D’Araprì, dalla Puglia fantastici spumanti autoctoni di pionieri delle bollicine da uve italiane

Domenico Liggeri 29 Giugno 2023

Una trama da film hollywoodiano con una suggestiva colonna sonora jazz, in cui tre sognatori uniti da forte amicizia lottano contro i pregiudizi e l’omologazione del mercato convinti di potere rivoluzionare il mondo del vino sulla base di valori identitari e di una pionieristica difesa della biodiversità, raggiungendo il trionfo con prodotti rivoluzionari di sbalorditiva bontà: un’opera si direbbe “tratta da una storia vera”, quella della cantina D’Araprì di San Severo in provincia di Foggia oggi ritenuta tra le più stimate nella produzione di spumanti, pur mantenendo con rigore una profonda impronta pugliese.

I tre amici protagonisti di questa favola moderna sono Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore, accomunati da pari passioni per la musica jazz e per il vino e i vitigni autoctoni del Tavoliere.

E’ il 1979 quando “la convinzione di poter produrre anche al Sud spumanti di pregio” porta a un’avanguardistica ma soprattutto “apprezzata e rinomata produzione di spumanti d’Araprì (il marchio è dato dalle prime lettere dei tre cognomi letti in successione), unica realtà pugliese che produce esclusivamente spumanti con il metodo classico (ovvero con fermentazione in bottiglia, detto anche metodo Champenoise), tra le pochissime in tutto il meridione d’Italia”.

Una scelta “considerata da tutti anacronistica” sottolinea il distributore Proposta Vini, ma capace di dare “la spinta definitiva per la creazione del Progetto Bollicine da uve italiane” oggi celebratissimo nell’ambiente enoico.

La base di un successo così sorprendente e deflagrante è individuata nella geniale intuizione “di poter valorizzare nelle bollicine il vitigno autoctono della Capitanata Bombino bianco che nella spumantizzazione riesce ad esprimersi nella sua pienezza: il resto è capacità imprenditoriale ed uno straordinario attaccamento ai valori d’origine del territorio”.

E’ così che si arriva a ricevere l’attributo di Principi dello Spumante, conferito nell’ambito del 2°Rapporto sulle Eccellenze d’Italia dell’Eurispes.

La lunga cavalcata di successo ha registrato novità interessanti nel 2019 con “l’entrata a pieno titolo della nuova generazione (in un certo senso il passaggio del testimone), ovvero i figli Anna d’Amico, Daniele Rapini e Antonio Priore con la trasformazione della società in Società Agricola”.

La terra degli Spumanti d’Araprì è la Capitanata di Puglia, asciutta e generosa, “favorita dalla sua composizione, dall’esposizione e dal clima”, in quanto protetta “dai monti della Majella e dal Promontorio del Gargano non è soggetto a gelate, ma ha una buona ventosità che non provoca lo sviluppo di muffe e una scarsa piovosità”, tutto questo a fronte di un terreno “calcareo-argilloso con presenza di limo e sabbia” a un’altitudine tra 80 e 100 m. s.l.m..

La Cantina è dislocata in due strutture, una dedicata alla produzione vinicola e l’altra, un’antica cantina del 700, destinata a visite e degustazioni.

Gli enoturisti sono entusiasti di raggiungere in gran numero la struttura per scendere “nelle nostre cantine che si sviluppano sotto storici Palazzi e sono a ridosso della Chiesa di San Nicola, una delle più antiche di tutta la città”.

Importante invece nel processo produttivo la vendemmia, con i grappoli di uve scelte e selezionate che “vengono raccolti e trasferiti in cantina con piccoli carrelli, in breve tempo, per le operazioni di vendemmia (spremitura soffice, chiarifica, fermentazione) per la preparazione dei vini base: la vendangerie è situata alla periferia di San Severo, nella vicinanza dei vigneti, così sono ridotti al minimo i tempi che trascorrono dal taglio del grappolo alla pigiatura”.

In tal modo “la qualità dell’uva che giunge in cantina è la migliore possibile, come conservazione e freschezza dell’integrità del frutto, essendo noti i pericoli che possono derivare da una precoce ammostatura con cessione di colore e polifenoli pericolosi”.

La cantina “si attiene scrupolosamente ai metodi produttivi dettati dall’antica tradizione artigianale con una scrupolosa cura di tutte le fasi della produzione”, tanto che “dopo aver cercato per anni una sintesi tra gusto italiano e tradizione francese oggi l’azienda può dire di possedere uno stile davvero personale”.

I citati sotterranei “si estendono per circa 1000 mq nel centro storico a ridosso della Chiesa di San Nicola, una delle più antiche di tutta la città”.

Risalgono al 1600 e si estendono sotto storici Palazzi nei quali “si possono ammirare testimonianze del passato quali: un pezzo delle antiche mura di cinta del 1200, una antica pressa del 1836 e la prigione dei Carbonari Morelli e Silvati”.

E’ il prestigioso contesto storico nel quale invecchiano per almeno tre anni “al fresco e al buio le migliaia e migliaia di bottiglie prima di vedere la luce e di essere abbigliate”.

Peculiarità così importanti da determinare l’inserimento della struttura tra i beni presi in attenzione dal FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) “ed  è in questo spazio che si realizzeranno eventi di ampio respiro, quali rassegne musicali, mostre d’arte, convegni culturali,  accoglienza degli enoturisti, con il precipuo intento di offrire proposte e stimoli in un ambito culturale il più ampio e libero possibile”.

