LA SOCIETA’ COOPERATIVA VITICOLTORI SAN SEVERO

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LA SOCIETA’ COOPERATIVA VITICOLTORI SAN SEVERO
Vittorio Russi

Verso la metà del XIX secolo in Francia, nazione che detiene il primato nella produzione e commercializzazione del vino, si sperimentano varie tecniche per migliorare le qualità. Tra l’altro, si importano viti selvatiche dall’America settentrionale e ciò provoca l’introduzione in Europa di nuove specie di parassiti, che causano gravi malattie delle piante; ma, ciò che determina la distruzione della maggior parte dei vigneti francesi è la diffusione della fillossera, per la quale non si riesce a trovare un valido rimedio.
Il settore enologico francese è in piena crisi e i commercianti, per non perdere la loro vastissima clientela, sono costretti ad importare vini dalle nazioni, come l’Italia, che non sono state ancora colpite da questo flagello. Con il trattato commerciale italo-francese del 1863 le nostre esportazioni di vini aumentano notevolmente e, per far fronte alle sempre maggiori richieste, si impiantano dovunque nuovi vigneti.
Nel contempo a San Severo, dove si è sempre prodotto vino, la scarsa produzione è assorbita principalmente dal consumo interno e solo una minima parte viene commercializzata nei paesi vicini; inoltre, le qualità sono piuttosto scadenti, come apprendiamo da una pubblicazione della fine del ‘700 del canonico Gaetano de Lucretiis.[1]  Le prospettive di buoni guadagni spingono i nostri agricoltori ad incrementare la viticoltura, ma spesso mancano i mezzi economici necessari, mentre i grossi proprietari terrieri, a differenza di quelli di Cerignola, preferiscono continuare a coltivare cereali, attività molto meno impegnativa. Per questi motivi, l’espansione dei vigneti nel nostro territorio è piuttosto lenta e nel 1871 raggiungono appena un’estensione di 1234 ettari; in quest’anno si producono 45.000 ettolitri di vino, dei quali 17.000 venduti in loco e gli altri esportati. Di poco diversi sono i dati del 1875.[2]
Occorre attendere una decina di anni per giungere a 1700 ettari, ma le vigne sono sempre di dimensioni limitate e impiantate con il sistema tradizionale, alla “latina”, di scarsa resa e più soggette a malattie; inoltre, la compresenza di vitigni di varietà diverse non assicura una qualità di vino costante è ciò influisce negativamente sull’esportazione del prodotto. In questo periodo, i locali e le attrezzature per produrre e conservare i vini risultano molto spesso inadeguati; la maggior parte dei produttori è scarsamente istruita e non conosce nemmeno gli elementi basilari della tecnica enologica.

E’ una situazione molto diffusa anche in altre regioni e nel 1881 viene inviato a San Severo dal Ministero competente il prof. Giuseppe Froio per tenere delle lezioni di enologia, fatte poi pubblicare dal sindaco Filippo D’Alfonso.[3] In questo periodo, l’amministrazione provinciale concede al nostro comune un contributo finanziario per la costituzione di una Cantina Sperimentale, un ente che per oltre un secolo ha dato un valido contributo al miglioramento dei nostri vini.[4]
Nel frattempo, in Francia i viticoltori trovano il metodo per combattere la fillossera con l’innesto dei vitigni locali su nuovi ceppi di viti selvatiche americane, immuni dal parassita, e ripristinano i loro vigneti. Non più dipendenti dall’estero, nel 1888 i francesi ricusano l’accordo commerciale con l’Italia e introducono delle disposizioni protezionistiche che colpiscono le nostre esportazioni.
Tutto ciò determina una forte crisi nel settore vinicolo, che si ripercuote anche sulla fragile economia sanseverese, e nel 1889 si ha notizia nella nostra città di imponenti manifestazioni di braccianti e piccoli agricoltori.
Ad aggravare la situazione c’è il problema dei sottoprodotti della vinificazione, come la vinaccia, la feccia e i vini guasti, che vengono acquistati a bassissimo prezzo dai piccoli distillatori locali, in parte originari di Sant’Antimo, nel napoletano; uno di questi è Raffaele Amodio, insediatosi accanto all’attuale Cantina Sociale.[5] Tra le distillerie dell’epoca ricordiamo anche quelle di Luigi Colio, in via L. Mucci; di Nazario Fiorilli, in via T. Masselli, acquisita poi da Leonardo Gabriele; di Federico Fiorilli, su via G. Checchia Rispoli, divenuta in seguito Distilleria Fusco.
Per ovviare a tale situazione, alcuni grossi agricoltori sanseveresi, come Michele Colio, Filippo La Cecilia e Giuseppe De Lucretiis, fondano nel 1891 la Società Viticultori San Severo[6] e con un modesto capitale di lire 31.000 creano un primo impianto di distillazione nella contrada Tantillo o Tandello, situata forse in fondo all’attuale via Mazzini e poi inglobata nell’espansione della città.

