serie di cantine preesistenti. Qui il vino non si degusta soltanto, ma si fa. Partecipare a una visita guidata (alla fine la preparazione degli spumanti metodo classico non avrà più segreti per voi) e poi assaporate una delle bottiglie dedicate alla gentildama inglese Elisa Croghan: è lei la dama forestiera che dà il nome all’etichetta di questo favoloso nettare prodotto solo in bottiglie Magnum e solo qui alla cantina d’Araprì. La dama è amata ancora oggi, perché fu legata a Michele di Sangro, l’ultimo principe di San Severo, e donò alla comunità un vigneto considerato tra i più estesi d’Italia.

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