rH e Potere Tampone dell’ossidazione dei Vini

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La sensazione gustativa dovuta all’ossidazione o al ridotto esprime un’evoluzione anomala del vino, dovuta alla presenza di un agente ossidante (ossigeno) o riducente, ma, anche, alla relazione con il potere tampone che protegge più o meno il vino dalle variazioni brutali del suo potenziale di ossidoriduzione.
Anzitutto, cosa intendiamo per “ossidazione”?
E questo un fenomeno che non significa soltanto assunzione da parte del mezzo (nel nostro caso il vino) di aria o più propriamente di ossigeno, per arieggiamento o semplice contatto con l’atmosfera, nel qual caso il termine “ossigenazione” è più appropriato, ma anche ogni possibile reazione fra composti o corpi diversi in soluzione, tale da produrre variazioni di cariche elettriche e di conseguenza cambi di numero di ossidazione (n.o.) .
Cosa vuol dire sostanze ossidanti e sostanze riducenti?
Le prime, quelle ossidanti, hanno tendenza ad assumere elettroni, passando da una forma di n.o. maggiore ad una di n.o. minore; le sostanze riducenti invece tendono a cedere elettroni acquistando un n.o. maggiore.

In altre parole la variazione di n.o., sia per ossidazione che per riduzione, equivale ad un passaggio di elettroni (e):

La prima osservazione è che i due processi di ossidazione coesistono; infatti non può esserci ossidazione senza la contemporanea riduzione e viceversa. Così:

è una reazione doppia, cioè due reazioni elementari, che possiamo scindere come segue:

Tali reazioni elementari rappresentano dei sistemi di ossidoriduzione o sistemi redox.
Ora la rappresentazione schematica di un sistema redox, nei suoi costituenti ionizzati, elettropositivi o elettronegativi, è la seguente:

Nella reazione di cui sopra:

il numero di elettroni (e) scambiati è di uno solo: Fe++ è la concentrazione ionica in forma ridotta (Red), mentre Fe+++ è la concentrazione ionica in forma ossidata (Ox).
Se la concentrazione della forma ridotta è maggiore di quella della forma ossidata il potenziale di ossidoriduzione sarà basso, ossia avremo uno stato ridotto e viceversa.
Va osservato ancora che si può parlare correttamente di potenziale di ossidoriduzione di un sistema reversibile, in condizioni di equilibrio, in una soluzione (vino) in assenza completa di ossigeno atmosferico. Caso diverso, cioè in condizioni di arieggiamento (ossigenazione), i sistemi redox che operano nella soluzione si trovano in continua evoluzione, e pertanto la misura del potenziale redox è del tutto precaria (“potenziale apparente”).
Ora se il vino è sede tanto importante di fenomeni ossido-riduttivi è possibile stabilire l’entità o meglio il “livello”, sia pure contingente, occasionale del suo stato ossidante, come di quello riducente?
Come il rapporto fra acidi e basi presenti in un vino (ed in altre soluzioni), in relazione al loro stato di dissociazione, si esprime con il pH, quello fra sostanze ossidanti e sostanze riducenti, secondo la loro rispettiva “forza” ossido-riduttiva, determina il cosiddetto “potenziale di ossido-riduzione” o “potenziale redox”, che si esprime col simbolo rH. Esso è, come il pH, una grandezza fisico-chimica.
Questo potenziale viene evidenziato collegando opportunamente due elettrodi immersi nel vino in esame, vale a dire un elettrodo a lamina di platino e l’altro a idrogeno (o a calomelano), costituenti una specie di pila; la differenza di potenziale che si determina tra i due elettrodi, espresso in millivolts (mV), dà appunto la misura del potenziale elettrico, esistente in quel vino ed in quel determinato momento.
Ora il valore di rH viene definito in base non al semplice potenziale elettrico (EH), come potrebbe sembrare logico a prima vista, ma, per la presenza degli ioni idrogeno (H+) ed ipotetiche variazioni di pressione dell’idrogeno gassoso o molecolare (H2) determinate nella soluzione (mosto o vino) dalle reazioni di ossido-riduzione in presenza appunto di ioni idrogeno, è influenzato dal valore del pH. L’idrogeno, infatti, può trovarsi allo stato libero o gassoso (H2) oppure parte integrante di un composto, soggetto a dissociazione (ione idrogeno o catione H+).
Possiamo pertanto dire che, come il pH è l’inverso del logaritmo della concentrazione degli ioni idrogeno, così l’rH è l’inverso del logaritmo della pressione dell’idrogeno gassoso, che si determina nella soluzione ossido-riduttiva (Clark).

