LA DEGUSTAZIONE DEGLI SPUMANTI

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LA DEGUSTAZIONE DEGLI SPUMANTI
di Tullio De Rosa
La degustazione degli spumanti presenta delle caratteristiche peculiari che la differenziano sensibilmente da quella dei vini tranquilli.

Parlando di “degustazione degli spumanti” è necessaria. innanzitutto un’osservazione riguardante la manualità per una corretta stappatura della bottiglia al tavolo, in particolare durante un pranzo. Strappato adeguatamente il capsulone, limitatamente alla zona corrispondente al tappo, e tolta la gabbietta, è buona norma sbloccare sempre il tappo mediante un movimento oscillante a leva tra sughero e vetro a mezzo della apposita tenaglia leva-tappi, senza ricorrere possibilmente ad una rotazione del tappo, serrato tra le ganasce della tenaglia stessa, onde non creare presupposti per lo spezzamento di un tappo grippante. Avuta la netta sensazione dell’avvenuto suo sbloccaggio dal vetro, afferrare il tappo con la mano sinistra tenendo saldamente con la mano destra la bottiglia adeguatamente inclinata. Tenendo ferma la mano sul tappo, ruotare con fermezza la bottiglia sino a sensazione precisa che il tappo stia per fuoruscire. A questo punto trattenere invece il tappo e lasciarlo fuoriuscire con lenta progressione, sempre ben saldo in mano, sino a che un soffio (ripetiamo, un “soffio”, non uno “sparo”) ci indichi la fine dell’operazione.
Lo sparo, no, decisamente no! È un insulto alla dignità dello spumante e del tecnico che lo ha prodotto (lo concediamo, però semel in anno, solo alla mezzanotte di Capodanno). Sparare il tappo è un portare lo spumante ad un livello da luna park, e ciò non è certo degno della nostra raffinata educazione enoica.
Nei riguardi delle temperature da adottare in sede di degustazione, va sottolineata una distinzione. Se la degustazione ha il preciso scopo tecnico di porre in evidenza eventuali imperfezioni di un prodotto (degustazione cioè che si effettua solitamente nell’ambito interno di una azienda produttrice), la temperatura ottimale è piuttosto elevata, diremo sui 12 – 13 °C. Se invece lo scopo è quello di valorizzare lo spumante di fronte a se stessi o ai nostri ospiti, allora la temperatura deve essere notevolmente più bassa, cioè sugli 8°C e non di più. A tale scopo sarà necessario che lo spumante esca dall’armadio frigorifero a 6 °C, e solamente al momento di essere portato in tavola; ciò per tener conto dell’aumento inevitabile di temperatura che esso subirà, sia per gli inevitabili perditempi, sia per la temperatura relativamente elevata del bicchiere vuoto, sia per i normali indugi con cui lo spumante sarà quindi portato alla bocca. Perfettamente razionale a tale proposito l’uso del secchiello di ghiaccio in tavola, il quale consente allo spumante stesso di prescindere da qualsiasi vicissitudine termica negativa anche per tempi lunghi.

Ovviamente, trattandosi qui di degustazione di vini spumanti, la maggior parte delle considerazioni va incentrata su argomentazioni inerenti l’anidride carbonica, essendo invece gli altri parametri più o meno comuni a tutti i vini di pregio.
Comunque, poiché in degustazione si inizia sempre da considerazioni riguardanti la limpidezza e il colore, da questi anche qui inizieremo, passando subito dopo a quanto possa concernere la CO2.

La limpidezza è ovunque apprezzata come sintomo di tecnologia perfettamente condotta a punto, e pertanto anche negli spumanti costituisce un parametro di pregio. Va però sottolineato che, nel caso di spumanti di produzione familiare, e pertanto presentanti in bottiglia (del tutto analogamente ai vini sur lie) un sedimento di lieviti, o ancora nel caso di valutazione di uno champenois ancora nella fase precedente il dégorgement, una velatura più o meno sensibile è certamente probabile. È intuitivo pertanto che in tal senso una limpidezza non perfetta non sia certo da considerarsi parametro negativo.