L’iniziativa ha successo e ben presto confluiscono altri soci, che acquistano le azioni emesse al prezzo di lire 25. Migliorate così le condizioni economiche[7] , e ottenuto un finanziamento dalla Banca di San Severo, si decide di ampliare la distilleria, che inizialmente dispone di un unico alambicco e di un modesto locale con due soli impiegati: Antonio Rubino e Luigi Compagnone.
L’anno successivo, su progetto dell’ing. Morante, coadiuvato dall’ing. Lombardo, si comincia a edificare un nuovo stabilimento su via Principe di Piemonte (ora via Don Minzoni), in una zona esterna all’abitato, tra le odierne vie C. G. D’Orsi e G. Cerulli. Alla fine dei lavori il complesso comprende una palazzina per gli uffici, prospiciente la strada, un capannone con gli apparecchi di distillazione e un locale per la conservazione e invecchiamento dei distillati: inoltre, magazzini e tettoie dove sono depositate centinaia di botti di varie dimensioni. Lo stabilimento è recintato da un robusto muro, che dovrebbe impedire tentativi di furti o di contrabbando di alcool, mentre presso l’ingresso è la baracca dei dazieri, i quali controllano la natura e la quantità dei prodotti che entrano ed escono dalla fabbrica.
Inizialmente si produce solo alcool e tartaro grezzo[8] , ma si comincia a sperimentare un tipo di cognac invecchiato fino a cinque anni in botti di rovere, ad imitazione di quello francese. Per i liquori ci sono dei problemi causati dall’acqua troppo “dura” estratta dal pozzo dello stabilimento, per cui si usa anche quella fatta venire dal Serino, in Campania, o da Popoli, in Abruzzo, con un costo notevole.[9]
Dopo pochi anni, affinati i metodi di lavorazione, si producono diversi tipi di liquori, che cominciano ad avere un buon successo e che vengono anche esportati, ottenendo numerosi premi , come ricorda U. Pilla[10] : “1) Grande medaglia d’oro, con L. 2.000 di incoraggiamento, del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio al Concorso delle Società di Cooperativa tenutosi a Roma nel 1894. 2) Grande medaglia d’argento, premio della Camera di Commercio di Milano (1894). 3) Due medaglie d’argento, di cui una per il Cognac, l’altra per l’Anisette, del Ministero dell’Agricoltura (Esposizione di Napoli 1897). 4) Medaglia d’argento del Circolo Enofilo Italiano alla Fiera dei Vini Nazionali, tenutasi a Roma nel 1896, oltre due medaglie di bronzo per la Menta Glaciale e per il Castel Drione. 5) Grande medaglia artistica di bronzo per l’Acquavite e per i tartari grezzi della Società Filomatica alla XIII Esposizione Universale di Bordeaux del 1895. 6) Due grandi medaglie di bronzo per l’Acquavite e i tartari grezzi all’Esposizione Vinicola Italiana di Buenos Aires nel 1896. 7) Medaglia d’argento per l’Acquavite e medaglia di bronzo per i tartari all’Esposizione Vinicola di Asti nel 1898.”
In un articolo apparso sulla Gazzetta di Torino dell’agosto 1898, Il Casteldrione[11] , l’Anisette e il Phedron vengono definiti “di fama mondiale”. Questi i riconoscimenti ottenuti nell’800, mentre l’etichetta del Vino Chinato, stampata a Napoli e recante il ritratto di Vittorio Emanuele III, riporta la dicitura Casa fondata nel 1891 e ricorda venti medaglie d’oro e due diplomi d’onore.
Nel 1902 la nostra cooperativa è la più importante della Capitanata, con 95 soci viticoltori[12] ; ma non mancano gli scontenti, particolarmente fra i più modesti viticoltori, i quali non possono permettersi l’acquisto delle azioni della Società Cooperativa[13]. Ma, il futuro appare sempre più nebuloso, perchè a fine anno scade il trattato decennale fra l’Italia e l’Austria-Ungheria per le esportazioni agevolate nel settore enologico e ai nostri vini vengono sempre più preferiti quelli provenienti da altre nazioni, come la Grecia e la Spagna. Provvisoriamente questo trattato viene sostituito da un altro accordo che penalizza ancora più i vini sanseveresi, i quali difficilmente rientrano nei parametri richiesti dal governo austriaco circa la gradazione ed altre caratteristiche.
Le diminuite esportazioni determinano forti giacenze del vino invenduto nel 1903 e ci si preoccupa per la prossima vendemmia, in considerazione che le poche cantine esistenti in quest’epoca a San Severo non sono sufficienti ad immagazzinare anche la nuova produzione. Si giunge così alla crisi del gennaio 1904, che diviene terreno di aspro scontro politico[14] , data anche l’imminenza delle elezioni nazionali per la XXII Legislatura. Per iniziativa della Società dei Viticoltori, si è formato un comitato permanente per affrontare questo problema; ne fanno parte oltre cinquanta eminenti cittadini, i cui nomi sono riportati nel primo numero di saggio del giornale “Pro San Severo-Organo degli interessi vinicoli pugliesi“.[15]
La crisi, che investe anche altre regioni italiane, si fa sempre più preoccupante, per cui il governo nel mese di luglio emana una legge che stanzia notevoli somme per agevolare i piccoli produttori nell’acquisto delle botti e per favorire la costituzione di cantine sociali. In settembre si approva un nuovo trattato con l’Austria-Ungheria, nel quale sono previsti parametri più favorevoli per i vini italiani, ma che non sono sufficienti a salvaguardare i nostri prodotti.
Ormai la vendemmia è imminente e la giunta comunale, presieduta da Gaetano Croce, chiede al governo l’invio urgente di 1400 botti e di carri ferroviari provvisti di serbatoi per il trasporto del vino; tali richieste, però, vengono accordate solo in parte e con ritardo. Si temono manifestazioni e sommosse, per cui il prefetto di Foggia ordina al sindaco di San Severo di reperire locali e attrezzature idonee; così il comune provvede ad acquistare 150 botti e mette a disposizione l’ex convento di S. Bernardino, ma queste iniziative si rivelano insufficienti.