Ora, partendo dall’ equazione di Nerst si può ricavare, per estrapolazione, il potenziale di ossidoriduzione di una soluzione, conoscendo il pH:

dove:
EH = potenziale elettrico, in volt, cioè la differenza di potenziale in rapporto all’elettrodo di riferimento (idrogeno o meglio calomelano);
K = costante, a una determinata temperatura= RT/F = 0,058 (a 20 °C);
[H+] = concentrazione ioni idrogeno (concentrazione idrogenionica)
quindi:

da cui si ha:

dato che K = 0,058 a 20°C, si ricava facilmente il valore di rH.

oppure esprimendo il grado rH con una una relazione lineare di proporzionalità diretta con il pH e il potenziale di ossidoriduzione:

La scala dei valori rH varia da un minimo teorico uguale a 0 ad un massimo reale, rilevato sperimentalmente, uguale a 42.
Il valore minimo rH=0 corrisponde al massimo grado di riduzione con pressione parziale dell’idrogeno sviluppato uguale a quella atmosferica ([H2]=1) e pressione parziale dell’ossigeno virtualmente nulla, che rappresenta il potenziale elettrico di un elettrodo ad idrogeno in una soluzione a pH 7 ed in pressione di gas idrogeno (H2) uguale ad 1 atm
Il valore di rH=42 corrisponde al massimo grado di ossidazione, che si ha con il valore massimo della pressione parziale dell’ossigeno e pressione parziale dell’idrogeno virtualmente nulla, corrispondente al potenziale di un ipotetico elettrodo di ossigeno gassoso (O2), con pressione pari a 1 atm ed alla stessa concentrazione idrogenionica (pH 7).
All’interno di questa scala c’è un valore di rH in corrispondenza del quale la pressione parziale dell’idrogeno e quella dell’ossigeno si eguagliano. Questo valore, a pH 7 e a 20 °C, è uguale a 27,7 (punto di neutralità =28 , cifra arrotondata) e corrisponde ad un potenziale di ossidoriduzione uguale a circa 0,40 V.
Così, ad esempio, rH=10 significa che nel liquido in esame, per effetto di un determinato, contingente stato di ossido-riduzione, il potenziale elettrico è tale per cui la conseguente pressione di idrogeno gassoso è di 10-10 atm (cioè di un decimiliardesimo di atmosfera).
Nel caso del vino, che a noi interessa, per via del basso pH (mediamente 3-3,5) si raggiunge al massimo un rH=24 o poco più, nelle condizioni di estrema ossidabilità (vino affetto da forte “casse ossidasica”, dopo prolungato arieggiamento, ecc.). Nei vini lungamente invecchiati in bottiglia, oppure in fase di attiva fermentazione alcolica, vale a dire al più spinto stato di riduzione, l’rH può scendere a 8-10, eccezionalmente fino a 6 (“potenziale limite”). Nelle condizioni normali di conservazione i vini presentano un rH intorno a 18-21.
È importante osservare che, in pratica, l’rH può essere sostituito dal potenziale elettrico (EH) di un sistema ossidoriduttivo, espresso in mV (millivolts); ciò in quanto le differenze fra i valori di pH che si riscontrano in vini di normale composizione non sono tali da influenzare granché il valore di rH.
I valori di rH variano nei mosti e nei vini da un minimo di 6-10 (stato di fortissima anaerobicità) ad un massimo di 24-25 (stato di fortissima aerobicità).
I vini normalmente ben conservati, non arieggiati, presentano valori intorno a 18-20.
Gli stessi valori espressi in millivolts (mV) vanno, invece, da 100-150 fino a 500-550. Mediamente intorno a 300-400.