Per quanto riguarda il colore, una prima importante suddivisione subito si impone: quella tra spumanti Charmat corto (e derivati) o invece Champenois e derivati (o Charmat lungo). Va evidenziato cioè che il colore negli Charmat corto bianchi deve essere un paglierino scarico, o anche molto scarico, senza peraltro sconfinare nel bianco carta. Tonalità questa parzialmente condannabile in quanto sospetta di derivare da trattamenti decoloranti che possono anche impoverire qualitativamente il vino. Tale paglierino molto scarico è poi giustificato in quanto forma prudenziale contro lievi incupimenti nel tempo di conservazione del prodotto finito, i quali potrebbero altrimenti condurre ad un paglierino troppo dichiarato e pertanto giustamente non gradito.
Negli Champenois invece (o negli Charmat lungo), la lunga sosta sulle fecce porta necessariamente ad una tonalità un po’ più carica che negli Charmat corto. Ne consegue che la loro intensità di tinta non può essere minore di un paglierino moderatamente scarico, senza assolutamente peraltro superare un paglierino normale.
Ciò vale essenzialmente per Champenois pas dosés. Per i dosés invece, e ciò vale anche per qualche brut che raggiunga o superi una gradazione zuccherina del1’1%, tale intensità necessariamente si carica ulteriormente in funzione diretta dell’entità del dosage, a causa dell’effetto leggermente ossidante del liqueur d’expédition. Ciò porta normalmente ad un paglierino normale (esecrabile peraltro, un paglierino carico). Ben pochi tecnici effettivamente si preoccupano della carica di ossigeno libero presente in un liqueur d’expédition o nel vino di ricolmatura_ Da ciò la verosimile imputazione che da esso possa probabilmente dipendere il noto fatto del declino qualitativo che, sia pur lentamente, inizia dal momento del dégorgement in avanti. Intuitivo come sia pertanto razionale, nel caso dei pas dosés, predisporre, in sede di tirage, di bottiglie colme oltre il livello di norma, in modo da non richiedere pareggiamento con altro vino al momento del dégorgement, pareggiamento che sarebbe invece necessario per ricostituire la perdita di liquido che inevitabilmente deriva alla bottiglia per questo particolare passaggio tecnologico.

Per quanto riguarda poi il colore dei rosati, è abbondantemente noto che un rosato razionale deve presentare anche leggere sfumature violacee, ma non assolutamente sfumature aranciate. Poiché le sfumature violacee sono sintomo della irrinunciabile gioventù di questi vini, contrariamente a quelle aranciate che ne denunciano invece la relativa decrepitezza, ne consegue che i rosati, a nostra opinione personale, devono essere riservati agli Charmat corto e costituiscono invece un non senso negli Champenois (o negli Charmat lungo), metodi che ovviamente non possono prescindere da un adeguato invecchiamento, il che li rende improponibili per i rosati in quanto toglie ad essi ogni caratteristica di freschezza. Il colore così non ne potrà derivare che aranciato smorto.

Negli spumanti rossi, sempre Charmat corto ovviamente, in quanto impensabili qui altri metodi a lungo invecchiamento, il colore deve essere un rubino vivace, senza alcuna cessione al rosso granato. Solo il rubino difatti è sintomo di gioventù, condizione appunto sine qua non per una validità di questi spumanti legati ad una vivace giovinezza. L’intensità di questo rubino è variabile. Piuttosto leggera in un Lambrusco, più carica in un Barbera o in un Freisa, nettamente più carica in un Recioto della Valpolicella.

Per quanto riguarda ora i vari aspetti della CO2, caratteristicamente contenuta in quantità molto elevate nello spumante, vi sono parecchie considerazioni da fare.

La CO2 (che fra l’altro dà luogo al caratteristico perlage, cioè allo sviluppo di coroncine gassose in seno allo spumante versato nel calice) va considerata sia sotto l’aspetto della durata della spuma che si sviluppa alla superficie del vino nel momento in cui questo viene versato, sia sotto quello del diametro delle singole bollicine che così si svolgono nel calice, sotto l’aspetto del numero totale di queste in una data unità di volume del vino e della durata complessiva del fenomeno stesso, quindi sotto l’aspetto dell’entità di formazione di spuma, artificiosamente causata a notevoli distanze di tempo dal momento del versamento nel calice (il prezioso fenomeno cioè dell’inerzia del vino a cedere il gas contenuto in sovrasaturazione), e infine sotto l’aspetto dell’influenza organolettica sul degustatore.