Il problema si aggrava in tutta la nazione, così il governo è costretto a concedere la distillazione agevolata del vino invenduto; è il primo provvedimento di questo tipo e purtroppo non sarà l’unico.
Questa disposizione incrementa notevolmente il lavoro della nostra Società Viticoltori, la quale trova anch’essa difficoltà nel reperire e riparare i recipienti per la conservazione del distillato, non essendoci sul posto valenti artigiani del settore.
Le azioni continuano ad essere emesse al prezzo di lire venticinque, come rileviamo dal certificato n. 99 del luglio 1906, firmato dal presidente Francesco Paolo Giuliani e intestato “Società dei Viticultori di Sansevero. Anonima Cooperativa prorogata per la durata di anni quindici”; tali azioni, acquistate anche da non soci, sono giunte ad essere quotate fino a L. 38,75. Della struttura dirigenziale della società conosciamo ben poco; da una lettera datata 4 aprile 1907 e indirizzata al sindaco Alfonso Scala, apprendiamo della sua nomina alla carica di proboviro, in sostituzione del comm. Giuseppe Mascia.[16]
Molti dati, riguardanti prevalentemente l’attività commerciale, ci vengono invece da un libro mastro che riporta i movimenti finanziari dal 1° marzo 1907 al 24 ottobre 1908.[17] Da questo “Giornale” ricaviamo, tra l’altro, i nomi di alcuni dei soci sanseveresi[18] e un lungo elenco di clienti, classificati come “Corrispondenti”, che spaziano dall’Abruzzo alla Calabria e ci indicano come in pochi anni i prodotti della distilleria sanseverese si siano già affermati in tutta l’Italia meridionale e si stiano diffondendo anche in Sicilia e, verso nord, fino a Firenze.
Nel registro troviamo anche i nomi di alcuni dipendenti, come Giovanni Damiani, con funzioni direttive; il contabile Luigi Compagnoni, probabilmente lo stesso del 1891; Nicola Porporino, rappresentante per vendita di liquori fuori zona; Giovanni Franco, che ottiene rimborsi per “servizi straordinari”, e altri senza specifiche attribuzioni.
Spigolando tra le quattrocento pagine del registro, notiamo che i recipienti in vetro vengono acquistati da fabbriche di Napoli, Porto Civitanova, Livorno e Milano[19] ; da Milano provengono anche le etichette e “gli involti in carta seta”. Ma non mancano fornitori esteri, come le ditte Slonek & C. e Schimmel & C., ambedue di Lipsia; Roller Giulio, di Francoforte; Vinter & Adler di Vienna.

Il fustame viene acquistato anche ad Ariano Irpino, ma sappiamo che la cooperativa fa venire da Pomigliano D’Arco, nel napoletano, il bottaio Antonio Terracciano. In questi anni altri artigiani del settore si trasferiscono a San Severo, particolarmente da Barletta, come Galante, Iacobazzi, Sernia, Soricaro, i quali costruiscono e riparano i recipienti e gli attrezzi in legno per le cantine; tra questi, alcuni esplicano occasionalmente anche l’attività di mediatori e si inseriscono poi direttamente nel settore del commercio enologico.
In questo periodo la crisi vinicola a San Severo sembra attenuarsi, ma si va avanti tra continue difficoltà e ne è riprova la fondazione di una Federazione dei Piccoli Viticoltori, diretta da Antonio Faralla, che nel 1908 ha la sede nel largo S. Antonio Abate ed ha in programma l’acquisto di un impianto di distillazione e la creazione di una cantina sociale; progetti che non vengono attuati perchè non si ottengono i finanziamenti. Non dimentichiamo che alla Società Viticoltori aderiscono solo grossi viticoltori, i quali possono permettersi di acquistare le azioni per divenire soci; gli altri continuano ad essere clienti dei “vinacciari” e delle piccole distillerie, che producono solo alcool grezzo e spesso sono in rapporti commerciali con la cooperativa, come quelle di Raffaele Amodio & Figlio, di Antimo De Blasio e di Domenico Fiorilli. Ricordiamo, per questo periodo, anche la società Santolini-Compagnone, su via M. Zannotti, sorta di fianco al campo sportivo verso il 1906 e durata una decina di anni.
In questi anni molti agricoltori, memori dei problemi degli anni precedenti, cominciano a dotarsi di propri locali per la lavorazione delle uve e la conservazione del vino, situati per lo più nell’ambito delle stesse abitazioni e in alcuni casi ricavandoli sotto fabbricati già esistenti; queste cantine private si diffondono a centinaia e rappresentano una caratteristica che distingue la nostra città da altri centri pugliesi a vocazione vinicola.[20]

