I TRATTURI E LA STORIA

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I TRATTURI E LA STORIA

“…E vanno pel tratturo antico
al piano quasi per un erbai fiume silente
su le vestigia degli antichi padri….”
(G. D’ANNUNZIO, I Pastori)

Già in epoca protostorica i tratturi erano lunghe vie battute dagli armenti e dalle greggi, ma le loro radici affondano nelle tracce millenarie che antichissime genti ricalcarono nelle loro migrazioni seguendo sia l’istinto proprio sia il moto delle stelle, i corsi dei fiumi oppure i colori dell’orizzonte.  
 
Prima che Roma incidesse sulla penisola il più grande disegno stradale dell’antichità, che ancora oggi collega i centri principali dell’Italia, i tratturi accolsero intensi traffici commerciali, fino ad assurgere, in età moderna, a sistema viario di grado elevato grazie a caratteristiche tecniche dei tracciati, servizi offerti, disciplina dell’uso e mole di traffico.  
 
Il nome tratturo comparve per la prima volta durante gli ultimi secoli dell’impero romano come deformazione fonetica del termine latino tractoria, vocabolo che nei Codici di Teodosio (401-460) e di Giustiniano (482-565), designava il privilegio dell’uso gratuito del suolo di proprietà dello stato e che venne esteso anche ai pastori della transumanza. La transumanza definibile come spostamento stagionale delle greggi dai pascoli estivi della montagna a quelli invernali in pianura, ha costituito, nella realtà storica, un fenomeno molto complesso che ha coinvolto diversi aspetti della vita e della cultura. Nata come migrazione spontanea degli animali che seguivano i pascoli più verdi, divenne nel IV sec. A. C. un fenomeno gestito e controllato da un popolo: I Sanniti. 
L’allevamento ovino iniziò così a segnare il paesaggio condizionando la nascita delle città e centri commerciali che si svilupparono lungo il tracciato delle vie percorse dalle greggi: i tratturi. Consolidatosi in epoca romana, il sistema trovò la sua massima affermazione nel XV sec. con gli Aragonesi che mutuarono il modello organizzativo della Mesa spagnola adeguandolo, con opportuni correttivi, alle peculiarità dell’Italia meridionale. Così nel 1447, si iniziò a parlare in maniera compiuta della Dogana della Mena delle pecore, un’istituzione fiscale , con sede a Foggia, che provvedeva ad affidare i pascoli e ad esigere i tributi. Il sistema economico-sociale della transumanza si conservò fino alla legge con cui, nel 1806, Giuseppe Bonaparte ne sancì il termine. In realtà ci furono da parte dei Borboni ulteriori tentativi di riaffermazione del modello, ma ormai il processo di declino innescato dalle leggi bonapartiane era andato avanti in modo irreversibile in linea con i mutamenti del sistema politico-economico. 
Nel corso del secolo XIX la pastorizia trasmigrante cedette definitivamente all’agricoltura e anche se forme private di transumanza continuarono a sopravvivere, divennero sempre più modeste “isole di un arcipelago sommerso” (Paone N., La transumanza. Immagini di una civiltà, Cosmo Iannone Editore, Isernia, 1987). Oggi la transumanza delle greggi è estremamente ridotta e si realizza prevalentemente in camion, tuttavia è fondamentale comprendere come questo fenomeno abbia caratterizzato con forza il territorio molisano per il suo carttere di “terra di passaggio” tra i pascoli estivi dell’Abruzzo e quelli invernali della Capitanata.  
 
