Non ho resistito, lo ammetto mi sono fatto un… Bombino (bianco)
Lo diceva sempre il mio macellaio che la carne è debole. Per me è addirittura fragile e quindi domenica, lo ammetto, non ho resistito, è stato più forte di me, mi sono fatto… un bombino. E che bombino, spumeggiante, irresistibile, coinvolgente e avvolgente…
Ehi, non pensate male, non crediate che io, single, nostalgico delle curve parisiennes di Elle, sia finito con il dedicarmi, dannunzianamente, a pratiche autoerotiche. Nulla di tutto ciò. Volevo semplicemente dire che domenica, pur avendo a disposizione fior di Trento, Champagne, anche qualche Franciacorta e le bollicine Alto Adige del mio vecchio amico Sepp Reiterer, alias Arunda Vivaldi e quelle, altrettanto buone, quelle firmate Comitissa, dell’ottimo Lorenz Martini da Cornaiano, mi sono lasciato attrarre da un Bombino. Il richiamo del Bombino, bianco, (non so voi, io continuo a preferire Michelle Hunziker a Michelle Obama) è stato irresistibile, più forte di me, certi ricordi pugliesi anche, e mi sono detto, ebbene sì, stappiamo una bottiglia di D’Araprì.
Che per qualche stordito che non lo sapesse, e che pensasse che la storia degli “spumanti” nella patria delle orecchiette e dei taralli abbia avuto inizio con qualche ridicolo e stupidino spumantino base Negroamaro salentino (non sto scherzando, c’è chi fa davvero cose simili…), è una prodigiosa realtà produttiva nata nel lontano 1979 tre amici, quando Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore, da cui l’acronimo Darapri, musicisti jazz con una immensa passione per il vino ereditata dai genitori, decidono, per scommessa, di produrre spumante a San Severo, in provincia di Foggia, nel cuore della Daunia. E di produrre non spumantini charmat, ma metodo classico dalle grandi ambizioni qualitative.
Individuate le vigne, nella Capitanata, poste su terreni di natura argilloso-calcarea con colore tendente al grigio-gialliccio, costituiti mediamente dal 30% di sabbia, 24% di limo e 46% di argilla; ben dotati di calcare e sostanza organica, dotati di una elevata capacità idrica consentendo così una regolare maturazione dell’uva. Terreni dove le uve maturano lentamente, senza sbalzi improvvisi, senza riduzioni del grado di acidità e senza dispersioni delle componenti aromatiche. E in queste vigne i vitigni del territorio e della tradizione vitivinicola locale, soprattutto il Bombino bianco, poi il Montepulciano, e un po’ di Pinot nero, usato con sapienza, a comporre una gamma di bollicine ammirevole, ognuna dotata di propria personalità.
E domenica, preso da qualche bel ricordo parigino, mi sono lasciato andare e ho stappato la Riserva Nobile, annata 2016, sboccatura di quest’anno, da uve bombino bianco in purezza provenienti da una vigna posta in Contrada San Biase e in Contrada San Matteo, esposta a sud sud-ovest, allevata a spalliera con 3500 piante ad ettaro e a pergola pugliese, con solo 2000, resa 100-120 quintali ettaro e 3 – 4 chili per ceppo, mosto che compie la prima fermentazione in tonneaux e rimane sur lie sino a gennaio, per poi riposare almeno 36 mesi in cantina, prima del Dosage, è un Brut, intorno ai 6 grammi zucchero e affrontare, sicuro di sé e di poter fare bella figura sui vari mercati.
Che bella bottiglia amiche mie! Colore paglierino oro brillante, perlage fine e continuo, naso che se uno non sapesse che si tratta di bolla pugliese la scambierebbe quasi per trentina, elegante, sapida, ben tesa, profumato di mandorle, fiori bianchi, e dove solo le note di frutta gialla fanno capire che le vigne stanno a San Severo non a Faedo o Roverè della Luna.
Bocca altrettanto tesa, diritta (per forza, è un Bombino…)., nervosa, croccante, con andamento verticale, acidità profonda che spinge, consistenza e succosità ampia e carnosa.
Che Bombino spumeggiante, che libidine!