Nel 1909, una nuova legge sulla tassazione dell’alcool prevede, tra l’altro, che ogni distilleria depositi in banca, come cauzione, notevoli somme proporzionate ai quantitativi di distillati in deposito; occorre, cioè, anticipare una parte dell’importo delle tasse prima ancora di aver venduto il prodotto. Tale provvedimento contraddice una legge del 1905, che incoraggiava la produzione di un cognac italiano che potesse competere nel tempo con quello francese. Sull’argomento la Società fa stampare un opuscolo che evidenzia le conseguenze negative di queste disposizioni, evidenziando le spese sostenute in un quinquennio per immagazzinare in nuovi locali 700 ettolitri di cognac a 65° , da invecchiare in oltre cento fusti di rovere di Slavonia costati 6.000 lire. Il pessimismo sul futuro di questa attività è riassunto in una frase significativa: “Perciò il cognac lo farà d’ora innanzi chi ha cospicui mezzi pecuniari, e di cognac vecchio davvero non se ne farà quasi più. Ecco le conseguenze del fiscalismo esagerato e prematuro...”.[21]
Questa legge blocca ogni possibilità di espansione della cooperativa, che, a corto di liquidità, non può aumentare la produzione di liquori e spesso non riesce nemmeno ad assicurare una regolarità di consegne ai clienti. Ciò che non scarseggia è l’alcool ottenuto dalle distillazioni agevolate e soggetto a diversa normativa fiscale, il cui prezzo all’ingrosso si è, però, notevolmente ribassato. Nel 1910 la Società distilla 25.551 quintali di vino, provenienti dalla superproduzione del 1907-1908, e 5351 quintali di vinaccia.[22] In quest’anno giunge finalmente anche a San Severo l’energia elettrica, con la possibilità di meccanizzare parte della lavorazione.
La concorrenza delle grandi distillerie, che dispongono di consistenti capitali, si fa più serrata, ma la crisi finanziaria è dovuta anche alla scarsa imprenditorialità dei ricchi possidenti sanseveresi, i quali, non tenendo conto dell’aumento di valore delle azioni della Società, preferiscono investire i loro guadagni nell’acquisto di altri terreni, piuttosto che incrementare l’attività di industrie che possano dare un reale impulso all’economia locale. Che differenza rispetto ai più modesti viticoltori, i quali con grandi sacrifici debbono affrontare l’arrivo nella nostra regione della fillossera, provvedendo a ripiantare i vigneti con i nuovi portainnesti e poi col sistema a filari, in sostituzione di quello “alla latina”.
In questo periodo si diffonde tra gli azionisti e i creditori della cooperativa il timore che ci siano seri problemi economici, per cui la dirigenza ritiene opportuno far redigere un resoconto contabile, che evidenzi chiaramente le consistenze attive e passive dell’azienda, con un inventario analitico dei beni mobili ed immobili posseduti al 1° marzo 1911.[23]
Questo documento, distribuito a tutti i soci e agli azionisti, inizia con una prefazione redatta per conto dell’amministrazione, nella quale l’avv. Alfredo Patruno spiega i motivi che hanno portato a tale provvedimento. In essa si evidenzia come “una Società, che ha un nome entro e fuori Italia, in Svizzera, in Francia, in Inghilterra, nelle lontane Americhe…così costosa, gravata dal fiscalismo il più esoso si esercisce con grandi capitali…” E ricordando “i tempi non lontani in cui i vinacciari, stretti in unione, rinvilivano i prezzi delle vinacce e fecce” invita chi di questi capitali dispone a impiegarli “in una industria che tanto bene ha fatto, tanto ne potrebbe fare in avvenire”.
Segue il resoconto contabile del revisore rag. Francesco Parisi, desunto dall’inventario compiuto dallo stesso Parisi, in collaborazione con l’avv. Patruno e con i consiglieri Gerardo Curtotti e Donato Ramieri.
Dai conteggi risulta un attivo di L. 565.310 contro un passivo di L. 473.307 e, quindi, un avanzo di L. 92.003. Se queste cifre possono tranquillizzare quanti temono il fallimento della società, la situazione rimane pesante, perchè la Banca Popolare Cooperativa chiede che venga liquidato il proprio credito di L. 155.000.
Il problema non è risolvibile neanche vendendo in blocco tutto il distillato e i liquori giacenti in magazzino, perchè non si riuscirebbe a risanare il debito e pagare contemporaneamente la tassa di fabbricazione sugli alcolici, ammontante a L. 218.744. Un rimedio sarebbe l’affluenza di nuovi capitali nella cooperativa, ma ci sono poche speranze in tal senso, in considerazione che l’iniziativa, già tentata, di offrire agli azionisti la sottoscrizione di buoni con un rendimento annuo del 4% non ha avuto molto successo.
Unica via di uscita è quella di convincere la banca creditrice a differire il pagamento del debito, in quanto una liquidazione volontaria della cooperativa porterebbe alla fine di una azienda importante per l’economia locale, particolarmente nei momenti di crisi del settore vinicolo. Nel frattempo, la vendita in piccole partite dei liquori e dei distillati , insieme alla eventuale produzione di vermouth con vino ceduto dai soci a prezzo di piazza, potrebbe consolidare lo stato patrimoniale della società.
Nella seconda parte dell’inventario, riguardante i mezzi di produzione e di commercializzazione, sono elencati i macchinari per il lavoro di distillazione, uno per il vino e un altro per la vinaccia[24] ; un apparecchio per rettificare l’alcool; un “macchinario trasformazione sambuca”; un enotermo[25] , una decina di pompe da travaso[26] ; quattro torchi per spremere le vinacce; due filtri; una tappatrice e una capsulatrice; un bilico pesafusti; tredici vasche di rame di varie dimensioni, fino a 115 ettolitri di capacità; 81 fusti di ferro; 243 fusti di rovere da 1 a 6 ettolitri; 187 fusti di castagno; oltre a 600 damigiane, bottiglie e numerosi altri attrezzi. Non mancano alcune curiosità, come un cuoci caffè (tostino); un mortaio di pietra; due barili “fuori uso”; tre carretti con tre asini, ma anche un biroccio (senza cavallo). Nell’elenco compaiono finanche i mobili dell’ufficio, con due stufe “ad alcool”, acquistate a Milano, che rappresentano un interessante esempio di autoconsumo.
Un settore dell’inventario è riservato ai liquori e agli ingredienti per fabbricarli ed è questa forse la parte più interessante per conoscere i prodotti che la distilleria offre alla sua clientela.
Il liquore di maggiore gradazione è il “Centerbe forte”, di ben 79°; seguono il “Rum nazionale” a 57°; il “Rum inglese”, l’Anice, il Cognac e la Sambuca a 52°; il Casteldrione e il Fernet a 40°.
Di 25 gradi sono il Vino Chinato e i liquori dolci: Alkermes, Anisette, Cacao Vanigliato, Caffè Moka, Centerbe Dolce, Cioccolata, Curacao, Igea, Mandarino, Maraschino, Menta glaciale, Rosolio di China. Inoltre, in deposito troviamo ben 11.135 litri di Vermouth a 18° e 3.915 litri di “Petite eau de vie” a 14-19°.
Ci sono anche scorte notevoli di essenze di Anice, Anisette, Caffè, Tamarindo, e, in piccole quantità, di Cannella, Cedro, Fior d’arancio, Iris spiritoso, Kummel, Menta, Olio di mandarino, Rum, Vaniglia e altre.
Tra gli ingredienti di base ricordiamo oltre undici quintali di anice in semi, poi Cacao alla vainiglia, Camomilla romana, Cardamomo, China, Ginepro delle Alpi ecc.; inoltre, alcuni prodotti particolari, come acido citrico, acido tannico, caramello, gelatina, glicerina, glucosio, manna, oltre a “erbe per 100 litri di Fernet”.[27] Come si vede, c’è una varietà notevole di prodotti, ai quali vanno aggiunti 385 litri di cognac invecchiato in botti di rovere e “vincolato al 1911”.[28] In questo elenco manca il Phedron, che ha avuto tanto successo nell’800, mentre di altri liquori abbiamo notizia da alcune etichette successive all’inventario del 1911, come Amaro Falstaff, Chartreuse, Flora del Gargano, Maraschino, Perfetto Amore, Punch, Rhum de la Jamaique ecc.[29]
Sulla bella etichetta dell’ Original Old Jamaica Rum, destinato all’esportazione, troviamo la dicitura Trade Mark e la precisazione che la ditta è Fornitrice della Real Casa. Sulle bottiglie di altri liquori, anche questi da esportare, compare uno stemma formato da uno scudo ovale affiancato da due leoni rampanti e dal motto francese Honni soit qui mal y pense, con sotto Dieu et mon droit.