Prima di entrare in dettagli su questa serie di parametri di valutazione, sarà bene ricordare ancora come il calice più razionale per lo spumante sia il flûte (flauto, nella traduzione dal francese, in quanto vagamente simile al flauto diritto) e come invece sia del tutto irrazionale, e quindi da abbandonarsi, la coppa. Nel flùte difatti il vino si dispone in strato alto e stretto, con la minima possibile superficie libera disperdente del gas; nella coppa invece, lo strato è molto basso, con una superficie libera, e quindi disperdente, esageratamente grande. La CO2 difatti, fa parte integrante dell’equilibrio organolettico dello spumante, il quale pertanto deve essere degustato quando contenga la massima quantità possibile di tale gas.
Di più, il flûte consente di apprezzare il piccolo e piacevole spettacolo delle lunghe coroncine serpeggianti del perlage, al contrario delle cortissime coroncine possibili invece nella coppa.
Il flûte comunque va qui riempito ora per circa la metà della sua altezza (una dose cioè maggiore di quanto non sia consuetudine per la degustazione di vini tranquilli nei bicchieri a tulipano), in modo da concedere spazio al perlage, e contemporaneamente sufficiente spazio alla spuma che si sviluppa all’atto del versare.

In merito a detta spuma possiamo accettare come tempo ottimale per la sua scomparsa (essa cioè si riduce rapidamente ad un anello di bollicine in superficie in corrispondenza della circonferenza del bicchiere) un valore compreso tra i quattro e gli otto secondi. Meno di quattro secondi denunciano una spuma troppo fugace; più di otto denunciano una spuma troppo persistente, derivante da una tensione superficiale anomala per eccesso di carica colloidale o per altri squilibri compositivi del vino.

Per valutare il diametro delle bollicine del perlage va posta anzitutto attenzione sul fatto che inizialmente esse di regola si presentano molto grosse. Ovviamente il degustatore non deve tenerne conto, ma attendere un tempo minimo di due minuti prima di valutarne il diametro definitivo. Tale valore difatti va diminuendo rapidamente nel tempo e si stabilizza sui diametri minimi solitamente dopo tre – quattro minuti dal versamento. E intuitivo che la temperatura del vino non deve frattanto variare sensibilmente poiché è universalmente noto che il diametro delle bolle gassose è direttamente proporzionale alla temperatura del liquido. Quindi, non si tocchi il corpo del flûte con le mani!

Per una obiettiva e precisa valutazione dell’effettivo diametro delle bollicine, e della conta del numero delle coroncine presenti, ciò naturalmente non è possibile in sede di normale degustazione. Lo può essere invece solo in sede di ricerche sperimentali, ricorrendo a fotografie diapositive eseguite non su flûtes ma su vaschette in vetro a facce piane, onde evitare l’effetto “lente” che la superficie convessa del flûte causerebbe. Tali diapositive devono poi essere proiettate su un grande schermo, il che rende possibile, con l’aiuto di un normale decimetro, misurare il diametro delle bolle, riportandolo poi ai valori reali presenti nel vino entro il bicchiere. In linea generale, un perlage è più quotato qualitativamente, per quanto più sottile si presenti. Valori ottimali portano gli 0,1 millimetri di diametro. Ma attenzione, però: la misurazione difatti va riferita alle bollicine presenti a metà altezza del vino nel flûte. Esse in realtà sono appena percettibili nei punti della loro nascita, ma aumentano notevolmente di diametro man mano che si portano verso la superficie. Diremo che una bollicina a metà percorso ha un diametro dell’ordine della metà di quella che si è invece portata in prossimità della superficie del liquido.

A proposito del diametro di queste bollicine, va evidenziato che esperienze condotte dall’autore hanno dimostrato l’infondatezza di un luogo comune secondo cui gli Champenois avrebbero un perlage più minuto di quello degli Charmat. Ciò non corrisponde alla realtà dei fatti; i diametri sono del tutto simili. Quello che può invece far variare tale parametro non è il metodo di spumantizzazione, bensì le differenze individuali da spumante a spumante, indipendentemente dal metodo stesso.
Una osservazione è invece molto importante, e cioè quella relativa alle fortissime differenze indotte al perlage da ogni singolo bicchiere. E noto difatti come, in una commissione di dieci degustatori che ad esempio valutino contemporaneamente il medesimo spumante usando ovviamente dieci diversi bicchieri, si abbiano dieci diverse intensità di perlage. Si va cioè da un flûte del tutto “muto” ad un altro flûte ricco invece di molte coroncine filiformi (la causa è comunemente ascritta a piccole graffiature possibili in qualche bicchiere, o a presenza. di superfici ruvide, o a grani di polvere, tutti punti di sviluppo del gas). Ciò porta alla necessità di smerigliare un piccolo tratto al fondo dei flûtes da usarsi in degustazioni collettive. Tale punto smerigliato costituirà difatti in ogni caso un efficiente punto di sviluppo di coroncine e tenderà ad uniformare, in una forma abbastanza accettabile, il comportamento di ogni singolo flûte.

