Considerazione sulla tappatura dei vini

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Il sughero è un tessuto protettivo che riveste diverse piante superiori, ma la più utilizzata per gli usi industriali è la quercia da sughero (Quercus suber L.). Esso è costituito da cellule morte ripiene di gas disposte in strati senza spazi intracellulari. Durante la crescita primaverile si hanno produzioni di queste cellule da parte del fellogeno sottostante che successivamente, in ottobre, vengono isolate da stati di suberina. La quercia da sughero produce il nostro materiale fin dalla nascita, ma la prima raccolta avviene a 15 -18 anni di età ed il materiale che si raccoglie è detto sughero maschio: esso è infatti molto pesante e denso, e parecchio fessurato. Viene utilizzato per scopi diversi dalla produzione di tappi. Dopo questa operazione che è detta “demaschiatura”, si inizia la produzione del sughero detto femmina che ha cicli di crescita di 9-12 anni, a seconda delle zone di produzione e degli ambienti (pianura, collina, ecc.). Questo secondo sughero è molto più regolare e contiene meno lenticelle e molto piccole.
Con i successivi cicli di accrescimento e decorticazione, e il conseguente aumento del diametro della pianta, si ha un miglioramento della regolarità degli anelli di sughero e una loro diminuzione di spessore; possiamo dire che dopo 5-6 cicli (piante di 70-80 anni) si raggiunge una costanza nel dimensionamento dei cerchi di accrescimento.
La differenza di qualità del sughero risiede anche nelle zone di accrescimento dello stesso: in zone fertili l’accrescimento annuo può essere anche di 7-10 mm, consentendo raccolte anche ogni 8-9 anni, ma fornendo spesso un sughero troppo poroso; in caso di zone collinari secche l’accrescimento può essere molto inferiore (1-3 mm l’anno ) portando a raccolte solo dopo 12-15 anni, ma dando del materiale molto più denso e meno elastico.

Composizione del sughero e sue caratteristiche
Il sughero è composto in percentuale dai componenti mostrati in figura, ma la sua dote principale è comunque la detta presenza di gas all’interno delle cellule, cosa che gli conferisce le caratteristiche fisiche adeguate per l’operazione di tappatura e di conservazione del vino.

E’ questo infatti, insieme alle proprietà della suberina che sotto l’effetto del riscaldamento acquista proprietà plastiche (lavaggio delle plance con acqua calda), che consente al sughero di avere eccezionali doti fisiche.
Esso infatti ha una bassa densità (da 0,12 a 0,25 g/cm3, i migliori sono compresi tra 0,13 e 0,20) e si può comprimere senza subire eccessive deformazioni per poi tornare successivamente alle dimensioni originali. Tale capacità è detta “resilienza” ed è molto importante dato che permette al sughero di fare pressione sulle pareti del collo della bottiglia ed impedire le colature ed il passaggio dei gas. Essa diminuisce col tempo di compressione e con la quantità di pressione esercitata. Questo significa che un tappo che sta molto in bottiglia perde la propria elasticità, ma anche un tappo troppo grosso rispetto al collo della bottiglia, esercitando una pressione eccessiva, è soggetto maggiormente a colature rispetto ad uno di diametro inferiore.
La struttura eterogenea del sughero, e la presenza di cere e suberina nella membrana, non consente il passaggio dei vapori e dei liquidi, i gas penetrano molto lentamente all’interno di una bottiglia chiusa con sughero: in media si parla di 0,1 ml di ossigeno l’anno. In aggiunta, le cellule del sughero tagliate dalla formazione del tappo agiscono come ventose sul collo della bottiglia, aumentando la resistenza allo spostamento e all’estrazione ed aumentando la tenuta. La morbidezza del sughero dipende dalla sua umidità: una eccessiva umidità lo rende troppo molle, mentre una eccessiva secchezza lo rende troppo duro; al momento della tappatura si consiglia una umidità intorno al 4-8 %.