Non disponiamo di una documentazione adeguata per seguire le vicende successive alla pubblicazione dell’inventario, ma la cooperativa riesce a sopravvivere anche ai duri anni della prima guerra mondiale. Un elemento chiarificatore sulla soluzione dei problemi finanziari della ditta è una lettera del 27 giugno 1918, che il nuovo presidente della cooperativa, Giovanni Bonapitacola, invia al dott. Vincenzo Recca. Tale documento, pieno di frasi retoriche, inizia con “Da poco si è reso all’Egregio Signor Francesco Paolo notar Giuliani un effetto estinto di lire 85.000, firmato, or è gran tempo, in nome proprio e quale vostro procuratore, per un prestito a favore della Società Coop. dei Viticoltori e prosegue esprimendo al dott. Recca la profonda gratitudine per aver dato all’azienda la possibilità di affrancarsi, dopo 25 anni, da un debito di lire 175.000  “più oneroso per l’avidità non sensata del Fisco Italiano”.[30] Su questa lettera troviamo l’intestazione “Società dei Viticoltori”, sormontata da un’aquila con le ali spiegate su un tondo che racchiude l’immagine di San Severino a cavallo e, in lettere molto più piccole, “Società Viticultori di Sansevero. Marca di Fabbrica”. Abbiano notato in altri casi l’uso indifferenziato dei termini Viticultori e Viticoltori e mentre in alcune etichette, stampate a Milano, compare la dicitura “Distilleria Cooperativa Sansevero”, in un documento, purtroppo non datato, troviamo “Società dei Viticoltori- Anonima Cooperativa di Produzione”.
La guerra è finita, ma la cooperativa, al pari di tante aziende italiane del settore, ora risente molto della perdita di importanti mercati esteri, come quello dell’ex impero austro-ungarico, nel mentre i costi aumentano notevolmente.
E’ un altro periodo di crisi per la nostra azienda, diretta nel dopoguerra da Domenico Damiani, mentre Michele Santagata è l’enologo e Biagio Giovanni Pazienza l’erborista; proprio le preoccupazioni per i nuovi problemi finanziari sono alla base di un evento che aggrava ulteriormente la situazione.
L’erborista Pazienza e un suo collaboratore, Giuseppe Carafa, si dimettono verso il 1921 e aprono una drogheria nell’attuale via A. Fraccacreta, dove ora è la sede della Banca di Roma.[31] I due soci iniziano a produrre alcuni liquori come l’Elisir China, il Flora e particolarmente il Drion, simile al Casteldrione, venduto poi anche in brocchette di ceramica multicolore recanti lo stemma della città.[32]

La diffusioni di questi prodotti è piuttosto limitata, ma la nuova concorrenza incide ulteriormente sull’andamento commerciale della Società dei Viticoltori, che cambia nuovamente denominazione; difatti, una ricevuta del 17 novembre 1921 riguardante la vendita al sig. Giuseppe Cinelli di lt 50 di anice a L. 10 il litro, reca l’intestazione Società Anonima Cooperativa Viticultori-Sansevero.[33]
Il forte aumento dei prezzi dei liquori si può rilevare da un confronto tra i dati del 1911 e una fattura del 1923, nella quale troviamo che il Cognac stravecchio, quotato nella prima parte dell’inventario a un prezzo massimo, alla minuta, di L. 5 la bottiglia, ora è fatturato a L. 17; ancora più cari sono il Casteldrione e l’Anisette, rispettivamente a L. 22 e L. 20 al litro.[34]
La distilleria riesce a sopravvivere ancora per qualche anno, come risulta da alcune date apposte su bottiglie conservate da collezionisti, come una di Casteldrione del 23 settembre 1926. Dello stesso anno è una bottiglia ancora sigillata, che riporta l’intestazione e il sigillo della ditta ma non il nome del liquore; la singolarità di questa bottiglia è nella bella etichetta a colori, che raffigura due grandi uccelli palustri che spiccano il volo, mentre un bollino apposto successivamente riporta: Volo 1926. Il contenuto è di colore scuro e forse si tratta di una confezione speciale di Cognac stravecchio, ormai ossidato, realizzata appositamente in occasione di un avvenimento importante; potrebbe trattarsi della Coppa Schneider, una gara di velocità per idrovolanti vinta nel 1926 da un aereo italiano, un Macchi M. 39.[35]