Un altra nozione interessante e da tener presente è il potere tampone in relazione al potenziale di ossidoriduzione che collega fra loro le forme ossidate e quelle ridotte presenti nel mezzo:

Nella formula:
E0 è una costante chiamata potenziale normale redox,
R è la costante dei gas perfetti,
T la temperatura assoluta,
F il faraday (96.500 coulombs),
n il numero di cariche scambiate,
m il numero dei protoni corrispondenti alla dissociazione della forma ridotta in quanto acido.
L’espressione di questo potenziale fa intervenire il logaritmo del rapporto fra le forme ossidate e quelle ridotte. È chiaro che se le concentrazioni assolute delle forme ossidate e ridotte sono elevate, delle variazioni di queste due forme comporteranno una variazione limitata del loro rapporto e dunque del potenziale EH. In questo caso il potere tampone ossidativo del vino è elevato. Esso risulta relativamente protetto nei confronti dei difetti ossidativi. Una tale situazione corrisponde particolarmente ai vini rossi da invecchiamento, ricchi in composti fenolici.
Al contrario i vini bianchi, vinificati in condizioni che evitano al massimo la diffusione dei composti fenolici, sono poveri in siffatti costituenti e, di conseguenza, sono supposti più fragili nei confronti dell’ossidazione. Tuttavia, alcuni vini bianchi da conservazione manifestano una resistenza particolare nei confronti dell’ossidazione. In questo caso, la natura delle sostanze riducenti che assicurano la loro protezione non è stata ancora chiarita. È poco probabile che si tratti solamente di composti fenolici.
Il diossido di zolfo è, da tempo, largamente utilizzato per la protezione dei vini contro l’ossidazione. Indipendentemente dalla sue proprietà antisettiche, partecipa, in occasione di una dissoluzione di ossigeno, al potere tampone di ossidoriduzione e impedisce l’innalzamento del potenziale corrispondente. Tenuto conto della loro struttura i vini bianchi necessitano, per la loro protezione, di una dose di SO2 più elevata di quella necessaria per i vini rossi.
È noto che le reazioni con l’ossigeno disciolto, in occasione di lavorazioni a contatto con l’aria, sono lente e catalizzate dagli ioni ferro e rame. Il diossido di zolfo agisce come un antiossidante irreversibile. Si ammette che occorrerebbe un tenore in SO2 libero vicino a 100 mg/L, per avere una protezione completa, ossia la reazione totale dell’ossigeno disciolto con SO2. Nella pratica, con dosi dell’ordine di 30 mg/L di SO2, la metà soltanto dell’ossigeno ossida l’ SO2, l’altra metà reagisce con i costituenti più ossidabili del vino. Tuttavia le reazioni necessarie all’evoluzione del vino possono realizzarsi normalmente (ossidazione dei composti fenolici), senza che un’ossidazione troppo profonda determini delle modificazioni indesiderabili.
In ogni caso, la protezione dell’SO2 è limitata. Essa è efficace per proteggere da un’ossidazione controllata, ma nel caso di un’introduzione brutale di ossigeno (imbottigliamento) può essere insufficiente e non in grado di impedire la comparsa dello svanito.

Ritornando all’rH è interessante vedere, in relazione a quanto si è detto sopra, le ripercussioni che si manifestano sul valore del potenziale di ossido-riduzione (rH) nel vino e nel mosto.
Ricordiamo anzitutto che la fermentazione alcolica è un processo fondamentalmente riduttivo; infatti durante il periodo più vivace della fermentazione i valori di rH toccano i livelli più bassi (8-12), vale a dire fino a 40-100 mV.
Questo fatto si spiega, in primo luogo, con il bisogno che hanno i lieviti di consumare ossigeno, onde provvedere alla loro rapida, imponente moltiplicazione. Si potrebbe perciò dire che … il lievito ellittico è il più classico ed efficace agente antiossidante: tanto più efficace quanto più il tipo di lievito è dotato di una forte vitalità capace di produrre, durante la fermentazione del mosto, la massima quantità d’alcol ed il più basso indice di acidità volatile.
I lieviti vanno, inoltre, considerati dei catalizzatori biologici ed importanti regolatori dei processi di ossido-riduzione. In questa fase della fermentazione gli stessi enzimi ossidanti (laccasi, tirosinasi, perossidasi) vengono praticamente neutralizzati dall’ambiente fortemente riducente.
Al termine della fermentazione il valore di rH del nuovo vino, anche se stazionante in vasche o botti attentamente colmate e ben chiuse, tende progressivamente a salire e a stabilizzarsi, nelle migliori condizioni, su valori oscillanti mediamente fra 16 e 18, con punte minime nelle zone prossime al fondo del recipiente (12-14).

