EQUILIBRIO GUSTATIVO del VINO

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Il piacere della bocca è un momento determinante della degustazione, perché intimamente legato al godimento del corpo tout court. Quando il vino entra nel nostro cavo orale possiamo scoprire la fisicità del liquido, straordinaria sensazione che arriva senza preavviso. In bocca, oltre al tatto, si avvertono il sapore e il gusto, due impressioni che hanno ruoli e valori diversi, sebbene nel linguaggio comune siano usati come sinonimi. Dunque il vino in bocca provoca diverse sensazioni, di solito raggruppate sotto l’espressione di “sapori costitutivi del gusto“. Si tratta di un significato chimico, quello delle molecole solubili in acqua, ma che può provocare allo stesso modo sensazioni fisiche come l’astringenza, la durezza, la secchezza…
A proposito di un vino, si può sentir parlare di “gusto dolce” oppure “sapore astringente” o ancora “sapore di mela“. Peccato che nessuna delle tre espressioni sia giusta. Nel primo caso, seppure sia coinvolto il senso del gusto, è più corretto parlare di sapore dolce. La percezione di astringenza, sebbene avvertita in bocca, è una sensazione tattile (di tipo chimico) alla stregua del piccante, del pungente o del frizzante, che non sono sapori come l’acido, il salato e l’amaro. Nel dire sapore di mela (di banana, di catrame, di tabacco, ecc.) l’errore è più evidente: il suo rilevamento non avviene sulla lingua bensì all’olfatto, per questo è più corretto dire “gusto di mela”. Infatti, grazie al movimento della lingua, al calore della bocca, all’aerazione dovuta alla respirazione, alla meccanica della deglutizione e all’attacco degli enzimi della saliva, le molecole odorose ancora imprigionate in ciò che ingeriamo si volatilizzano e raggiungono, attraverso la via retronasale posta alla fine del palato, i recettori presenti nella mucosa olfattiva. Tali sensazioni non essendo elaborate dai recettori delle papille gustative, non possono essere definite sapori. Per averne la prova, è sufficiente assaggiare a naso tappato il succo di limone e quello di arancia: la differenza non sarà percepita.
Sottolineare l’indissolubilità del rapporto tra naso e bocca aiuta a capire quelle che possono sembrare incoerenze e che, invece, sono comportamenti aderenti alle leggi della chimica e della fisica. Tra l’esuberanza odorosa e la ricchezza gustativa vi è una relazione inversamente proporzionale: salvo rare eccezioni, quanto più un vino è comunicativo al naso tanto meno sarà caratteriale in bocca.

Le molecole del sapore
Non sempre esiste una correlazione evidente tra il tipo di sostanza chimica, ovvero la forma della molecola, i gruppi chimici presenti e il sapore che si manifesta. Il sapore acido nei cibi è dovuto alla presenza di acidi organici (tartarico, malico, citrico, lattico, acetico ecc.), che però denotano sfumature di gusto differenti. I composti che danno la sensazione del salato sono ioni, derivanti in prevalenza dai sali, ma ci sono alcuni sali che hanno altre qualità gustative, per esempio l’amaro (solfato di magnesio). La variabilità è ancora maggiore per gli altri gusti. I carboidrati (o glucidi) semplici sono i composti dolci per eccellenza, tanto che hanno il nome comune di zuccheri; alcuni tra questi, però, dolci non sono. I dolcificanti artificiali come l’aspartame o la saccarina non hanno niente in comune dal punto di vista chimico con i carboidrati, essendo proteine; la saccarina in elevate concentrazioni, tra l’altro, assume un sapore amarognolo. Altre proteine a gusto spiccatamente dolce, la monellina e la taumatina, sono presenti nei frutti di due piante africane e sono estratti per produrre dolcificanti naturali.
Il gusto amaro può essere dovuto a una vasta gamma di molecole, come per esempio:
– la caffeina presente in caffè, tè e cacao;
– l’isoumulone presente nel luppolo, sostanza amaricante impiegata nella produzione della birra;
– la parigina del pompelmo;
– il sodio benzoato usato come conservante nei cibi;
-gli isotiocinnati, famiglia di composti presenti in vegetali appartenenti alle crocifere, come cavolo, broccoli, cavolini di Bruxelles, rape.
L’umami è invece collegato agli amminoacidi delle proteine presenti in carni, pesce, uova, legumi, eccetera.
Le molecole del gusto

