In sistemi liquidi eterogenei, come un bicchiere di vino torbido, si manifesta l’effetto Tyndall, cioè la diffusione della luce da parte della fase dispersa nel liquido, quando la sospensione è attraversata da un fascio di raggi luminosi. Tale effetto genera la percezione di torbidità o nebulosità del liquido.
Quando un raggio luminoso investe una soluzione limpida,
la attraversa direttamente: notare il puntino rosso
del laser che colpisce lo schermo .
Quando un raggio luminoso investe una dispersione,
la luce viene diffusa in tutte le direzioni:
notare che il puntino rosso del laser non colpisce lo schermo.
L’effetto Tyndall è un fenomeno di dispersione della luce dovuto alla presenza di particelle, di dimensioni comparabili a quelle delle lunghezze d’onda della luce incidente, presenti in sistemi colloidali, nelle sospensioni o nelle emulsioni.
Il nome proviene dallo scienziato irlandese John Tyndall (1820 – 1893) che per primo lo descrisse nel XIX secolo, senza però trovarne una spiegazione convincente. Fu il fisico Gustav Mie (1868 – 1957) che lo spiegò in maniera rigorosa nel 1908.
L’effetto Tyndall è dovuto al fatto che il diametro medio delle particelle disperse è maggiore della lunghezza d’onda della radiazione luminosa (nello spettro visibile). Questo effetto è evidente per un osservatore disposto perpendicolarmente alla direzione del fascio luminoso; al contrario, un raggio luminoso è invisibile, qualunque sia la posizione dell’osservatore, se passa attraverso una soluzione vera e propria o un liquido puro in quanto il diametro medio delle particelle è minore della lunghezza d’onda dei raggi luminosi (l’interazione materia-radiazione è quindi minima o nulla).
Il fenomeno è facilmente rilevabile nella vita di tutti i giorni ad esempio osservando dei raggi di luce quando attraversano sistemi in cui sono sospese o disperse delle particelle solide o liquide (ad esempio della polvere o delle gocce d’acqua).
L’intensità del fenomeno è linearmente proporzionale alla concentrazione delle particelle sospese ed al cubo delle loro dimensioni. Su questo principio si basano gli strumenti che misurano la torbidità di un liquido, e quindi anche del vino, detti torbidimetri e nefelometri.