Come già detto, a questo proposito, i tannini e le sostanze polifenoliche in genere fungono da regolatori, da fattori “tampone” degli indici redox, allo stesso modo di certi composti nel caso del pH. Ecco perchè nelle fermentazioni in rosso e nei vini rossi il valore di rH è assai più contenuto, meno variabile, rispetto a quanto si verifica nelle fermentazioni in bianco. Successivi travasi o trattamenti inducono naturalmente aumenti più o meno sensibili nel valore rH, in relazione all’intensità dell’arieggiamento, alla natura del vino, alla sua temperatura, al precedente stato di ossidoriduzione e così via.

In linea di massima, i vini con più basso indice di ossido-riduzione subiscono, a parità di condizioni, un più elevato incremento sul valore di rH, mentre esso è minimo per i vini già in stato di marcata ossidazione. Riportiamo, a tale proposito, alcuni dati alquanto significativi:

Questa constatazione giustifica appieno la preoccupazione di salvaguardare al massimo i vini a basso redox dai contatti con l’aria, allo scopo di non perdere, nel volgere di pochi momenti, i vantaggi acquisiti durante una lunga ed attenta conservazione dei medesimi, al riparo delle ossidazioni.
Il vino imbottigliato e conservato per alcuni mesi riduce il suo potenziale ossido-riduttivo, stabilizzandosi su valori medi di 16-18; nel caso particolare dei grandi vini, dopo qualche anno dell’imbottigliamento, si rilevano normalmente valori di rH intorno a 11-14.
I vini soggetti a forte casse ossidasica (come già ricordato), in condizioni di equilibrio con l’ossigeno atmosferico, presentano indici di potenziale ossido-riduttivo particolarmente elevati, fino ad arrivare a 24 e più; in tali condizioni i vini assumono un forte incupimento del colore ed uno sgradevole odore e sapore di maderizzato. L’aggiunta al mosto e al vino di anidride solforosa (come del resto, di altri prodotti antiossidanti) modifica lo stato del potenziale redox, riducendone il valore. Ecco a questo riguardo alcuni dati sperimentali:

Come si vede la SO2 aggiunta al mosto ha un’azione limitata per quanto riguarda la riduzione del valore di rH, mentre è ben più efficace nel vino.
Oltre certe dosi però il livello ossido-riduttivo non si abbassa più o ciò avviene soltanto in misura trascurabile.
Anche la luce solare ha una netta influenza riduttiva sul vino bianco. Il valore di rH può scendere nel caso di un vino affetto da leggera “casse” ossidasica, imbottigliato in vetro chiaro, fino a 14 o poco più, per una esposizione alla luce diretta di poche ore.

L’ rH come strumento enologico
L’rH assume, nel settore enologico, un’importanza primaria come fattore di previsione e stato di ossidabilità di un vino sì da poter, con maggiore cognizione di causa, operare di conseguenza, evitando manifesti fenomeni di ossidazione nel tempo ed assicurando al prodotto una più elevata stabilizzazione generale.
Non solo, ma le condizioni di ossidoriduzione di un vino ne regolano e influenzano molti, intimi processi, come quelli che presiedono all’affinamento e alla maturazione dei vini stessi, nonché lo sviluppo e l’attività di molti microrganismi, a cominciare dai lieviti ed altro ancora.

