COME ESEGUIRE L’ESAME GUSTATIVO DI UN VINO

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L’ultima fase della degustazione è l’esame gustativo.

Solo quattro sono i sapori percepiti dalla lingua: il dolce in punta, il salato e l’acido sulle pareti laterali, l’amaro in fondo. Si può dire quindi che il gusto è il più grossolano dei nostri sensi, ci fornisce inoltre alcune sensazioni di tipo tattile (astringenza o sensazione allappante provocata dai tannini e il pizzicore dell’effervescenza) e termico.
Nonostante ognuno abbia abitudini proprie a riguardo, si consiglia di mettere in bocca un minimo volume di vino, da 6 a 10 millilitri. Altri, più “ghiotti” senza dubbio, parlano di 20 millilitri, se non addirittura 25 millilitri, quantità che sembrano eccessive. Un volume troppo grande richiede più tempo per riscaldarlo, è più difficile da mantenere in bocca e obbliga a deglutire la quantità in eccesso. D’altronde, non sarebbe possibile degustare una serie piuttosto importante di vini in questo modo senza provare una certa fatica “etilica”. Al contrario, un volume troppo ridotto non riesce a bagnare tutta la superficie del palato e il vino diluito dalla saliva, non riesce a evidenziare di certo una quantità sufficiente di sapori.
Il volume utilizzato deve essere sempre lo stesso da un vino all’altro, altrimenti non è possibile alcun confronto rigoroso. Uno dei primi esercizi da fare per il principiante è misurare questa quantità. Basta pesare il bicchiere prima e dopo il prelievo della sorsata. Ci si cimenterà a correggere il volume e, se nel caso, a rettificarlo.

Proviamo a mettere in bocca una prima quantità di vino per “avvinare” la bocca e poi effettuiamo un sorso più consistente. Tratteniamo il liquido dapprima nella parte anteriore della bocca e poi spargiamolo in tutta la cavità orale. Le prime impressioni vengono chiamate in gergo «attacco di bocca»: la grande maggioranza dei vini esordisce dando un senso di calore e dolcezza, dovuto alla gradazione alcolica e agli zuccheri residui. Successivamente si può avvertire la presenza della componente acida. Sul centro della lingua non risiedono sensori particolarmente sensibili a uno dei sapori fondamentali ma è qui si percepisce con maggiore chiarezza la qualità «tattile» ovvero il grado di consistenza e concentrazione del vino. Il fondo della lingua fornisce informazioni sulla qualità dei tannini rilevando, tra l’altro, una parte delle sensazioni più amare.
L’assaggiatore fa variare la durata di permanenza del vino in bocca, a seconda che egli s’interessi alle impressioni iniziali, ai sapori tannici o al retrogusto. Si può così conservare il vino in bocca soltanto da due a cinque secondi o prolungarne la degustazione dai dieci ai quindici secondi, non di più. Nel primo caso, non si percepirà la totalità dei sapori tannici dei vini rossi. Secondo il fine ricercato si può gustare sulla punta delle labbra, in modo rapido e superficiale o, al contrario, in modo profondo, completo, facendo partecipare i bottoni del V linguale, il retro bocca e la faringe esofagea.
Gli elementi da prendere in considerazione sono: la struttura generale, l’equilibrio, l’intensità delle sensazioni retronasali (aromi) e la persistenza.

Per struttura generale si intende lo spessore, la consistenza e il corpo del vino dato da alcool insieme a tutte le sostanze che lo compongono (polifenoli, acidi fissi, sali, zuccheri, glicerina).

Per equilibrio di un vino bianco si intende il risultato del rapporto morbidezza e acidità; in un vino rosso il rapporto tra morbidezza, acidità e tannicità.