Abbiamo notizia di una bottiglia di Casteldrione del 1927; anche questa data, però, non appare direttamente sull’etichetta, ma è stata aggiunta dall’acquirente, per cui non disponiamo di riferimenti precisi sull’epoca di cessazione dell’attività della distilleria.
Ultimo riferimento sembrerebbe quello dell’Azzeruoli, la quale nell’ultima parte del suo libro tratta brevemente delle industrie e del commercio a San Severo nel 1933 e riporta in nota: Molto ricercato il “Casteldrione” che gareggia con lo “Strega” di Benevento.[36] E’ possibile, però, che l’autrice abbia utilizzato appunti presi prima di tale data, in quanto non avrebbe mancato di citare la fondazione dell’attuale Cantina Sociale Cooperativa, costituita nel 1932 come Società Civile per Azioni tra viticultori produttori vini di San Severo e che nell’anno successivo inizia la sua attività.
In ogni caso, siamo ormai alla fine di questa gloriosa industria sanseverese, che in meno di cinquanta anni si è fatta tanto apprezzare in Italia e all’estero per i suoi ottimi prodotti.[37] Lo stabilimento viene posto in vendita, mentre le procedure per la liquidazione dell’azienda, come ricordano i parenti dei dipendenti, vengono seguite dal Banco di Napoli.
La distilleria viene rilevata da una società che la trasforma in un impianto per estrarre l’olio residuo dalla sansa di olive, gestito da Vincenzo Zaffarano, di Vico del Gargano. La fabbrica passa poi alla ditta Novaro di Oneglia, che la utilizza fin verso il 1978; successivamente gli stabili vengono demoliti e l’area destinata a complessi edilizi prospicienti via Don Minzoni.[38]
Così, della gloriosa Società Viticoltori San Severo non è rimasto più nulla, se non qualche vecchia bottiglia conservata come ricordo dei tempi passati.[39]

Ciò che invece è sopravvissuto è un presunto ricordo, tuttora molto diffuso tra i sanseveresi di una certa età, riguardante la cessione della formula del Casteldrione alla ditta Alberti di Benevento, dalla quale sarebbe derivato il noto liquore Strega. Senza questa diceria probabilmente non avremmo mai iniziato ad affrontare una ricerca così complicata per la scarsità di documenti, su un’azienda ormai chiusa da circa ottanta anni. Abbiamo raccolto tra gli anziani varie versioni, di poco discordanti tra loro, che possiamo riassumere con quanto ci ha riferito un valente ebanista, mancato pochi anni or sono, secondo il quale la nostra distilleria, in un momento di gravi difficoltà finanziarie, avrebbe ceduto la formula del suo liquore più famoso ad Alberti di Benevento, convenendo che per un certo periodo sotto le etichette dello Strega apparisse la dicitura “Su antica ricetta del Casteldrione di San Severo”, oppure “Su concessione della Società Viticoltori San Severo”
Non nascondiamo che quando abbiamo iniziato ad interessarci di queste vicende, conoscevamo solo superficialmente i trascorsi della ditta beneventana e di quella sanseverese, per cui abbiamo cercato a lungo nei caffè della Puglia e della Campania qualche vecchia bottiglia di Strega, con la speranza di ritrovare la fatidica frase. Solo quando abbiamo raccolto una sufficiente documentazione, ci è stato possibile affrontare l’argomento senza pregiudizi ed ora possiamo tentare di comprendere quando e perchè si siano cominciate a diffondere queste voci.
Il tutto potrebbe essere iniziato quando i sanseveresi, non disponendo più del Casteldrione, lo hanno sostituito con lo Strega, notando una grande affinità per gradazione, fragranza e colore; da ciò è poi derivata una “tradizione” tipicamente campanilistica.
Ma le cose non sono così semplici. Il nipote di un operaio della Cooperativa ci ha riferito che quando l’azienda ha chiuso, ai dipendenti sono state distribuite alcune rimanenze di bottiglie di liquori e che, insieme a quelle di Casteldrione, ce n’era anche qualcuna di Strega. E’ perciò possibile che fra le due aziende ci siano stati effettivamente dei contatti, sia per forniture da parte nostra di qualche rimanenza di alcool rettificato, a prezzi particolarmente favorevoli, che per un probabile tentativo di cedere in extremis la fabbrica di San Severo alla ditta Alberti.
Non abbiamo trovato alcuna documentazione in proposito nemmeno a Benevento, dove ci è stato riferito che molto materiale è andato perduto a causa del bombardamento che durante l’ultima guerra ha gravemente danneggiato lo stabilimento.
Siamo tornati recentemente all’azienda Alberti, dove con grande cortesia ci è stata mostrata parte dello stabilimento e particolarmente il settore storico, dove sono conservati i vari ingredienti per produrre lo Strega e moltissime bottiglie di imitazioni nazionali ed estere. Quando abbiamo esposto il motivo delle nostre indagini, ci è stata suggerita la possibilità che sia stato il Casteldrione a derivare dal liquore beneventano e non viceversa. Tale opinione non ci convince, in quanto il liquore Strega nell’800 non era ancora così noto e diffuso anche in Capitanata da volerlo imitare; inoltre, non dimentichiamo che il Casteldrione ha ottenuto dei premi già nel 1896.
Molto più verosimile ci sembra la possibilità che entrambi i liquori abbiano avuto una comune origine, derivando da ricette utilizzate a scopo curativo dai monaci di antichi conventi; ma, mentre per lo Strega ciò viene esplicitamente ammesso, non abbiamo nessuna documentazione riguardante il nostro caso. Rimanendo sempre nel campo delle ipotesi, potremmo suggerire per la nostra distilleria un collegamento col convento francescano di S. Bernardino, sorto a San Severo nel XV secolo e soppresso nel 1866, un tempo conosciuto in tutta la Capitanata per la sua rinomata farmacia. Oltre alle erbe medicinali spontanee, raccolte probabilmente anche nel vicino Gargano, altre venivano coltivate appositamente nell’orto adiacente al convento stesso.[40]