per il VINO
Sorseggiare un vino valutandone il sapore sembra la fase più facile da affrontare per chi inizia a degustare. È proprio vero? Sì e no. Da un lato è vero, perché fin da piccoli abbiamo sviluppato automatismi per capire che tipo di alimento abbiamo in bocca, e se ci piace o meno. Con una minima concentrazione sulle nostre sensazioni capiamo se stiamo bevendo qualcosa di prevalentemente acido, o di amaro, di dolce, di salato, di caldo o di freddo. Dall’altro lato la faccenda è più complessa.
Il vino è dal punto di vista chimico una bevanda acida, e contiene non di rado sostanze dal sapore amarognolo. Di qui il fastidio che i bambini – e le persone più legate ai consolanti sapori infantili, che amano il gusto dolce e detestano acido e amaro – dimostrano per tutti i vini non dolci, bianchi o rossi che siano. Per molti scienziati, d’altronde, l’attrazione per il gusto dolce è innata, così come la repulsione per il gusto amaro (che nelle prime prove dei nostri antenati per capire se una pianta era commestibile o meno segnalava una sostanza quasi sempre tossica). Tutti insomma da bambini amiamo il gusto dolce, ma dobbiamo educare il palato per apprezzare il sentore amaro di certi cibi (i cavoletti di Bruxelles, per esempio) o appunto di molti vini rossi.
Viene riportato di seguito la lista delle sostanze proprie dei vini che agiscono sul gusto. Questi costituenti sapidi sono in parte ancora oggetto di studio e sono circa quaranta.

Il gusto del vino o flavor (anglicismo) significa l’insieme di sapori, odori, sensazioni tattili e addirittura termiche, oltre a quelle trigeminali.
Gli equilibri gustativi tra i diversi componenti del vino agiscono sul senso del gusto e l’equilibrio al livello più alto, l’armonia.

Nell’elaborazione di un determinato vino si cerca di raggiungere l’equilibrio tra sapori affinché nessuno di questi prevalga e meriti la disapprovazione da parte del consumatore. Se ci si riesce, i critici gastronomici parlano di un vino rotondo.
Il vocabolo corretto dal punto di vista tecnico è armonia.
Semplice o ricco di sfumature, economico o costoso che sia, ogni vino dovrebbe avere idealmente un buon equilibrio. Che cosa si intende per vino equilibrato? È intuitivo: si intende un vino che non ha alcuna «voce» gustativa in eccesso. Quindi un vino dove non si avverte né un’acidità fuori misura, né un alcol troppo forte, né un’astringenza fastidiosa, e nemmeno una morbidezza troppo marcata. Soprattutto, la successione degli stimoli gustativi deve avere linearità e continuità, senza picchi o «cadute» improvvise. Piccoli squilibri, in particolare tannici, si danno per scontati nei vini giovani, ma in un vino maturo segnalano senz’altro un limite qualitativo.

Il gusto del vino è in gran parte il risultato di un equilibrio tra gusti dolci o zuccherini e sapori acidi e amari. La qualità è sempre in rapporto con una certa armonia di questi gusti; uno non deve dominare l’altro. Questo è vero per dei vini bianchi morbidi e liquorosi che contengono zuccheri riduttori, ma lo è anche per vini bianchi secchi e per vini rossi che non contengono zuccheri. L’esperienza dimostra, in effetti, che il primo posto tra le sostanze del vino a sapore dolce spetta all’alcol.

La cosa più difficile da accettare è forse la realtà del gusto dolce dell’alcol ed è una reticenza che esiste. Questa dolcezza non è affatto della stessa natura del gusto dello zucchero in cristalli, è meno pura, meno esemplare. L’alcol etilico da una sensazione zuccherino molto limitata, ma alle concentrazioni in cui si trova nei vini, il sapore dolce dell’alcol è importante. E’ facile constatare che già a 4° (32 grammi per litro) una soluzione alcolica in acqua ha un sapore nettamente dolce, senza che si possa quasi riconoscere il gusto particolare dell’alcol. Per definirlo s’impiegano gli aggettivi dolciastro, dolcigno, che esprimono una certa opacità. A concentrazione più forte, il leggero bruciore dell’alcol sulle mucose modifica e altera un po’ l’impressione puramente dolce. La dimostrazione migliore consiste nell’assaggiare comparativamente tre soluzioni contenenti 20 grammi di saccarosio per litro, presentate una senza alcol, le altre due con 4° e 10° di alcol (80 grammi per litro). È evidente per tutti che il sapore dolce aumenta in maniera considerevole in presenza di alcol: sembra quasi raddoppiato nel primo caso (4° alcolici). Al contrario, 20 grammi di zucchero per litro non attenuano il sapore caldo dato dal dieci per cento di alcol. Chi ha fatto questa prova non può confutare la considerevole influenza zuccherina dell’alcol. La prima impressione del vino in bocca, il vellutato dell’attacco devono essere attribuiti all’alcol.