Per quanto riguarda l’intensità delle sensazioni retronasali si intende il complesso delle sensazioni gusto olfattive percepite in via indiretta dopo aver fatto ruotare il vino in bocca e deglutito; non dimentichiamo infatti che l’olfatto gioca un ruolo fondamentale nelle sensazioni del gusto; più le impressioni sono facilmente percepibili e identificabili più intensa sarà la sensazione retronasale.

Infine la persistenza ci indica la durevolezza delle sensazioni olfatto-gustative del vino: più permangono ricordi uguali o simili a quando il vino era in bocca, maggiore definiremo la persistenza del vino.

Il palato dovrà confermarci i descrittori riscontrati dal naso e fornircene di nuovi, sempre richiamando le analogie elencate per l’esame olfattivo. È il naso, infatti, che “comanda”: provate ad assaggiare qualsiasi cosa tappandovi il naso. Il gusto che ne percepirete sarà notevolmente inferiore, come accade quando si ha un forte raffreddore.

Come in un film giallo, il finale rappresenta il momento decisivo per stabilire la qualità di un vino. La lunghezza e l’intensità della persistenza aromatica, la piacevolezza e l’equilibrio delle sensazioni conclusive nonché la coerenza con quelle percepite in precedenza, sono fattori fondamentali per determinare il valore reale e potenziale di un vino.

L’esame gustativo comprende diverse fasi e può seguire diverse piste:

subito dopo aver esplorato con il naso i profumi, per approfondire il discorso dei sentori, conviene effettuare l’esame retrolfattivo: prendere una sorsata di vino, farla girare in bocca, aspirare un po’ d’aria. Annotare rapidamente la successione delle nuove impressioni percepite (trascurando gli aromi già identificati con il naso). Inghiottire o espellere.

riprendere ora un po’ di vino in bocca.

apprezzare separatamente i sapori, cercando di registrare prima l’acidità, poi la morbidezza, infine la tannicità (nel caso di un rosso)

annotare mano a mano ogni impressione.

ancora una sorsata per cogliere l’impressione globale e l’armonia

cercare sui diagrammi degli equilibri se la risultante delle tre sensazioni corrisponde a quella complessiva percepite.

inghiottire o espellere il vino

porre attenzione al fin di bocca: è gradevole?

porre attenzione alla persistenza aromatica intensa (P.A.I.): valutarne la qualità e,possibilmente, la durata contando le “masticazioni” (ogni masticazione = un secondo).

tenendo conto di tutti gli elementi della degustazione, formulare un giudizio sullo stato evolutivo del vino e sul suo profilo complessivo. Ogni (buona) degustazione passa attraverso un’espressione, quasi sempre scritta. La penna impone la precisione dei termini, dopo una riflessione rapida ma precisa. Scrivere facilita la memorizzazione, l’apprendimento continuo, il progresso nell’analisi delle sensazioni e dunque la percezione del piacere presente in (quasi) tutti i vini.

prima di degustare un altro vino, tranne in caso di esercizi rapidi dove si ricerca un’impressione globale, bisogna aspettare un po’ per apprezzare la persistenza e lasciar sparire qualsiasi sensazione. Risulta inutile degustare diverse volte gli stessi campioni, le valutazioni ripetute portano alla scomparsa di ogni sensibilità mentre le prime impressioni se ben valutate sono le migliori, soprattutto se sono cattive, dicono i burloni, non senza qualche ragione. Si deve in ogni caso, dopo il secondo tentativo, avere un’opinione definitiva.

Normalmente non si consiglia di sciacquarsi la bocca con l’acqua tra le due degustazioni, anzi la bocca deve restare avvinata. Dopo un lavaggio orale, i confronti con le impressioni precedenti sono più difficili, la sensibilità risulta modificata.
L’assaggiatore si sciacquerà la bocca solo nel caso di un affaticamento del palato, manderà giù qualche sorso di acqua e farà una pausa di riposo prima di continuare a degustare e di cominciare una nuova serie.
Si può anche, senza inconvenienti, mangiare a questo punto un pezzetto di pane, un biscotto non zuccherato, ma durante una degustazione professionale si devono proibire alcuni alimenti, come il formaggio e le noci, che diminuiscono o cancellano i sapori tannici. Al contrario, l’appassionato ha tutto l’interesse di degustare mangiando; ma a quel punto non si tratta più di saper degustare, bensì di saper bere.