Preparazione del mosto – Il mosto è sensibilissimo al contatto con l’aria; ne assorbe dal momento stesso della pigiatura tenori notevoli. In modo abnorme, addirittura, se le uve risultano intaccate dalla muffa o marciume grigio (Botrytis cinerea). Sono stati accertati fino a quasi 5 mg/l di ossigeno atmosferico, per minuto, assorbiti da mosti appena pigiati.
E’ pertanto logico pensare che tali processi ossidativi, che hanno sede nei mosti freschi, causino forti innalzamenti del potenziale di ossidoriduzione. Da ciò può scaturire l’opportunità, in relazione alle caratteristiche dei mosti e alle condizioni in cui si opera, di limitare gli arieggiamenti.
Occorre tuttavia osservare che esiste attualmente la tendenza a favorire un energico arieggiamento d’ossigenazione o al limite la iperossigenazione con O2 puro dei mosti, in particolare provenienti da uve botritizzate, con lo scopo di provocare una rapida e completa distruzione degli enzimi ossidanti per autossidazione e di eliminare, in larga misura, il substrato fenolico più facilmente esposto a fenomeni di polimerizzazione, seguito da chiarificazione e separazione.
Il mosto sgrondato, in generale, presenta tenori di ossigeno disciolto molto elevati e quindi potenziali redox che possono raggiungere i 600 mV.

Macerazione a caldo o termovinificazione – Appare evidente che con il riscaldamento fino a 60-70°C del pigiato, che assorbe avidamente molto ossigeno nel breve lasso di tempo che dura l’amnnostatura, i fenomeni di ossidazione si scatenano, non senza conseguenze negative.
E’ infatti in questa fase che occorre intervenire con dosi adeguate di SO2 ed eventualmente con ottime bentoniti. La SO2 infatti, non svolge soltanto azione riducente, ma provoca l’inattivazione o la distruzione delle ossidasi presenti, specialmente con vendemmie disastrate. La solfitazione abbassa sensibilmente i livelli del potenziale di ossidoriduzione ed ostacola efficacemente l’assorbimento ulteriore di ossigeno da parte del mosto.
Ecco alcuni dati significativi:

Fermentazione tumultuosa – Sappiamo che con l’avvio della fermentazione primaria, per effetto della prodigiosa moltiplicazione blastomicetica, si ha una rapida, drastica caduta del potenziale di ossidoriduzione. L’rH, come abbiamo già detto, può toccare, nella fase fermentativa di più spinta riduzione, livelli minimi di 8-12, corrispondenti a 70-120 mV.
È da osservare che nelle fermentazioni in rosso, rispetto a quelle in bianco, questo fenomeno di caduta dello stato ossidoriduttivo è generalmente più marcato, in quanto le sostanze coloranti e polifenoliche esplicano attività riducente. È pur vero, ancora, che la forte presenza di queste sostanze ha effetto regolatore sulle variazioni del potenziale di ossidoriduzione.
Ciò spiega anche perché nella vinificazione di uve rosse l’impiego di SO2 è normalmente più ridotto.
Conta molto durante il processo fermentativo favorire l’abbassamento più forte possibile del potenziale redox, dato che in condizioni notevolmente ridotte opera in prevalenza il tipo di lievito capace di produrre i minimi tenori in acido acetico o comunque in acidi volatili in genere.

Conservazione ed affinamento del vino – Il nemico numero uno del vino, specialmente bianco, è l’aria; l’ossigeno dell’aria (quante volte è stato detto!) entra per arieggiamento (travasi, chiarificazioni, filtrazioni, ecc.) o semplice contatto con l’atmosfera, in soluzione e ad opera dei sistemi redox che abbondano nel vino (enzimi ossidativi, metalli ad effetto catalitico, composti autossidanti e via dicendo) intacca le strutture organiche del prodotto, ne modifica, più o meno profondamente, le caratteristiche organolettiche. In questi casi i valori di potenziale ossidoriduttivo (rH o mV) rappresentano, in modo eloquente, lo stato, il … polso della situazione. Più tali valori tendono ad aumentare più la buona conservazione e maturazione del prodotto è insidiata.
L’intervento con nuove addizioni di SO2, dopo quelle effettuate sui mosti freschi o sul pigiato, è senz’altro provvidenziale in vini appena fatti; ma conta anche e soprattutto l’adozione di tutte quelle pratiche ed accorgimenti, atti ad impedire o a limitare i nefasti contatti delle masse con l’aria (colmature, protezione mediante gas inerti, ecc.).
Nei vini invece lungamente conservati, sia durante le fasi di maturazione che di vero e proprio invecchiamento, il potenziale di ossidoriduzione scende fino a valori limite, in conseguenza dei molti processi di riduzione, come l’esterificazione e la formazione di aldeidi.
La conservazione in questi casi avviene prima in recipienti, come la botte o fustame in genere, e successivamente in bottiglia.
E’ il caso dei vini rossi, che richiedono lenti e complessi processi di affinamento e di invecchiamento. In tali attese i vini subiscono, sia in botte che in bottiglia, notevoli modificazioni interne alla loro composizione, di natura ossidoriduttiva, per cui sviluppano gradatamente le loro caratteristiche più tipiche e preziose. La formazione dei profumi e del bouquet più delicati sembra, infatti, verificarsi a rH molto bassi.