I gusti dolci e i gusti amari, o ancora gusti dolci e gusti salati si mascherano in maniera reciproca. Sono fenomeni d’interferenza, di concorrenza o di compensazione. Questi gusti si attenuano a vicenda, ma tuttavia due gusti non arriverebbero ad annullarsi l’un l’altro e a produrre una soluzione insapore dall’unione di due sostanze sapide. Si ritrovano vicini, simultaneamente, semplicemente un po’ ridotti. Se si acidifica una soluzione dolce, si diminuisce l’impressione dolce che essa dà, d’altro canto, se si zucchera una soluzione acida, si attenua l’impressione acida. Tuttavia, si distingue sia il dolce sia l’acido e si può portare l’attenzione, di volta in volta, su ciascuno di questi gusti. Queste nozioni sono abbastanza note: si ha l’abitudine di zuccherare le fragole, la macedonia di frutta o il succo di limone spremuto per renderne sopportabile l’acidità. Per un certo rapporto di concentrazioni, ad esempio 20 grammi per litro di saccarosio e 0,8 grammi di acido tartarico, è possibile dire che il sapore dolce equilibra il sapore acido. Se si aumenta la quantità di acido, il sapore acido predomina; si constata il fenomeno inverso se si aumenta la concentrazione in zucchero.
Una bevanda industriale a base di succo di frutta deve a volte essere acidificata con l’acido citrico per sembrare equilibrata.
La posizione d’equilibrio è diversa in base alla sensibilità personale ai due sapori. Il criterio personale di apprezzamento di questo equilibrio dipende anche dai gusti acquisiti e dalle abitudini di vita, è moto che: nei paesi germanici , scandinavi e americani l’equilibrio giudicato soddisfacente comporta una forte predominanza di zucchero sull’acidità; lo stesso per i palati femminili e per i consumatori delle zone urbane; ma nelle zone rurali, dove ci sono ancora delle gole resistenti, si preferisce l’inverso.

Per restare sempre nell’ambito dei vini, la totalità degli spumanti brut contiene, infatti, fino a 12 grammi di zucchero per litro, per addolcire la vivacità acida di questi vini . I cava, i vini spumanti di qualità della Spagna, meno acidi, sono meno “dosati” e meno dolci. Il gusto dolce a 20 o 40 grammi di saccarosio per litro cancella il carattere poco gradevole dell’amaro, dato da 10 milligrammi di solfato di chinino. Per la stessa ragione, si zucchera il caffè o il tè, stavolta per compensare i gusti amari della caffeina e soprattutto dei tannini.
Si può prendere un altro esempio nel campo delle bevande da aperitivo: la grande ricchezza di zuccheri dei vermut ha come scopo di compensare l’amaro della china e di altri principi amari. In presenza di zucchero l’amaro continua a essere percepito, ma la sensazione d’insieme non è più sgradevole. Del resto, l’amaro dà gusto a una soluzione dolce.
L’effetto dello zucchero è lo stesso sull’astringenza del tannino. La sua presenza ritarda il momento in cui cominciano a comparire i gusti amari e astringenti e ciò quanto più esso è concentrato. Quando si assaggia una soluzione di tannino a un grammo per litro, la percezione tannica è immediata; con 20 grammi di zucchero, essa viene ritardata di due o tre secondi e l’impressione finale non ne è diminuita; con 40 grammi, l’azione dello zucchero copre il tannino dai cinque ai sei secondi e l’astringenza ne risulta attenuata.
Al contrario, l’alcol, lontano dal correggere l’astringenza, ne accentua piuttosto il finale sgradevole. Numerosi vini rossi moderni, molto tannici, molto alcolici, hanno adesso alcuni grammi di zuccheri residui, non direttamente identificabili, ma che apportano un po’ di dolcezza al vino.
Piccole quantità di zucchero smorzano il gusto salato; al contrario, un po’ di sale rafforza il sapore dolce, osservazione ben nota e di profitto in pasticceria.
Il gusto salato del vino è lontano dall’essere trascurabile. La presenza salina più forte è sicuramente rappresentata dal bitartrato di potassio, di cui si possono avere da 3 a 5 grammi per litro, secondo il tenore in acido tartarico del vino e il suo pH. Una soluzione di bitartrato sembra avere, all’inizio, solo un gusto acido, ma a confronto con il gusto aggressivo e duro di una soluzione di acido tartarico non salificato, si percepisce molto bene la soluzione salata che ne aumenta la sapidità e la freschezza.
Quando si assaggiano soluzioni che presentano gusti elementari, si constata rapidamente che il gusto dolce è veramente l’unico in grado di procurarci una sensazione gradevole, che noi ricerchiamo. Infatti, noi amiamo, fin dalla nascita, ciò che è dolce, vellutato, zuccherino, spesso senza rendercene conto: si è parlato dello zucchero come “droga dolce”. Accettiamo gli altri sapori nella misura in cui sono lievi o attenuati dal gusto dolce, tuttavia, questi gusti sono indispensabili per dare volume gustativo a un composto e noi apprezziamo maggiormente un insieme in cui siano riuniti i gusti salati, acidi e amari, bilanciati da un sapore dolce ben calibrato. A confronto, la soluzione dolce sembra insipida e senza fascino. Amiamo la complessità dei sapori dove il gusto dolce ci protegge da un eccesso di acidità e amaro. Quanto al sale, è un modo per far risaltare la piattezza dolciastra dello zucchero.