Abbiamo avuto occasione di osservare fugacemente una ricetta redatta a mano su un foglio intestato alla cooperativa di San Severo e che ci è stata presentata come la formula originale del Casteldrione. Non sappiamo se ciò fosse vero, ma ricordiamo che al massimo vi erano elencate una quindicina di piante, con le relative dosi. Tale doveva essere, in effetti, la composizione della maggior parte dei liquori preparati in passato nei conventi, in quanto i monaci non sempre avevano la possibilità di procurarsi prodotti provenienti da località lontane. Presumiamo, perciò, che certi lunghi elenchi di ingredienti, anche esotici, presentati come componenti di alcuni vecchi liquori, abbiano principalmente lo scopo di disorientare eventuali contraffattori, mantenendo segreta la vera ricetta.
Se riduciamo in questi termini il problema, ne risulta che dietro la cosiddetta “tradizione” non vi è nulla di reale e che il glorioso Casteldrione non è stato imitato e non ha avuto imitatori, ma è solo il risultato dell’abilità degli erboristi della vecchia Società dei Viticoltori di San Severo.

Note
1: G. De Lucretiis, Trattato della piantagione delle viti e delle cause della disposizione dè vini a corrompersi e inacidirsi nella Puglia daunia, Napoli 1791.
2: V. Gervasio, Appunti cronologici da servire per una storia della città di Sansevero, Firenze 1871, pagg. 51-53. F. De Ambrosio, Memorie storiche della città di Sansevero in Capitanata, Napoli 1875, pag. 174.
3: Conferenze enologiche dettate in Sansevero per incarico del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio dal prof. Giuseppe Frojo. Raccolte dall’avv. Domenico De Girolamo, Napoli 1881.
4: V. Russi, La Cantina Sperimentale di San Severo, La Gazzetta di San Severo, 27 ottobre 2001, pag. 8.
5: Una carta topografica in scala 1:50.000, edita nel 1883 dall’Istituto Geografico Militare, riporta il toponimo “C. Lambicco” sulla strada per il convento di S. Bernardino.
6: Alcune notizie su questa distilleria sono in V. Russi, La Società Cooperativa Viticultori San Severo, La Gazzetta di San Severo, 2 giugno 2001.
7: Si rende poi disponibile la somma di L. 19.000 del fondo di riserva, prelevata sui dividenti annui a norma dello statuto della società.
8: La nostra distilleria compare in un questionario del Circolo Enofilo Italiano, con sede a Roma in via della Consulta n. 50, relativo alla produzione di cremor tartaro, destinato alle fabbricazione di acido tartarico.
9: Nel luglio 1908 vengono acquistate 127 “carrate” di acqua al prezzo di L. 1,29 ognuna.
10: U. Pilla, San Severo nel Risorgimento, S. Severo 1978, pag. 155.
11: La denominazione di questo liquore, dal colore dorato e dal profumo intenso, deriva dal nome mitico dell’antica San Severo.
12: F. Assante, Città e campagne nella Puglia nel secolo XIX, Istituto Italiano per la Storia dei Movimenti Sociali e delle Strutture Sociali, Ginevra 1975, pp. 81-82.
13: L’assemblea generale del 20 aprile 1902 proroga per quindici anni l’emissione di azioni della Società, del valore di lire venticinque cadauna.
14: M. Rosaria Tritto, La crisi vinicola di San Severo del 1904, Atti del 24° Convegno Naz. sulla Preistoria-Protostoria e Storia della Daunia, San Severo 2004, pp. 305-314.
15: La Società dei Viticoltori, con una lettera firmata dal presidente, notaio Francesco Paolo Giuliani, invita il cav. Mazzone, sottoprefetto di San Severo, ad una riunione del comitato indetta per il 17 gennaio 1904 a Palazzo Celestini.
16: Nell’intestazione di questa lettera troviamo la dicitura Società dei Viticoltori di Sansevero. Grande Stabilimento Industriale per la fabbricazione e raffineria dell’alcool. Tartari grezzi. Specialità in liquori finissimi. Vi è anche raffigurato lo stabilimento con quattro ciminiere fumanti, con intorno la riproduzione delle medaglie conseguite.
17: Abbiamo potuto consultare questo poderoso volume, acquistato presso la ditta B. Ulmann & C. di Milano, per la cortesia del dott. Alfredo Curtotti, al quale è pervenuto tramite il padre Donato e il nonno Gerardo, entrambi facenti parte della direzione della cooperativa. Dall’esame dei conteggi, che vengono chiusi al 30 giugno di ogni anno, risulta che il movimento generale dell’Esercizio 1906-1907 è di L. 2.848.732,53 mentre quello relativo al 1907-1908 è di L. 5.460.321,90.
18: Bocola Antonio, Bocola Vincenzo, Bonapitacola Vincenzo, Carile Rocco, Checola Luigi, Colio Michele, Curtotti Gerardo, D’Amico Salvatore, De Cesare Carlo, De Lucretiis Giuseppe, De Stefano Carlo, Di Capua Angelo, D’Orsi Donato, Formato Giuseppe, Gervasio Antonio, Giammetta Antonio, Giuliani Francesco Paolo, Marchese Antonio, Marchese Giuseppe, Marchese Pasquale, Mascia Giovanni, Mascia Simone e Silverio, Masselli Teresa, Moffa Alfonso (Eredi), Mucedola Antonio, Parisi Domenico (Eredi), Parisi Ferdinando, Patruno Alessandro, Prattichizzo Antonio, Recca Vincenzo, Ricciardelli Mario di Ottavio, Romano Michele, Rossi Luigi, Santagata Pasquale, Scaglione Tommaso, Stoduto Giuseppe,Tura Raffaele.