La fermentazione avviene in cantine sotterranee (cave) “dove le bottiglie riposano per diversi anni in posizione orizzontale (sur lattes) e, cosa fondamentale, a temperatura costante tra i 10 e i 14 °C: così lentamente il vino diventa spumante che, affinato dai lieviti, acquisirà profumi e sapori del tutto peculiari”.

L’affinamento dello spumante metodo classico “richiede un tempo che va dai 15 mesi ai 3 anni e più, durante i quali si sviluppano i caratteristici aromi di lievito e crosta di pane (per i Millesimati il periodo di affinamento raggiunge e supera i 5 anni)”.

L’azienda ha scelto come proprio vessillo il Bombino Bianco, vitigno “di antichissime origini: la tradizione vuole che esso sia arrivato a San Severo di Puglia intorno al 1200 portato dai Cavalieri Templari al ritorno dalla Terra Santa; si è così ben acclimatato nel nostro territorio che, anche in annate calde e siccitose, matura a metà settembre e mantiene un corredo acido elevato (intorno al 7 per mille e un pH basso) che  insieme alla moderata alcolicità e una giusta maturazione lo rendono un ideale  vitigno per la produzione di uno spumante metodo classico fine ed elegante: coltivato da lungo tempo in Puglia, sembra sia originario della Spagna, anche se nessuna fonte lo accerta con sicurezza”.

Il Bombino Bianco di San Severo “utilizzato in gran parte nelle cuvées della produzione d’Araprì finalmente si afferma per la prima volta nel panorama italiano come un grande vitigno per la spumantizzazione col Metodo Classico, sconvolgendo in un certo senso la geografia della produzione dello spumante”.

L’espressione in purezza del Bombino Bianco negli spumanti D’Araprì in versione brut si ha nella referenza segnata dall’acronimo R N, non a caso definito dalla cantina come il “il prodotto più tipico” ottenuto dal vitigno autoctono che la Casa “ha sperimentato con successo come vino base atto ad essere spumantizzato con il metodo classico”.

Il naso avverte frutta matura a polpa gialla, la bocca invece nespola, bergamotto, nettarina, ananas e tè verde.

Elegante, equilibrato, dal perlage rado e suggestivo, si esalta nel lunghissimo finale che entusiasma.

Il Bombino bianco in blend con il Pinot nero dà poi vita a una versione base di Brut metodo classico che rappresenta il best seller dell’azienda, comprensibilmente, perché è parecchio goloso e ha una beva formidabile, irretendo il degustatore fin dai profumi di zagara e proseguendo con sapori di pompelmo, limone, pera, mela e kiwi.

Stesso blend ma senza apporto di liquer d’expedition nel Pas Dosé presentato quale “prodotto più secco della gamma degli spumanti commercializzati” in grado di rivelare “tutte le potenzialità dell’areale Dauno”, tradotte in un potente approccio olfattivo fruttato che al palato propone pesca, pera Williams, mela verde, albicocca, arancia Bionda del Gargano e yuzu.

Più complesso il Brut Gran Cuvée XXI Secolo che al consueto blend di Bombino Bianco e Pinot nero aggiunge il Montepulciano, caricanodosi della responsabilità di essere lo “spumante più particolare e di maggiore impatto organolettico che la Casa propone”, non a caso prodotto solo in annate di qualità superiore.

Se al naso si passa dagli agrumi all’Abbamele attraverso toni di cuoio, in bocca invece si riconoscono nashi, albicocca Caramella di San Ferdinando di Puglia, azzeruolo e melangolo candito, creando entusiasmo in degustazione.

Imperdibile la clamorosa spumantizzazione di un altro meraviglioso vitigno territoriale come il Nero di Troia che si trova in purezza nel Sansevieria, un rosé brut che vuole ricordare “Raimondo Di Sangro VII Principe di San Severo che da Illuminato ha voluto suggellare con tale nome una sua ricerca botanica, dando così prestigio e conoscenza anche alla Città di Capitanata che già all’epoca era conosciuta per i suoi vini”.

Fantastico il suo colore ambrato quanto l’inebriante bouquet di lampone, preludio allo sviluppo sul palato di albicocca, mango, amarena in sciroppo, cotognata, caramello salato.

Ricco di sfumature amabili ma con il nerbo di un finale quasi liquoroso che ricorda il calvados.

Formidabile.

Sempre vinificato come Rosé Brut un assemblaggio di Montepulciano e Pinot Nero che si traduce in un trionfo di piccoli frutti rossi tanto al naso quanto al palato dove echeggiano lampone, ribes rosso, melagrana, fragola, ciliegia Ferrovia, con un retrogusto in cui si rivengono ricordi di panificazione.

Proposto soltanto in versione magnum con affinamento di almeno cinque anni, il Nature La Dama Forestiera intreccia meravigliosamente tramite metodo classico il Montepulciano con il Pinot Nero, sviluppando profumi di fragolina di bosco e sapori di ribes rosso, melagrana, fragola Candonga, cotognata e ruta.

Colpisce il suo tocco amaricante che si intreccia con una stuzzicante acidità, con l’innesto di una nota sapida sublime.

Seducono le sue eleganti bollicine piccolissime ma tenaci.

Il nome fa riferimento alla vicenda tardo-ottocentesca che lega la Gentildama inglese Elisa Croghan al convivente, l’ultimo Principe di San Severo Michele di Sangro, sullo sfondo di un tenimento ricco di vigneti: la protagonista sarà definita La Dama Forestiera in un romanzo di Nino Casiglio che ne amplificherà la figura epica.

A tirare le fila di così tanti stimoli intellettuali e organolettici è Anna d’Amico

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