I tratturi erano strade particolari adibite alla transumanza, ricche di pascoli per le greggi in transito e delimitate, in seguito alle numerose reintegre, da cippi con la sigla R. T. (Regio Tratturo) che ribadivano non solo i confini ma anche la presenza dello Stato. Facevano parte di file interminabili che sui lati delimitavano le antiche vie in modo da segnalarne inequivocabilmente i confini rispetto alla proprietà privata. I cippi hanno forme diverse perché legati a tempi diversi e i primi risalgono alla fine del XVI sec. A metà del XV sec. Alfonso I d’Aragona aveva ampliato le sedi tratturali per adeguarle all’accresciuto numero di greggi transumanti. I terreni necessari erano stati acquistati per lo più dalle Università (Comuni) e dai baroni. Questi però approfittando del trambusto creato dalle guerre tra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII, se ne reimpossessarono. I pastori si lamentarono del fatto con re Ferdinando che nel 1508 ordinò la restituzione delle terre usurpate. Il successo dell’operazione non durò a lungo, perché usurpazioni e reintegre si alternarono nei tempi successivi senza tregua. Tra le giustificazioni dei proprietari figurava quella della scarsa visibilità del confine. Per porre fine alle tensioni sociali tra pastori e proprietari terrieri frontisti nel 1574 il viceré cardinal Granvela dispose che, con l’ennesima reintegra, venissero collocati termini di pietra lungo i confini in modo da rendere quest’ultimi ben visibili e chi avesse rimosso un termine lapideo rischiava la pena di morte. Ciononostante le usurpazioni continuarono, seguite da reintegre della Dogana. Nel 1650 re Filippo di Spagna cercò di rafforzare il controllo facendo redigere le piante planimetriche dei tratturi nelle quali, con disegni semplici, ma di grande valore storico, vennero riportati oltre ai termini lapidei molti altri elementi naturali e architettonici (paesi, opifici, taverne, chiese).   L’insieme dei tracciati e delle loro pertinenze possono essere considerati come il capitale fisso utilizzato per l’industria della pastorizia transumante.
Tali tracciati hanno inciso sulla fisionomia dell’ambiente culturale: si può dire che almeno dal IV secolo a. C. il Sannio diventò unità amministrativa, economica e politica di una certa consistenza derivando il suo assetto territoriale dalle vie armentizie longitudinali: queste costituirono la spina dorsale dei piccoli centri abitati e l’elemento stabilmente controllato di raccordo con il sistema di difesa e con i numerosi santuari. Sulla stessa griglia sempre meglio adattate alle esigenze del momento si svilupparono gli insediamenti di epoca romana, longobarda, normanna e anche nei secoli successivi continuò la presenza umana in quei comuni che vivevano delle risorse provenienti dalla transumanza. Piste viarie del Sannio interno preromano, che Roma tutelò, i tratturi furono dichiarati beni demaniali da Guglielmo I il Malo nel 1155, ma ricevettero un grande impulso sotto la dominazione aragonese, periodo durante il quale ne vennero ridisegnati i tracciati, stabiliti i limiti e codificati gli usi, sostenuti in seguito anche dai Borboni. Con l’unità d’Italia i tratturi principali furono assimilati alle strade nazionali e protetti (L’Aquila-Foggia, Celano-Foggia, Castel di Sangro-Lucera, Pescasseroli-Candela), gli altri subirono via via l’invadenza dell’agricoltura prima e del trasporto su ruota poi. Nel periodo di massimo sviluppo la rete viaria tratturale si estendeva da L’Aquila a Taranto, dalla costa adriatica alle falde del Matese con uno sviluppo complessivo che superava i 3000 km. All’ interno della rete stradale aragonese le piste erbose assumevano caratteristiche diverse a seconda della funzione da svolgere.
Vi furono pertanto i tratturi, la cui larghezza in età moderna raggiunse nella maggioranza dei casi 111 m, i tratturelli, di ampiezza compresa tra i 32 e i 38 m, e i bracci dai 12 ai 18 metri. I tratturi e i tratturelli erano decisamente più larghi delle corrispondenti vie di Spagna (dove le canadas reales misuravano 75 m e le canadas trasversos o cordeles erano di 37,50 m) e anche delle carraires francesi e delle trazzere siciliane, quest’ultime larghe non più di 32 metri. Alla loro sicurezza e manutenzione dovevano provvedere i Comuni (Università), ai quali il bando del doganiere ricordava in modo categorico: “….s’ordina che si tenghino li tratturi ampli e spaziosi almeno di trapassi sessanta “. Ancora: “.…s’ordina che siano mantenuti accomodati li ponti da dove passa la Regia Dogana”, aggiungendo che “l’Università facciano guardare li loro Territori da dove passano li locati et animali di Dogana; acciò non siano rubati, e succedendo il furto, siano tenute esse Università a rifare il danno” (il trapasso altro non era che il passo, misura lineare in uso in quell’epoca nel Tavoliere di Puglia e corrispondente a 7 palmi del valore ciascuno di 263,67 metri).
La Regia Dogana della Mena delle pecore di Puglia era una sorta di azienda di Stato dotata di ampi poteri amministrativi e giudiziari. Istituita da Alfonso V d’Aragona, detto il Magnanimo, re di Napoli nel 1442 con propria Prammatica (regio decreto) del 1 Agosto 1447, aveva a capo il doganiere, funzionario pubblico di particolare competenza proveniente dalla magistratura. Compito fondamentale della dogana era quello di acquistare gli erbaggi e concederli ai padroni di animali, dietro pagamento di un canone annuo, detto fida. Si trattava di contratti di natura particolare in quanto essi erano predisposti dalla Dogana, ente gestore del bene in regime di monopolio pubblico, e sottoscritto per semplice adesione dai contraenti, detti locati. Locato era il concessionario della locazione, cioè dell’estensione di terreno a pascolo, in cui durante l’inverno sostavano le pecore. Il Tavoliere pugliese era suddiviso in locazioni generali e particolari, le prime assegnabili ai pastori del Regno o forestieri, le altre riservate al bestiame dei feudatari e dei grandi proprietari terrieri. La condizione di locato comportava il rispetto rigoroso di diritti e doveri, tra i quali la partecipazione obbligatoria alla transumanza alle condizioni fissate dalla Dogana con bando annuale, pena l’ammenda di 132 ducati per ogni migliaio di pecore, l’equivalente cioè dell’imposta sottratta al fisco. La Dogana venne soppressa il 21 maggio 1806.
I tratturi furono strade molto particolari e per certi aspetti irripetibili. Disposti come meridiani (tratturi) e paralleli (tratturelli e bracci) essi formarono una rete viaria a maglie strette che copriva in modo equilibrato e uniforme tutto il territorio. Lateralmente ad essi, nei punti strategicamente individuati, vi erano dei pascoli chiamati “riposi”, che servivano per passare la notte all’interno di recinti smontabili o per attendere di passare la Dogana previa conta o dichiarazione sostitutiva dei capi per mandria (modello della scala a pioli” ).
I tratturi furono non solo strade ma anche pascoli per le greggi in transito; non corridoi di scorrimento, ma assi viari dotati di servizi e attrezzature per uomini e animali. Lungo i tratturi sorsero: opifici, modeste cappelle e chiese importanti di cui si conservano i ruderi o i documenti; taverne (quasi dei motel dell’epoca), boschi, opere pubbliche ed edilizie di varia natura (masserie, fontane, epitaffi monumentali, centri abitati). Molti sono i centri disposti lungo il percorso dei tratturi; tra questi sono comprese le importanti città di Campobasso, Isernia e Boiano.
Dimessi oramai da tempo quali via di comunicazione di persone, animali e merci, i tratturi sono diventati dei grandi musei all’aperto. E in quei luoghi dove ragioni diverse ne hanno consentito la sopravvivenza, essi costituiscono oggi anche delle preziose testimonianze storiche e culturali, segni nuovamente pronti ad accogliere l’uomo tecnologico alla ricerca di se stesso.