19: Nel 1907 vengono acquistate quasi mille bottiglie solo per il Casteldrione.
20: Lo scrivente da alcuni anni ha intrapreso un lavoro di schedatura delle attività enologiche a San Severo nel ‘900, raccogliendo notizie sui proprietari, l’epoca di inizio e fine dell’utilizzo delle cantine, l’attrezzatura e la capacità di lavorazione e di conservazione del prodotto. Un CD, con i dati relativi a quaranta stabilimenti vinicoli e quattrocento cantine private, è stato depositato presso la locale Biblioteca Comunale, a disposizione di quanti vogliano approfondire l’argomento. Nel frattempo le indagini continuano.
21: Società dei Viticoltori di Sansevero, Idee sul nuovo regime fiscale degli spiriti nei riflessi sulla viticoltura e su di una industria nascente del Mezzogiorno, Tipografia Fratelli Danza, San Severo 1910.
22: A. Fraccacreta, Le forme del progresso economico in Capitanata, Napoli 1912, nota a pag. 81.
23: Il fascicolo, che consta di 26 pagine ed è stato stampato dalla tipografia sanseverese Fratelli Danza, reca il titolo Società Cooperativa Viticultori-Sansevero- Inventario straordinario al primo marzo 1911. Considerazioni relative e provvedimenti per la continuazione dell’azienda. Ringraziamo l’amico Gino Biccari, il quale, con la consueta disponibilità, ci ha messo a disposizione questo ed altri documenti importanti per ricostruire le fasi più significative della storia della nostra cooperativa.
24: Questi apparecchi funzionavano col carbon coke, del quale sono in magazzino tredici quintali, valutati a L. 0,90 il q.le. Notiamo che nella contabilità del marzo 1907 risultano acquistate ventiquattro tonnellate di carbon fossile, pagato L. 29 la tonnellata, più il costo del trasporto ferroviario da Napoli; nell’aprile del 1908 altre ottantadue tonnellate, ma il prezzo è salito a L. 30,50.
25: E’ l’enotermo Nevkomm, acquistato nel 1908 a Milano, presso l’Agenzia Enologica Italiana.
26: Una pompa oscillante, completa di tubi di gomma e raccordi, è stata ordinata nel 1908 alla ditta Roller Giulio di Francoforte.
27: Nel 1908 vengono acquistati kg 166 di “erbe aromatiche” presso la ditta Giovanni Canzi di Milano e kg 40 di anetolo da Schimmel & C. di Lipsia.
28: Questo liquore è certamente quello più richiesto dalla clientela; non è un caso se nell’estate del 1908 vengono fatte stampare 10.000 etichette solo per le bottiglie di cognac.
29: Per la cortesia del sig. Michele Giannino, abbiamo potuto visionare una collezione di etichette di vecchi liquori un tempo venduti nel Caffè Italia, aperto da Gennaro Buccino nel 1924 e ancora esistente sul viale della Stazione.
30: Ringraziamo sentitamente il dott. Vincenzo Recca, nipote e omonimo del destinatario della lettera, per averci dato la possibilità di chiarire un importante e decisivo momento della vita della cooperativa.
31: Un volantino pubblicitario degli anni ’30 reca l’intestazione Premiata fabbrica di liquori Pazienza & Carafa – . Via Zannotti n. 7. Sansevero. All’epoca, via M. Zannotti iniziava da piazza Municipio.
32: Esemplari di queste eleganti brocchette sono esposti negli uffici della ditta P.A.P. di Giovanni Pazienza, nipote dell’ erborista della Società Viticoltori, che ringraziamo per la sua disponibilità.
33: Questa fornitura era probabilmente destinata al caffè Napoli, sito in via M. Tondi.
34: E’ la fattura n. 78 del 28.9.1923, intestata al Sig. Milano prof. Eduardo – Città. Per conto Comune di Sansevero, dell’importo di L. 418, ridotte a L. 397. Una curiosità, in quest’epoca il telefono è ancora così poco diffuso che la Cooperativa ha il numero 46.
35: Ci è stato possibile esaminare e fotografare questa bottiglia per la cortesia del proprietario, il compianto Luigi Parisi.
36: E. Azzeruoli, Un pò di folklorismo paesano coi sunti scolastici, Napoli 1934, pag. 143
37: Dopo la chiusura dell’azienda, uno dei dirigenti pare abbia provato a produrre in proprio il Casteldrione, ma l’iniziativa non ha avuto seguito.
38: Quando era in funzione la distilleria, il cancello principale veniva tenuto fermo da un blocco di pietra scura, con scolpito in bassorilievo un probabile fauno o un satiro e un grappolo d’uva. Il reperto, di epoca romana, è stato poi donato al prof. Luigi Schingo e si trova attualmente nel Museo Archeologico della nostra città.
39: Abbiamo potuto fotografare alcuni esemplari di bottiglie di Casteldrione, conservate da Luigi Parisi, Gino Marchitto e dalle cantine D’Araprì. A tutti la nostra gratitudine, ma ci è doveroso ricordare anche i tanti suggerimenti ricevuti dagli amici Michele Giannino e Paolo Pazienza, durante questi anni di difficili ricerche per ricostruire le vicende della nostra Cooperativa.
40: V. Russi, Conventi e monasteri distrutti in Capitanata: S. Bernardino (San Severo) e S. Giovanni in Piano (Apricena), Atti del Convegno su I Francescani in Capitanata (S. Marco in Lamis 1980), Bari 1982, pagg. 231-240.

 

Vittorio Russi
La Capitanata
Semestrale della Biblioteca Provinciale di Foggia
Anno XLVIII numero 24 – ottobre 2010 pagg. 127-142