Alterazioni organolettiche e microbiologiche – Le alterazione del colore e della limpidezza, del profumo e del gusto, nonché della sanità, cui i vini frequentemente vanno incontro, sono di tipici fenomeni di ossidazione, come la rottura o “casse” ossidasica, la rottura ferrica o blu, la rottura fosfato ferrica o bianca oppure di fenomeni di riduzione, più o meno spinta, come nel caso della rottura rameosa o rossa. Nell’ambito dei fatti ossidativi rientrano naturalmente alcune tra le più comuni malattie, cioè fioretta, spunto e acescenza.
Ci preme sottolineare in questo momento, è che la genesi e le manifestazioni di esse sono strettamente condizionate dal potenziale di ossidoriduzione, cioè dall’rH.
Ad eccezione della rottura rameosa (una perturbazione della limpidezza dei vini determinata da uno stato di riduzione) le altre alterazioni hanno origine prettamente ossidativa. Anche alcuni gusti anomali di ossidato, di svanito, di maderizzato o di cotto sono la conseguenza di rilevanti fenomeni di ossidazione nel vino, quando cioè sussistono condizioni di rH elevati. Del resto è noto a tutti che un vino di buona qualità lasciato a contatto con l’aria perde e modifica negativamente il suo profumo e il suo gusto più delicati. Diversamente la presenza di idrogeno solforato o acido solfidrico (H2S) deriva per fenomeni di riduzione, cioè a rH bassi, da SO2, o da zolfo.
È un inconveniente sovente lamentato nei vini, quando i travasi, a fermentazione avvenuta, vengano ritardati o quando le uve siano state abbondantemente trattate con zolfi antioidici.
L’H2S per effetto catalitico, si lega ad alcoli o aldeidi formando i cosiddetti mercaptani, che sono dei tioalcoli o alchilsolfuri (C2H5SH).
I mercaptani hanno un odore, a parità di concentrazione, un centinaio di volte più intenso dell’H2S.

Imbottigliamento a caldo – In particolare con l’imbottigliamento a caldo, per un concomitante effetto di disaerazione e per il rapido esaurirsi di ogni reazione ossidante, possibilmente in presenza di SO2 e acido ascorbico, si possono raggiungere al termine dell’operazione condizioni di bassi o bassissimi livelli di rH. Questo fatto importante non può che sommamente giovare, sotto ogni aspetto, al vino imbottigliato. Rendere, cioè, impossibile o estremamente improbabile una rifermentazione, anche quando fossero state applicate temperature di imbottigliamento modeste; assicurare uno stato di perfetta stabilizzazione fisica, sia della limpidezza che del colore; mantenere integra la freschezza e le caratteristiche aromatiche del prodotto.

Rifermentazione di vini abboccati o amabili confezionati – In mancanza della stabilizzazione a caldo o dell’imbottigliamento sterile o, ancora, di addizioni di prodotti antifermentativi (acido sorbico), le probabilità di processi rifermentativi o quanto meno di una proliferazione cellulare sarebbero molte, soprattutto durante la stagione primavera-estate.
Ebbene una delle condizioni più importanti ad evitare o ridurre al minimo i rischi di una tardiva rifermentazione o incipiente sviluppo di lieviti è sicuramente quella di un basso livello di rH, cioè a dire di un potenziale ossidoriduttivo il più basso possibile, nel vino confezionato.
Tanto più quando trattasi di vini bianchi di modesta gradazione alcolica e a normale tenore acido. Cosa possiamo consigliare?
Dopo una filtrazione strettissima e molto accurata, possibilmente fuori dal contatto d’aria, si addiziona al vino, pronto per l’imbottigliamento, una dose adeguata di SO2 ed acido ascorbico, in una soluzione unica; dopodiché si effettua il riempimento in vetri sterilizzati. La stessa operazione disinfettante vale anche per i tappi, che devono chiudere ermeticamente. Una leggera gasatura con CO2 della massa può consentire di ridurre l’effetto stimolante sulla flora blastomicetica della camera d’aria, fra tappo e pelo liquido, oppure un soffio di azoto all’atto della tappatura tale da eliminare l’aria residua.
In questo modo il potenziale di ossidoriduzione subirà certamente una riduzione, tale da rendere più difficile ogni fenomeno di rifermentazione da lievito.