 
Andar per Tratturi
di Letizia Palesi
Slowfood febbraio 2008
Sulle “autostrade verdi” 
Il Molise è la regione che conserva le tracce più ampie dell’imponente rete di “strade degli armenti” disegnate nei millenni lungo la fascia appenninica compresa tra l’Abruzzo e la Basilicata. Dalla costa adriatica alle pendici del Matese, 454 chilometri di tratturi coprono una superficie superiore ai 4000 ettari (30.000 se si considerano anche i tratturelli e i bracci di collegamento), toccando 77 comuni.
 Ma 30 anni fa — dopo che, nel 1976, un decreto ministeriale ne aveva dichiarato l’interesse storico — i tratturi molisani si estendevano per 1515 chilometri. E dei 454 vincolati (sulla carta) con la legge regionale del 1997, istitutiva del Parco dei  Tratturi, meno della metà manterrebbero la larghezza stabilita da secoli in 60 passi napoletani, cioè 111 metri e 60 centimetri. Molti sono stati erosi per fare spazio alle colture o, peggio, a ogni genere di manufatti; alcuni sono già stati alienati e di un numero imprecisato si progetta la sdemanializzazione.
 In Molise, insomma, il patrimonio tratturale — simbolo della civiltà transumante e bene di inestimabile valore, anche nell’ottica di un suo recupero a fini di “turismo verde” — è in pericolo, tanto che quest’anno il Wwf l’ha incluso tra i 100 monumenti a rischio di estinzione nel mondo. Percorrere (a piedi, naturalmente, o in bicicletta o a cavallo) qualche tratto di quelle “vie delle greggi” significa anche reclamare un loro uso più consono, rispettoso e intelligente.
 
Sanniti e Romani
I principali tratturi che attraversano il Molise, collegando le montagne abruzzesi all’immensa piana pugliese del Tavoliere, sono, da sud ovest a nord est, il Pescasseroli-Candela (lunghezza totale 211 chilometri), il Castel di Sangro-Lucera (127), il Celano-Foggia (207), il L’Aquila-Foggia («tratturo magno», il più lungo d’Italia: 244 chilometri) e la sua diramazione Centurelle-Montesecco (120).
 Il tronco molisano del Pescasseroli-Candela, complessivamente in discrete condizioni, copre 65 chilometri, da Rionero Sannitico (altitudine 1051 metri, Comunità Montana del Volturno) a Sepino (698 metri, Comunità Montana Matese), passando per Isernia. Colonia e poi municipio romano con il nome di Aesernia (trasposizione latina del toponimo osco Aisernio), la città sorge sul crinale che separa le valli del Carpino e del Sordo, nei pressi di un villaggio paleolitico che risalirebbe a 730 000 anni fa; la cattedrale fu costruita, originariamente in stile greco-bizantino, su un tempio pagano italico del III secolo a.C. 
 
