I Templari in Capitanata

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I Templari in Capitanata

I Templari ebbero come propria mansione il monastero di San Pietro in Torre Maggiore, che nel 1288 passò dai Benedettini al Ordine del Tempio.
In seguito, il 9 luglio 1295 il papa Bonifacio VIII attribuiva ai Templari di Torre Maggiore insieme il castrum di San Severo, San Andrea de Scarsia Rivalis, il casale dello stesso monastero e altri casali, chiese e pertinenze.
Da un documento del 3 novembre 1306 apprendiamo che il casale Royarium dell’abbazia di Torre Maggiore, donato da Bonifacio VIII, è stato oggetto di devastazione da parte degli uomini di S. Martino in Pensule, e di questo si lamentano con il re Roberto d’Angiò.
La domus di Torre Maggiore, la più settentrionale della Puglia, vide accrescere rapidamente le sua importanza tanto da essere ritenuta idonea per la celebrazione delle cerimonie d’ingresso all’Ordine.
Di una di tale cerimonia sappiamo dai verbali di una deposizione resa a Penne nel 1310 da frate Cecco.
Cavaliere TemplareQuesti, verso il 1297, dopo tre anni dalla ricezione nell’ordine fu mandato in Puglia in loco seu mansione Turris Maioris de Capitanata dopo fu sottoposto a dei riti che non era stato possibile celebrare a Roma.
In generale, nella Puglia settentrionale prevalevano gli insediamenti interni nelle fertili terre della Capitanata, ad eccezione di Manfredonia, che era un porto d’imbarco di un certo rilievo e Monte Sant’Angelo sul Gargano, tra l’altro meta dei pellegrinaggi medioevali.
Le domus della Capitanata erano dedite alla coltivazione e alla raccolta di cereali e legumi che venivano imbarcati per la Terra Santa.
Poiché molti dei beni templari in Capitanata furono confiscati per ordine di Federico II e ne fu redatto un inventario disponiamo di informazioni molto analitiche circa la consistenza del patrimonio fondiario templare e il reddito che esso produceva.
Dal Quaternus de excadenciis apprendiamo che la proprietà fondiaria templare nella Capitanata alla metà del XIII secolo era costituita da almeno 37 domus, 68 casalini, 24 terrae, 10 vinee, 10 peciae, 7 orti, 7 vineali, 3 saline, 2 oliveti, 1 tenimentum, 1 desertinum ed 1 terricella.
Cavaliere TemplareTali proprietà producevano grano, orzo, olio, vino e mandorle per un reddito annuo valuto in 197,80 once pari a 5,7 kg di oro.
A tale valore andrebbero aggiunti i redditi di altre terre templari, come Salpi e Lucera, non menzionate nel predetto inventario oppure per le quali non è fornito il reddito annuo.
 Si otterrebbe una resa annua, secondo i calcoli fatti dagli studiosi, molto prossima alle 250 once che farebbe annoverare il patrimonio fondiario dei Templari in Capitanata tra quelli più cospicui posseduti dalla Militia Dei (ed anche dagli altri Ordini cavallereschi) nel regno di Sicilia.
 Ciascuna comunità templare attiva in Capitanata, al fine di mantenere i livelli di produzione e di reddito sopramenzionati, si avvaleva delle prestazioni lavorative di servientes-rustici a seconda delle proprietà fondiarie da essa amministrate e delle colture praticate e, in caso di necessità, anche del contributo di lavoranti stagionali.
Secondo i calcoli fatti dal Bramato in Capitanata dovevano essere presenti almeno una trentina di servientes-rustici dediti a tempo pieno all’attività agricola.
Per il sostentamento di costoro venivano spese circa 21 once annue.
Accanto a tali costi i bilanci delle fondazioni templari dovevano comprendere anche l’autoconsumo di milites, presbiteri ed oblati, le spese per la manutenzione delle chiese e delle proprietà fondiarie, per l’alimentazione di cavalli e buoi, per l’acquisto di nuovi terreni e il pagamento dei censi, per gli abiti, la cera e l’olio per le lampada e tutto quant’altro indispensabile per l’ordinaria amministrazione e la vita quotidiana.
Al netto di tali costi restavano 120-150 once all’anno che venivano impiegate per inviare derrate alimentari in Terra Santa tali da consentire il sostentamento di circa 300 confratelli (secondo dei calcoli effettuati dagli studiosi) oppure per l’acquisto di capi di bestiame
Il 25 gennaio 1313 Roberto d’Angiò, per parte dei cavalieri dell’Ospedale di San Giovanni, scriveva a Bartolomeo di Capua e Giovanni Pipino di Barletta, affermando che la baronia di Torremaggiore e San Severo in Capitanata, già dei Templari, era in loro possesso come tutti i beni appartenenti all’Ordine soppresso.
(Vito Ricci)
 
 
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