PRECISAZIONI
Valutare un vino dal punto di vista gustativo, consapevoli di quanto indicato, può essere un compito molto semplice o straordinariamente complicato.
Ci si può accontentare di esprimere un livello di soddisfazione o di gradimento, oppure si può cercare di approfondire mirando a un equilibrio tra componenti; per equilibrio intendiamo “la giusta proporzione delle parti che si esaltano reciprocamente” come direbbe Peynaud.
D’altra parte dei criteri di equilibri non sono così facili da stabilire in base a quanto è stato sufficientemente dimostrato a livello sperimentale e cioè che l’aggiunta o la sottrazione di un determinato componente del vino non produce sempre, e nemmeno nella misura desiderata, l’effetto sperato.
Si possono stabilire, tuttavia, alcuni criteri universali.
Il sapore dolce interagisce con l’acido per cui entrambi, congiuntamente, diminuiscono le loro sensazioni generiche.
Analogamente il dolce compensa l’amaro, questa interazione non si verifica esattamente a causa di una reazione chimica tra sostanze dolci e sostanze amare, ma piuttosto per l’influenza che ha la viscosità sui recettori tattili della bocca.
L’acido, assieme all’amaro equilibra la sensazione di dolcezza.
I criteri smettono di essere rigidi a partire dal momento in cui il mondo del vino è stato in grado di produrre tanti vini significativamente diversi. Voler inquadrare la qualità di un vino in base a degli equilibri comuni attualmente ha poco senso, è qui che entra in gioco il fattore tipicità.
Ad esempio, guardiamo il tanto sostenuto equilibrio tra alcol e acidità o tra alcol e zucchero. È vero che i vini generosi hanno, tradizionalmente, valori alcolici elevati. Ciò è dovuto al fatto che in passato era difficile stabilizzare un vino dal punto di vista microbiologico e una buona ricetta era l’aggiunta di molto alcol; oggi, tuttavia, abbiamo dei vini molto singolari, gradevoli e apprezzati sul mercato con contenuti elevati di zucchero e gradazioni alcoliche relativamente basse, ad esempio gli eiswein centroeuropei o canadesi.
Un altro degli equilibri classici che perde valore è quello del rapporto acidità-alcol. Alcuni vini hanno un’elevata acidità e un basso livello alcolico. Ciò che in base alla teoria classica rappresenterebbe uno squilibrio gustativo è, indubbiamente, in questo caso una qualità distintiva che conferisce originalità, personalità e interesse al prodotto.

Dovremmo aggiungere ancora un nuovo concetto al tema degli equilibri gustativi: il gusto del consumatore si evolve.
A partire dagli ultimi cinque anni del secolo scorso la società, mossa dall’innovazione, ha iniziato a rompere schemi e a sfidare i concetti canonici dell’arte, dell’estetica e anche della gastronomia.
Il vino non è rimasto al margine.
La rottura nei confronti della tradizione non significa necessariamente la perdita del senso dell’estetica; ciò che accade è forse che i principi di armonia che costituiscono il concetto di estetica sono anch’essi diversi da quelli dei nostri predecessori.
L’arte e la moda ne sono un buon esempio.
Quindi la descrizione della sensazione gustativa nel suo insieme non dovrebbe essere solo legata a determinati equilibri tra vettori gustativi, ma piuttosto all’insieme degli stessi, raggruppati nei descrittori armonia e tipicità.
Eliminare il descrittore armonia sostituendolo con il sostantivo qualità, significa non tener presente tali osservazioni.
La qualità non ha nulla a che vedere con l’armonia.