Reportage dalla Provincia di Foggia

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Fuoco e leggerezza dei menù pugliesi
di Mario Soldati

Sebbene la provincia di Foggia produca milioni di quintali di uva ogni anno, e sebbene il San Severo sia tra i bianchi più genuini d’Italia e il Malbec di Torre Quarto tra i “rossi” più vigorosi e più caratteristici, la mia impressione della Capitanata durante un breve recente viaggio è non tanto vinosa quanto mangereccia.

Organizzatore e propulsore della mia esperienza è stato l’avvocato Leonardo de’ Meo di Foggia, personaggio di aspetto, a prima vista, imponente; alto, grosso, serio: ma da tanti chiamato comunemente Nardino perché fanciullesco, entusiasta, mite, spensierato, oblativo ed estroverso: la sua fanciullesca natura è tutta rivolta fuori di se stessa, le sue preoccupazioni riguardano solo il prossimo. Espertissimo di cibi e cucina locali, la sua grande gioia è quella della tavola, ma una tavola che lui, anche se vi siede con gli amici, non onora granché personalmente. La sua grande gioia è di offrire agli altri: di veder mangiare gli altri.

Ed ecco un round-up dei menù che Nardino de’ Meo ha inventato per me e per i miei compagni di viaggio, in soli tre giorni.

Al ristorante M2, sulla strada che va da Cerignola a Foggia, cinque minestre preparate dalla signora Ninetta Mazzarella: “Cicatelli di gran ars”, pasta piccola, fatta a mano, con farina di grano arso (cioè scottato naturalmente, dal sole) e condita con pomodoro fresco e ricotta dura; “Sartaciniddu”, orecchiette con broccoli di rape, olio, pomodorini secchi, aglio, peperoncini, il tutto saltato in una speciale padella, detta appunto sartaciniddu; “Strascinat cà rucl”, pasta lessata a parte insieme alla rughetta e poi passata con olio e pomodoro; “Spaghetti al cutturiello”, cotti a fuoco lento con brodo e piccoli pezzi di agnello, aglio e lardo; ultima, ma non inferiore alle altre quattro, una minestra di “Troccoli con sugo di seppie”. Seguirono “lambascioli” lessi, schiacciati, conditi con olio, pepe, aceto. Si finì con la “Burrata” e con verdure crude, sedani, cicoria, finocchi, ravanelli. E devo dire che, malgrado l’abbondanza, il pasto ci parve leggerissimo: forse perché composto esclusivamente di idrati di carbonio, e vegetali, con assenza quasi assoluta (unica eccezione, il sugo di seppie) di proteine. La verità, così commenta l’avvocato de’ Meo, è che “la famosa Dieta Macrobiotica, di cui tanto si parla, qui da noi, in Puglia, è in uso da sempre! Paste fatte in casa, con verdure varie, e tutto condito con olio crudo! Latticini freschi, pane fresco, teglie di patate, cipolle, pomodori, funghi, lambascioli! Assenza di grassi animali e di olii fritti!

A Lucera, nella cantina del vivissimo oste Lorenzo Carapelle: pizza pugliese, pecorino, taralli asciugabocca, e, soprattutto, quel meraviglioso vino rosato del posto, che chiamano “Cacc’e mitt”, Caccia e Mette, appunto perché (questa, almeno, è la mia interpretazione dello strano vocabolo) si «mettono» nel torchio le uve, e subitissimo se ne «cacciano» fuori le bucce: il vino, fermentando così senza le bucce, resta “rosa” .

A San Severo, nella cantina di Michele Vezzano, detta anche Cantina del Concerto della Banda Bianca, su un grande tavolo ricoperto di carta gialla da macellaio, oltre a pizze, ecco frittate di maccheroni, scamorze, “crudità” freschissime, e una gran grigliata sulla brace: costatine di agnello e di vitello, rognoni, fegatelli e “torcinelli”. I torcinelli sono budelle di agnello, ripiene di animelle, prezzemolo, pecorino, e fortemente arrostite, quasi bruciate. Mi ricordano la “pagliata” romana e lo “haggis” scozzese: ma sono, fortunatamente, più delicati e più leggeri.

Infine, allo stabilimento Daunia Latte di Foggia, un ricevimento che non potremo dimenticare. Neanche se fossimo stati la Commissione internazionale del MEC, sei ministri dell’Agricoltura, avremmo potuto venire accolti con maggiore e più sostanziosa magnificenza. Niente discorsi, però, nessuna cerimonia noiosa. Matteo Castelli e Alessandro Tursili della Daunia Latte, il dottor Fesce del Consorzio Agrario, il dottor Villotti, il dottor Lacava ci guidarono, attraverso lo stabilimento, a una grande sala dove, da un lato, gli operai stavano in quel momento confezionando con le loro mani la famosa “Burrata”; e dove, al centro su una lunga serie di tavoli infiorati, erano trionfalmente disposti tutti i principali prodotti del luogo: con spicco particolare per i vari formaggi, freschissimi, freschi, stagionati, per le verdure e per i vini. Non tenterò nemmeno l’elenco. Dirò soltanto della “Burrata”: questo piccolo otre tutto di formaggio, contenuto e contenente, e che viene fatto a mano, con lavorazione rigorosamente artigianale. È, in principio, una palla. Alternativamente, la si immerge e la si ritrae da un calderone di latte e acqua, poco meno che bollente. A poco a poco, con le dita, lo si scava. Così, via via, aumenta di volume: finché diventa un sacco, e da ultimo lo si riempie di latte appena cagliato e di pezzetti tenerissimi di fior di latte. Gli orli, in graziosa forma di quattro petali, vengono chiusi e legati con un fuscello di paglia. Non esiste, tra i formaggi freschi, niente di più buono. E non inganni il nome. La “burrata” è tutt’altro che burrosa. Io, che, personalmente, detesto il latte e non ne posso trangugiare neanche una goccia sul tè, io, dopo aver provato la “burrata” di Foggia, ho dovuto convenire che il latte -purché rappreso, così fino ad assumere una consistenza leggermente callosa; purché cagliato, così, fino a perdere ogni untuosità; purché asciugato, così, smagrito e salato fino a richiedere uno spargimento e coronamento di pepe nero, e fino a volere qualche bicchiere di vino bianco o rosato – il latte produce, mediante un’operazione tutto sommato semplicissima e rapida, il miglior cibo del mondo.

L’unico guaio è che la “burrata” deve essere consumata sul momento, o nel giro di poche ore. Basta una breve permanenza in frigorifero per privarla di tutta la sua fragranza e levità. Morale? Imparate, o borghesi, o dannati al consumo, o ansiosi o ossessi dal problema del tempo libero, imparate a fare in casa la vostra “burrata”!

Reportage di Mario Soldati – 1979