Com’è noto, la finezza e la durata del perlage dipendono da un ‘equilibrata carica colloidale del vino e dai valori della sua viscosità, nonché da una centrata temperatura in fase di presa di spuma .

Altre considerazioni importanti vanno fatte ora su quanto concerne la “durata di spumabilità”, cioè a dire in pratica, la valutazione dell’altezza della spuma che può essere provocata artificiosamente a lunga distanza di tempo in uno spumante già versato in flûte. Ciò naturalmente è un indice diretto del prezioso fenomeno che lo spumante presenta: quello cioè, già sopra accennato, di trattenere lungamente il gas in esso disciolto anche in forte eccesso, sempreché (e questo è di importanza fondamentale) il vino non venga agitato, permanga a temperatura costante e, se presente in una serie di flûtes, sia stato versato dalla stessa mano e con modalità il più possibile uniformi. È noto difatti come una bottiglia champenoise appena dégorgée e conservata stappata senza assolutamente subire scosse, riesca a portare a zero il proprio contenuto di gas presente in sovrasaturazione (diremo così, presentante 4-5 atmosfere se tappata) in un tempo dell’ordine di una settimana (la curva di decremento avrà un andamento di tipo logaritmico, o quantomeno quadratico). Se invece viene scossa, il gas in sovrasaturazione si svolge in qualche secondo solamente. Ne è controprova il fatto che se preleviamo dal nastro trasportatore una bottiglia di spumante subito a monte della tappatrice definitiva e le inferiamo un colpo secco al fondo, il vino ne fuoruscirà violentemente, spinto dall’impetuoso erompere del gas, sino addirittura a raggiungere il soffitto.

In tal senso è dimostrato come sia molto influente sul degasamento di uno spumante il variabile stato di agitazione conseguente alle manualità del suo versamento in una serie di flûtes. Più precisamente: se versiamo contemporaneamente lo spumante di un’unica bottiglia (e sempre con la stessa mano in una dozzina di flûtes, in ambiente termostabilizzato e ne controlliamo la spumabilità dopo un’ora dal versamento, mediante aggiunta esatta di un grammo di saccarosio cristallino, contemporaneamente in tutti i flûtes (tutte le sostanze solide cristalline aggiunte ad uno spumante ne fanno erompere violentemente il gas), noteremo delle fortissime differenze di comportamento da flûte a flûte, derivanti dalle forti differenze di contenuto in CO2 residua. In una tale esperienza si sono così misurate altezze di spuma variabili addirittura da due millimetri a ben otto centimetri. Differenze certo impensabili a priori e portantisi sulle quaranta volte. L’imputato maggiore è indubbiamente la non prevista forte differenza di agitazione che ogni frazione dello spumante subisce nel riempimento dell’uno o dell’altro flûte. Il parametro della spumabilità residua nel tempo di uno spumante (cioè in pratica la sua attitudine più o meno spinta a ritenere il gas) è pertanto da considerarsi inutilizzabile in prove di confronto fra spumanti diversi, se si ricorra alle normali manualità di versamento nei flûtes. Comunque, buona parte di tale effetto di ritenzione, o inversamente di rallentamento nella cessione del gas nel tempo, è legata anche ad un fattore importante: l’esistenza in seno allo spumante di una frazione della CO2 così detta “combinata”; di quella CO2 cioè legata a composti azotati (proteine, peptidi, non peraltro amminoacidi) da cui si sgancia con netto ritardo rispetto alla frazione invece sussistente come “libera”. Tale CO2 combinata rappresenta, in uno spumante ben preparato, da 1/6 ad 1/7 della CO2 totale. Da ciò il consiglio di ridurre al minimo possibile il trattamento con bentonite ai vini base, dato che questa può causare diminuzione (la bentonite capta attivamente i composti azotati) di un 40% circa nella durata di spumabilità e peggiora complessivamente il perlage.

Passando ora all’esame olfattivo, sarà buona cosa versare a rifiuto una parte del vino già in flûte (più sopra abbiamo proposto di riempire il bicchiere a metà; ora. sarà il caso di portarne invece il contenuto ad 1/4 onde disporre di un sufficiente spazio di testa nel flûte per meglio valutare i profumi dello spumante stesso).
E’ ora il caso di fare una fondamentale distinzione: quella cioè tra gli Champenois (ivi inclusi anche gli Charmat lungo) e gli Charmat corto, date le fondamentali diversità che di solito sussistono nelle loro rispettive caratteristiche olfattive.