Azione riducente della luce diretta sui vini imbottigliati – Vogliamo infine ricordare che il potenziale di ossido-riduzione (rH) di vini confezionati in bottiglia di vetro chiaro e trasparente, esposti alla luce naturale, intensa e diretta, subisce una rapida e drastica caduta. Ci piace riportare alcuni dati molto significativi in proposito, dedotti da un vecchio lavoro sperimentale di Garino-Canina:

La misurazione del potenziale di ossidoriduzione nel vino
Le determinazioni del potenziale di ossidoriduzione in una soluzione modello con l’elettrodo classico danno risultati soddisfacenti. Nei mezzi complessi, quali il vino, il problema è più delicato: si constata la mancanza di stabilità della misura e la perdita della taratura dell’elettrodo dovuta al suo inquinamento. La taratura viene, in genere, effettuata impiegando soluzioni che presentano un potenziale di ossidoriduzione noto e costante. Secondo la letteratura, bisogna aspettare da 40 minuti a 2 ore perché la misura si stabilizzi; in realtà una perfetta stabilizzazione dell’elettrodo non si osserva mai. Inoltre, una volta effettuata la misurazione, l’elettrodo non è più in grado di ritornare al valore del potenziale di riferimento. È, quindi, necessario effettuare una pulizia completa, essa consente di disinquinare l’elettrodo che ritrova il suo valore di partenza.
L’elettrodo è stato quindi modificato per tenere conto della composizione del vino.
Nel caso dell’elettrodo combinato classico, lo scambio degli elettroni avviene attraverso il filamento di Pt (elettrodo di misura) e per diffusione degli ioni Cl (elettrodo di riferimento):
1. gli elettroni, liberati dalle sostanze riducenti del mezzo, servono a ridurre AgCl e sono trasferiti attraverso il Pt: AgCl + e –> Ag + Cl, Cl diffonde nel mezzo;
2. in presenza di sostanze ossidanti, gli ioni Cl penetrano nell’elettrodo e formano AgCl; gli elettroni liberati sono trasferiti alle sostanze ossidanti attraverso il Pt: Ag + Cl –> AgCl + e .

Le difficoltà di utilizzo, per la misurazione nel vino, sono dovute a due tipi di interferenze. Da una parte, alcune sostanze formano un deposito sul filamento di Pt e lo isolano, dall’altra lo scambio degli ioni Cl attraverso la giunzione di ceramica avviene con difficoltà a causa della modificazione della composizione KCl + AgCl provocata dalla diffusione dell’etanolo e dell’acido tartarico del vino.
Per ottenere un elettrodo utilizzabile nel vino, possono essere previsti due tipi di modifiche: esse riguardano sia l’elettrodo di misura che l’elettrodo di riferimento:
1. la superficie di contatto dell’elettrodo di platino viene aumentata per favorire gli scambi di elettroni e limitare l’accumulo dei depositi;
2. l’introduzione di uno strato intermedio (soluzione modello del vino) limita la diffusione delle molecole del vino verso l’elettrodo di riferimento ed aumenta lo scambio con il vino; questo strato ha una composizione variabile in funzione del mezzo da studiare (vino, acqueviti…).

In pratica i due elettrodi possono venire assemblati in un unico elettrodo combinato che consente di ottenere delle misure nel vino complessivamente soddisfacenti. Il tempo di stabilizzazione è compreso tra 5 e 10 minuti per i vini rossi ed è pari a circa 2 minuti per i vini bianchi; la taratura rimane stabile per parecchi giorni.

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