Un altro concetto importante è l’effetto di sommatoria dei sapori sgradevoli.
L’amaro e l’astringenza rinforzano l’acidità e la rendono eccessiva; l’acidità copre dapprima l’amaro, ma ne accentua la percezione nel retrogusto; l’astringenza è sempre accentuata dall’acidità.
Per quanto riguarda il gusto salato, esso non fa altro che mettere in risalto gli eccessi di acidità, di amaro e di astringenza.
Questa proprietà si manifesta ugualmente in un altro modo. Nel corso di degustazioni prolungate, più si assaggiano le stesse soluzioni acide e amare, o che presentano i due sapori insieme, più il tempo di latenza si accorcia e questi sapori risultano più aggressivi.
Queste nozioni di equilibrio dei sapori, fondamentali per spiegare il gusto dei vini (più esattamente per definire la struttura del supporto) si applicano a tutti gli altri nostri alimenti e bevande e si possono rappresentare in maniera schematica con le formule seguenti (il segno doppia freccia significa equilibrio).

Queste formule sono essenziali nella comprensione di tutti i vini. Per semplificare, si può omettere l’incidenza del gusto salato in queste relazioni, considerando che i tenori in sali nei vini sono bassi e un po’ più costanti rispetto a quelli degli altri costituenti sapidi. Il sale non è un additivo migliorante, nonostante anticamente la sua aggiunta al vino sia stata praticata e autorizzata come additivo nel collaggio con albume d’uovo. Si constata sperimentalmente che un’aggiunta di sale, a partire dalla dose che modifica la sapidità, rafforza sempre la durezza e l’asprezza.

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TERMINOLOGIA

Neurofisiologia dell’espressione verbale e Linguaggio specifico
Quando uno stimolo agisce su un recettore sensoriale, si verifica la trasmissione di un impulso nervoso che giunge a una o più aree determinate del cervello. Li verrà interpretato utilizzando una metodologia impressa nel nostro cervello fin dall’origine della nostra specie.
Questa interpretazione si basa fondamentalmente sulla memoria.
L’interpretazione viene effettuata confrontando la sensazione ricevuta con altre sensazioni ricevute in precedenza e immagazzinate.
Il cervello cerca una coincidenza e in base alla sua maggiore o minore approssimazione la sensazione viene “etichettata” (Linguaggio prototipico).

Nel caso dell’olfatto l’identificazione di un odore e la sua associazione a una marcatura verbale implica vari processi:
– l’attivazione della traccia amnestica di questo odore (traccia di memoria dell’odore) ;
– l’attivazione delle denominazioni possibili (Corpo semantico) nel lessico mentale degli odori ;
– la selezione del termine più adeguato.