Negli Champenois difatti è reputato carattere di pregio (non peraltro obbligatoriamente per qualsivoglia tipo di Champenois) la presenza in dose equilibrata del così detto “feccino”, termine questo abbastanza frequentemente usato in Italia per definire quel particolare profumo che ricorda quello dei migliori formaggi aromatici a pasta molle. Non è ancora sufficientemente attribuito tale profumo a questo o a quell’altro composto chimico, o a determinati raggruppamenti di composti. Certo che un tempo esso veniva attribuito particolarmente ad aminoacidi, ipotesi che oggi sembra diminuita di importanza. Comunque il feccino non è certo da includersi nel gruppo dei profumi fruttati e floreali e fa sí che uno Champenois o uno Charmat lungo siano da considerarsi anche come validi spumanti da pranzo.
L’intensità di tale profumo forse è maggiore in spumanti da vini base aventi già sviluppato una fermentazione malolattica (nella Champagne, molto a nord come limite viticolo, tale fermentazione è necessaria per ridurre le acidità qui molto elevate, mentre da noi è considerata più o meno inutile se non addirittura dannosa). Da ciò le iniziative di qualche tecnico spumantista italiano di allestire vini base per Champenois con parte dei componenti provenienti da vini a fermentazione malolattica già espletata. L’acido lattico stesso, così formatosi, e forse alcuni prodotti secondari della fermentazione malolattica probabilmente si potranno considerare dei precursori del feccino. Comunque, l’intensità di questo profumo deve essere equilibrata ed esso deve essere sufficientemente “giovane”. Lunghi invecchiamenti di Champenois feccini causano difatti una sua sgradevole evoluzione la quale sfocia in un odore che ricorda quello delle crisalidi del baco da seta (presente, ad esempio, a scopo di individuazione, in molti mangimi per uccelli). E ciò non è certo infrequente in vecchi champagnes, bevuti “ad orecchio”, da cui la nostra perplessità sulla validità “eterna” dei millesimés.

Negli Charmat corto invece il pregio corrisponde spesso a vini dotati di profumi fruttati e floreali (ad esempio nel Prosecco, o Cartizze che sia), o invece aromatici (il delizioso aroma di moscato dell’Asti Spumante), profumi legati sia alla gioventù di questi spumanti, sia ad un loro sufficiente residuo zuccherino, cui i profumi suddetti e gli aromi sono indubbiamente legati. Da ciò la nostra scarsa simpatia ad esempio verso un Prosecco brut. Non ne vediamo la giustificazione, e consideriamo che ciò porti ad una ingiustificata rinuncia alle tanto gradite caratteristiche di questo vino. È inutile, sempre secondo la nostra opinione, ricorrere ad un Prosecco per farne uno spumante brut; si può benissimo ricorrere ad un altro vino bianco a tale scopo e lasciare il Prosecco entro il suo ambiente così unico e così gradito se legato ad una moderata amabilità A maggior ragione poi se si parli di Moscato (a puro titolo di curiosità enologica, esiste in realtà qualche rarissimo esempio di Moscato secco, molto adatto nel particolarissimo caso dei cibi affumicati, difficilissimi diversamente da accostare a qualsiasi vino).

Nel caso di un Lambrusco (ovviamente preferibile come Charmat corto) è ben gradito il suo profumo di viole. Nel caso di un Recioto della Valpolicella, il suo evidente profumo di vaniglia che lo rende pressoché unico vino accostabile ai dolci al cioccolato.

Passando ora all’assaggio orale vi sono delle considerazioni da fare nei riguardi del tenore zuccherino presente in uno spumante.
Negli Champenois e Charmat lungo, di norma è prefento il tipo brut, con un residuo zuccherino possibilmente non superiore ad un 1% (ancora più graditi i pas dosés da parte degli “addetti ai lavori”), mentre per un Prosecco tradizionale tale valore si porta ottimamente sull’1,6-1,8 %, e per un Asti sul 6-8 %.

A proposito del contenuto zuccherino, la CEE presenta i seguenti limiti. Pas dosé: limite non precisato; brut: inferiore all’1,2%; extra dry: dall’1,2 al 2,0%; sec: dall’1,7 al 3,5%; demi sec: dal 3,3 al 5,0%; demi doux: limiti non precisati; doux: oltre il 5,0%.

