Il bel rosé celebrativo di D’Araprì

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Scritto da: Alberto Lupett             24 giugno, 2019

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In Italia abbiamo un difetto: quando un qualcosa sembra avere successo, tutti cavalcano ossessivamente il fenomeno con il risultato che, dopo non molto, il prodotto è talmente inflazionato da perdere quasi tutto il suo appeal verso il grande pubblico. Il mondo del vino, purtroppo, di questi casi è pieno e l’ultimo sembra essere quello degli spumanti. In che senso? Nel senso che oggi la bollicina piace, è sulla cresta dell’onda, quindi eccoci a spumantizzare di tutto, dalla Val d’Aosta fino alla Sicilia, anche con varietà che sono tutt’altro che vocate alla rifermentazione. Risultato: mercato invaso da troppi vini spumanti, con molti di questi che alla meno peggio sono delle evidenti forzature, ma altri sono veramente improbabili. Peccato.

00_bollicine03A questa orgia spumantistica si sottrae agevolmente un nome non troppo conosciuto dai più, ma che va invece annoverato tra le migliori realtà italiane in assoluto quando si parla di bollicine: D’Araprì. Recito il mea culpa per aver trascurato un po’ troppo la cantina di San Severo, ma mi va almeno riconosciuto il merito che, quando me ne ricordo, la definisco pubblicamente tra le migliori quando in fatto di vini spumanti. Di più: credo proprio che un’ipotetica ‘Top 10’ dei produttori italiani di bollicine veda D’Arapri nella parte più alta della classifica. Forse perché nasce dalla passione ed è ancora la medesima passione ad animarla, la passione di tre amici… È il 1979 quando i jazzisti Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore (se ci fate caso, il nome della cantina è l’unione della prima parte del cognome di ciascuno …) decidono di produrre uno spumante dalla varietà autoctona del Bombino Bianco. La metodologia che seguono è la più rigorosamente tradizionale con rifermentazione in bottiglia, ispirandosi chiaramente alla Champagne, dove Louis Rapini vanta una parentela. Da allora sono passati esattamente 40 anni, D’Araprì è man mano cresciuta, si è affermata, anzi ha conquistato il pubblico e guadagnato il rispetto degli stessi champenois, ha intelligentemente ampliato la propria gamma fino a contare sei vini, ha ricevuto i giusti riconoscimenti. Ma la passione e l’impegno dei tre amici non sono mai venuti meno, anzi, quasi a voler ‘cristallizzare’ questa passione, si sono addirittura imposti un decalogo, o meglio, una ‘Carta Etica e di Qualità’, probabilmente ispirandosi a quanto fatto nel 1992 da Bollinger…

Questi i dieci punti:

1.  Elaborazione in proprio di tutti i vini.
2.  Proprietà della maggior parte dei vigneti al fine di garantire costanza nello stile.
3.  Impiego esclusivo di uve dell’agro San Severo.
4.  Bombino Bianco o Montepulciano (almeno 60%) in tutte le Cuvée.
5.  Impiego del solo mosto fiore per la preparazione dei vini base.
6.  Fermentazione sempre a temperatura controllata sotto i 20° C:
7.  Tirage entro il mese di marzo dell’anno successivo alla vendemmia.
8.  Prolungata permanenza sui lieviti.
9.  Dosage contenuto.
10. Utilizzo esclusivo di tappi in sughero birondellati di qualità extra.

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Successivamente, sapendo che il 2019 avrebbe rappresentato per loro un traguardo importante, i tre hanno deciso per tempo di fare qualcosa di eccezionale per celebrare degnamente la prestigiosa ricorrenza. Probabilmente perché la Puglia vanta un’invidiabile tradizione con i rosati, hanno pensato di dare vita a un rosé celebrativo e, vista la loro predilezione per le varietà autoctone, questo rosé sarebbe nato da un’uva molto particolare, mai spumantizzata prima: il Nero di Troia. Il progetto inizia nel 2015 con la vendemmia di un vigneto di 2 ettari in Contrada San Matteo, dove la varietà scura è allevata secondo la Pergola Pugliese (circa 2.000 ceppi/ettaro) su un suolo argillo/calcareo in leggera pendenza ed esposizione sud/sud-ovest. In cantina arrivano poco più di duecento quintali di uva, macerati a freddo per circa 4 ore. Successivamente, la massa viene pressata e il mosto estratto è pari al 55% (quindi il 7% in meno rispetto alla Champagne), segue la fermentazione alcolica a 18°C. Per il tiraggio, poi, oltre ai canonici lieviti e zucchero, viene aggiunta anche una piccolissima parte (l’1%) di feccia fine recuperata (e congelata) giusto al termine della fermentazione alcolica, poi una trentina di mesi sui lieviti, dégorgement manuale previo congelamento del collo e dosaggio a 5 g/l. Trattandosi di uno spumante celebrativo, il tiraggio è avvenuto quantità limitata e numerata, pari a 150 magnum e 4.000 bottiglie. Ebbene, una di queste magnum, la numero 51, ho avuto la fortuna di assaggiarla grazie all’amico (e oramai mitico Delegato AIS Lecce) Amedeo Pasquino…

Sansevieria
00_bollicine07100% Nero di Troia
Beh, devo ammettere che l’olfatto di questo rosé intriga non poco. Forse anche per via dell’uva, certamente inusuale per uno spumante. Tradisce, dunque, la sua anima rossa, tanto sul frutto quanto sugli agrumi, invero più evidenti, così come una certa vinosità, ma il risultato non è minimamente saturante in quanto questo suo carattere particolare si muove sempre in una dimensione di freschezza e appare giocato sull’intensità dei profumi, mai sulle concentrazioni o sulle dolcezze. Risultato: un naso elegante e vivace, per non dire pure croccante. All’assaggio, il carattere di un’uva solitamente destinata alla vinificazione in rosso si fa più evidente, ma, grazie all’ottima interpretazione di D’Araprì, ancora una volta l’insieme risulta vincente in quanto sempre fresco, giustamente asciutto (quasi non sembra dosato), finemente sapido in chiusura sui ritorni di frutti rossi. L’attesa nel bicchiere mette in evidenza una nota tostata e una maggiore rotondità di frutto. Però, alla fin fine, è la sorta di staffetta della gustativa a piacere: parte ricordando il vino rosso, poi rinfresca e pulisce la bocca, termina sapida. Proprio una piacevolissima sorpresa…
Voto: 90/100

(ha partecipato alla degustazione Amedeo Pasquino)

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Bella interpretazione della varietà, coraggiosa ma tutt’altro che velleitaria, nel senso che, dopo aver visto troppe spumantizzazioni caricaturali di celebri varietà rosse italiane, questa invece dimostra che la declinazione in rosa non è figlia di una forzatura, bensì di un’abile intuizione capace di ben coniugare personalità e piacevolezza di beva. Credo che valga assolutamente la pena provare questo Sansevieria, nonostante la produzione limitata, perché si propone come uno dei rosé in assoluto più interessanti della spumantistica italiana in rosa. A questo punto, posso solo auspicare che non resti un singolo episodio…

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