Il corpo semantico o spazio semantico che apporta la semantica differenziale è soggetto due gravi inconvenienti.
Il primo è dovuto alle circostanze in cui si è ricevuta la prima sensazione, poiché le sensazioni non sono mai pure, ma associate a vari fattori, soprattutto quelli che riguardano il sistema limbico: il nostro ambiente e determinate condizioni fisiche o fisiologiche proprie in un momento determinato.
In altre parole, esisterebbe un condizionante aprioristico nato da una conoscenza indipendente dell’esperienza e un altro a posteriori, acquisito dall’esperienza.
Una stessa persona presenta delle enormi differenze in termini di sensibilità e apprezzamento degli aromi e di altre sensazioni, da un giorno all’altro.
Questo fenomeno è noto come alliestesia. In altre parole, la sensazione di calore sarà maggiore probabilmente se ci si trova sotto il sole e una sensazione di freddo sarà più forte in un giorno nuvoloso, anche se la temperatura è la stessa.

Un altro inconveniente sta nel reperire la parola adeguata per esprimere correttamente la sensazione percepita (linguaggio descrittivo).
L’elaborazione delle impressioni olfattive si colloca principalmente nella corteccia dell’emisfero cerebrale destro, molto associato alle emozioni, per cui uno stesso odore, percepito in situazioni emozionali diverse, può essere interpretato anch’esso diverso mente. L’odore è un’informazione del nostro ambiente ed è intimamente legato a un’impressione piacevole o sgradevole. Esiste quindi un’evidente difficoltà nel separare gli aspetti cognitivi da quelli affettivi. Ciononostante, è l’emisfero cerebrale sinistro quello che si occupa della comprensione e della capacità verbale e questa, a sua volta, è collegata alla memoria e all’apprendimento. Le connessioni tra i due emisferi sono molto più deboli, soprattutto nel caso dell’uomo, il che rende molto difficile la descrizione corretta di ciò che abbiamo annusato.
L’emisfero destro reagisce dal punto di vista emozionale e quello sinistro dal punto di vista intellettuale.
Perciò, la nostra anatomia cerebrale non agevola di certo l’individuazione della parola corretta.
Le differenze riscontrate tra il cervello maschile e quello femminile dimostrano una maggiore connessione tra entrambi gli emisferi nel caso della donna, il che spiega indubbiamente la sua maggiore capacità in termini di dialogo, trattativa e comunicazione. Nel nostro caso le donne sono in grado di trovare con maggiore facilità la parola giusta.

La facoltà mentale che opera per intuizioni è la sensibilità;
quella che funziona tramite concetti è l’intelletto.
La conoscenza è possibile solo attraverso la collaborazione tra sensibilità e intelletto.

Non abbiamo comunque un linguaggio stabilito o normalizzato che consente di identificare inequivocabilmente ciò che sentiamo.
In realtà quando vogliamo determinare e nominare la qualità di un odore in genere utilizziamo il nome della fonte dell’odore stesso oppure termini derivati da altri sistemi sensoriali.
Molte parole che applichiamo agli odori appartengono anch’esse al gusto (acido, rancido, amaro, dolce, forte, fine), al tatto (caldo, pesante, fresco), all’udito (melodioso, armonico) e anche alla vista (chiaro, scuro, brillante).
In altri casi ricorriamo a termini metaforici e nel migliore dei casi facciamo riferimento al nome della fonte dell’odore.
Oggi, risulta evidente che la maggior parte delle descrizioni che alcuni critici realizzano circa le qualità organolettiche di un vino sono assolutamente prive di valore. Sembra che nel linguaggio del vino sia resuscitata la teoria di Hegel (questi non cerca la verità: l’unica cosa che desidera è impressionare) basata sulla mancanza di modestia e sull’irresponsabilità intellettuale, quando alcuni si pronunciano in modo incomprensibile per ottenere un certo effetto.
Ad esempio nel caso del fumo.
Nei commenti descrittivi di alcuni critici dei vini viene utilizzata la parola fumo. Il fumo non è assolutamente una sensazione olfattiva. È una sensazione visiva, dal momento che il fumo non è altro che una grande quantità di piccole particelle che si sollevano nell’aria a causa del calore che nasce nella combustione che lo provoca. Al fumo associamo un odore ma, in realtà, l’odore che sentiamo è sempre diverso poiché dipende dalle molecole che nascono nella combustione del materiale che genera il fumo.
Negli esseri umani la supremazia della vista sull’olfatto è in proporzione di 100 a 1.
Per tali motivo si dovrebbe eliminare l’uso di commenti realizzati con un linguaggio privato e spiegare il vino con un linguaggio universale, utilizzando parole e linguaggi precisi.
Nella tabella seguente vengono riportate delle espressioni normalizzate, in cui è stato indicato il carattere di aggettivo e di sostantivo.