A nostra opinione personale peraltro, non condividiamo il fatto che un brut possa superare uno 0,8%, attestandosi invece preferibilmente su uno 0,5-0,6%.
Com’è agevole verificare, la terminologia adottata in spumantistica nei riguardi del contenuto zuccherino è sensibilmente spostata rispetto a quella adottata per i vini tranquilli. Ciò in quanto la CO2 copre notevolmente la sensazione di dolce e fa utilizzare ad esempio il termine “sec” per un vino spumante a tenore zuccherino (il suddetto 1,7-3,5) tale che nel caso di un vino tranquillo farebbe classificare quest’ultimo decisamente nel gruppo degli “amabili”. Tale effetto coprente della CO2 è da tenere in piena evidenza quando si voglia ad esempio parlare del malcostume di frullare lo spumante in flûte onde ridurne drasticamente il contenuto in CO2 . Ciò può così trasformare un vino degustativamente secco in uno invece degustativamente amabile.

Nel caso degli spumanti rossi, questi in linea generale devono organoletticamente essere dolci. Il motivo è dovuto alla presenza di tannini, in dose inequivocabilmente superiore a quanto non si verifichi per i bianchi, tannini che creerebbero incompatibilità degustativa con la CO2, da cui la necessita di ammorbidire il contrasto ricorrendo alla presenza di notevoli dosi di zuccheri. Lo stesso può non valere peraltro per il Lambrusco, stante la povertà costituzionale in tannini di tale vino.

Importante in sede degustativa un’acidità vivace e sostenuta (si ricorre talvolta a tale scopo, ad anticipi sul momento di vendemmia), quale effettivo “polso” dello spumante. È chiaro che un ritocco in tal senso mediante acidificazione diretta in cantina ottiene risultati inferiori a quelli già presenti in un vino base sufficientemente dotato di acidità naturale. Limiti non sono qui agevoli: comunque proponiamo di non scendere sotto un 7 ‰ (o più realisticamente di non superare un pH di 3,1), considerando ben spesso ottimali i valori sul1’8,0-8,5 ‰ (o un pH di 3,0).
Per gli altri componenti degustativi, entriamo così nel campo dei normali vini tranquilli di pregio, sui quali non è pertanto qui il caso di soffermarsi.
Certo è che uno spumante, come vino di alto prestigio quale sempre dovrebbe essere, deve presentarsi fine, armonioso in tutti i suoi componenti, con buona persistenza (non si possono fissare limiti cronometrici al valore della persistenza poiché in tal modo si penalizzerebbero ingiustamente i vini non aromatici, data la costituzionalmente maggiore persistenza al gusto appunto degli aromatici).

Un discorso a parte ancora per la CO2 che in bocca deve dare una sensazione come di nebbia burrosa e non di un assieme di punte che punzecchino la nostra cavità orale. Come accostamenti un pas dosé o un brut Champenois sono adattissimi su un pranzo impostato su portate leggere (molluschi, crostacei, pesti a sapore delicato non però preparati in umido, formaggi); ma non certo sul dessert, di qualsiasi tipo esso sia. Per uno spumante fruttato l’accostamento ideale è sulla macedonia di frutta o su dessert poco dolce. Per uno spumante dolce, aromatico di moscato, su panettone o pandoro. Per i dessert dolci, al cioccolato, come già più sopra detto, un rosso dolce, evidenziante la vaniglia.

Da tutto quanto sopra, emerge finalmente come la degustazione degli spumanti presenti indubbiamente proprie particolari esigenze, aggiuntive a quelle necessarie per vini tranquilli di pregio. L’importante è poter così valutare le alte qualità degli spumanti e riconoscere loro i grandi meriti che effettivamente posseggono.

SCHEDA DEGUSTAZIONE SPUMANTI AIS

Alcune schede-guida per l’analisi sensoriale degli spumanti

 

Tullio De Rosa

nato a Spilimbergo (Pordenone) nel 1923, laureatosi in Scienze Agrarie a Bologna nel 1947, docente in Enologia dal 1966, ricercatore scientifico nel settore enologico presso l’Istituto Sperimentale di Viticoltura di Conegliano, di cui è stato anche direttore .
Ci ha lasciato alcuni anni fa.
Fra le sue numerose pubblicazioni scientifiche, molte sono dedicate ai vini spumanti nel cui campo era uno specialista.