Porta Bovianum
Facilmente percorribili, gli ultimi 15 chilometri dell’itinerario consentono di visitare due siti importanti. Bojano, sede della Comunità montana matese, alle sorgenti del Biferno, è l’antica Bovianum (Bovaianom in osco), secondo Tito Livio la capitale dei Sanniti Pentri. Attraverso la Porta Bovianum il tratturo immette in Saepinum, nome latinizzato del sannita Saipins, insediamento sorto — con foro, basilica, teatro, terme, macello e tintoria — dove sgorgano le acque del Tammaro: «la più romantica tra le città dissepolte d’Italia», come la definì Guido Piovene, era una tappa fondamentale della transumanza, posta all’incrocio fra il tratturo Pescasseroli-Candela e il braccio Matese-Cortile, che fungevano rispettivamente da decumano e da cardo.
 
La Sagra dei misteri
 Il tratturo Castel di Sangro-Lucera mette in comunicazione le valli del Sangro e del Fortore, attraversando in Molise i territori di San Pietro Avellana, Roccasicura, Carovilli, Pescolanciano, Civitanova del Sannio, Castropignano: l’area pullula di vestigia preromane ma anche di cappelle e mulini ad acqua, alcuni trasformati in centrali idroelettriche.
 Da San Pietro Avellana, o da Vastogirardi, ci si può arrampicare fino ai 1416 metri di Capracotta, per visitare il giardino della flora appenninica. 
 
 Proseguendo sul tratturo si arriva invece a Campobasso, il capoluogo della regione. La sua parte più antica si sviluppa a ventaglio, fra strette viuzze e ripide scalinate, intorno al castello Monforte, costruito nel 1459 forse su una preesistente struttura difensiva normanna o longobarda. Caratteristica manifestazione folclorica è la Sagra dei misteri, che si svolge per la festa del Corpus Domini con la sfilata di 13 “macchine” settecentesche portate a braccia: ognuna rappresenta un quadro del Vecchio o Nuovo Testamento, animato da figuranti che, ancorati alle strutture, sembrano librarsi nell’aria.
 Sempre da San Pietro Avellana si diparte il tronco molisano del tratturo Celano-Foggia, che in circa 82 chilometri di saliscendi piuttosto impegnativi porta a San Giuliano di Puglia passando per Vastogirardi, Carovilli, Agnone, Pietrabbondante, Bagnoli del Trigno, Salcito, Trivento, Lucito, Castelbottaccio, Morrone del Sannio, Ripabottoni, Sant’Elia a Pianisi, Bonefro. I borghi più interessanti sono quelli di sommità: citiamo in particolare Agnone, «il paese delle campane», Bandiera Arancione del Tci, e Pietrabbondante, dove si trova uno dei meglio conservati siti archeologici sanniti.
 
Quasi in riva al mare
Spostiamoci ora verso la costa, nell’immediato entroterra di Termoli. Qui, quasi parallelo alla ss 16 e alla linea ferroviaria adriatica, corre il «tratturo magno» L’Aquila-Foggia, affiancato appena più internamente dal Centurelle-Montesecco, che la leggenda vuole calpestato anche dall’esercito di Annibale.
 Entrambe le “autostrade verdi” si possono imboccare per andare, in circa 35 chilometri per metà percorribili in ogni stagione, da Montenero di Bisaccia (Comunità Monte Mauro, come la vicina Guglionesi) a San Martino in Pensilis, dove arrivando il 25 maggio potremo assistere a una pittoresca corsa di buoi. Perché non solo le pecore sono – o erano — protagoniste, in questa ingiustamente misconosciuta regione d’Italia.
 
 
Testi di approfondimento
• «La civiltà della transumanza» di Edilio Petrocelli, Cosmo lannone Editore, 1998.
• «Abruzzo sul Tratturo Magno» di Autori Vari, Exorma Libri, 2011.
• «Il diario del pastore Nestore» di Nestore Campana, Edizioni Textus, 1998.
• «Tra Abruzzo e Puglia. La transumanza dopo la Dogana» di Saverio Russo, Franco Angeli, 2002.
 
Cartografia
• «Carta dei Tratturi», Istituto Geografico De Agostini.
•«Il Tratturo Magno L’Aquila-Foggia», Istituto Geografico Militare.