Lavorazione sughero
Molti sono i composti aromaticamente attivi presenti nel sughero fresco (che possono essere all’origine di aromi sgraditi) ma essi vengono via via persi durante le fasi di essicazione e lavorazione:
• Asciugatura delle plance che dura circa sei mesi
• Bollitura delle plance per 1-1,5 ore a 100°C
• 2-4 settimane di immagazzinamento in ambiente aerato per evitare sviluppo di muffe
Dopo queste operazioni il sughero subisce una seconda bollitura per renderlo più lavorabile; dopo di cui le plance vengono tagliate in strisce della lunghezza dei tappi e avviate alla lavorazione. Dopo la fustellatura e la smerigliatura i tappi vengono infine lavati. Molte sono le controversie nate sulla fase finale della lavorazione dei tappi tra produttori degli stessi ed imbottigliatori. In passato si provvedeva alla sbiancatura e alla disinfezione dei tappi con prodotti a base di cloro ad azione ossidante (ipocloriti). Si è poi scoperto che tali composti possono partecipare alla formazione di diversi cloro-anisoli tra cui il tri-cloro-anisolo, uno dei prodotti responsabili dell’odore di tappo nel vino. A tale proposito, poiché le fonti di cloro in cantina sono molte, si ricorda che tali composti si formano, anche prima della messa in bottiglia, in taluni vini se si utilizzano disinfettanti clorati durante le operazioni di pulizia della attrezzature di cantina.
Alla luce di tali scoperte, le aziende produttrici di tappi hanno provveduto a sostituire i composti disinfettanti con composti a base di perossidi (acqua ossigenata), che purtroppo si sono rivelati deleteri per il vino se anche una minima parte dell’ossidante rimane presente, dato che rapidamente questo consuma la solforosa presente nel vino e provoca una ossidazione anomala. In questo caso è assolutamente indispensabile un controllo nella fase di risciacquo dei tappi. In alternativa a questi trattamenti chimici si può utilizzare il calore secco a 115 °C; in questo caso i tappi non risultano sbiancati ma mantengono la loro colorazione naturale.
Successivamente i tappi vengono essiccati lentamente a circa 80 °C fino ad una umidità residua di 5-6 % e poi lubrificati per favorirne l’estrazione. I prodotti utilizzati per questa operazione sono vari: dai prodotti siliconici a quelli a base di cere e paraffine, o composti polimerici. In particolare la paraffine migliorano molto l’impermeabilità del tappo ma devono essere di giusto peso molecolare dato che se troppo liquide possono colare nel vino e se troppo dense favorire fenomeni di incollatura del tappo. Questa ultima fase è preceduta se necessario dalla timbratura con opportuni inchiostri e poi segue il confezionamento in sacchi ermetici per l’invio alla clientela.
Le caratteristiche del sughero impiegato nella produzione dei tappi sono come detto molto importanti, come lo sono anche i trattamenti che il sughero stesso subisce nel corso della lavorazione. Questo quando si parla di tappi monopezzo. Per i tappi cosiddetti tecnici (agglomerati, birondellati, di polvere di sughero ecc.) la questione si fa ancora più complicata dato che in questi tipi di tappi intervengono altri fattori ad aumentare il rischio di deviazioni organolettiche. In particolare i collanti utilizzati per tenere unite le particelle di sughero e l’origine del materiale stesso che in genere deriva da plance meno spesse o da cascami di lavorazione dei tappi monopezzo. Il materiale suddetto viene triturato e successivamente vagliato, per la separazione dei residui di corteccia, e frazionato in base al peso specifico. Solo i granuli di minore peso vengono utilizzati per la produzione di tappi tecnici. Le colle utilizzate sono in genere a base di poliuretano o butandiene o anche lattice naturale, Sono scelte per avere un forte potere agglomerante e per la caratteristica di non rilasciare odori/gusti al vino. L’impasto formato viene modellato in tappi o per estrusione (la pasta è spinta attraverso tubi riscaldati da un pistone e tagliata a misura), mediante stampo, o mediante la formazione di blocchi simili a fustelle trattati in forno per la polimerizzazione delle colle e successivamente utilizzati come fustelle di corteccia. Un metodo particolare e brevettato è quello per centrifugazione che consente di avere agglomerati molto uniformi e a densità quasi costante. I tappi rondellati subiscono una incollatura delle rondelle con lo stesso adesivo dell’impasto.
Come si comprende subito, il tappo tecnico ha caratteristiche e costi differenti da quello monopezzo, e per questo è utilizzabile solo per periodi relativamente brevi, data la tendenza a perdere di consistenza a contatto con il vino e a subire maggiormente l’effetto della tappatrice con la possibilità del verificarsi di microfratture del tappo, che aprono la porta a ossidazioni o insorgenza di muffe. Tale fenomeno è particolarmente frequente quando non si tenga conto del fatto che le dimensioni dei tappi tecnici devono essere in media inferiori a parità di bottiglia, di quelli di un tappo monopezzo data la minore elasticità dell’impasto rispetto al materiale naturale.

La tappatura
Dopo aver analizzato le varie caratteristiche dei tappi monopezzo e tecnici ci avventuriamo in una descrizione forzatamente approssimata delle varie problematiche relative alla tappatura dei vini cercando però di sottolineare i punti critici e le informazioni tecniche salienti.
Un accenno alla storia della tappatura delle bottiglie ci pone in evidenza che la tappatura fino agli inizi del secolo scorso era puramente empirica. Le bottiglie prodotte in vetro soffiato erano per forza di cose molto differenti tra di loro nei diametri del collo e i turaccioli non erano come adesso di forma cilindrica ma a sezione quadrata solo leggermente arrotondata sugli angoli. Tali condizioni provocavano frequenti esplosioni delle bottiglie in tappatura, tanto che alcuni modelli dell’epoca avevano una vasca sottostante per il recupero del liquido perso. Questo però era un metodo che garantiva una più lunga conservabilità del vino anche se le condizioni igieniche causavano spesso esplosioni di bottiglie anche nelle migliori cantine. Le cause microbiologiche di tali esplosioni erano ancora molto oscure tanto che si impediva alle donne mestruate di partecipare alle fasi della tappatura dei vini.
Con l’avvento della microbiologia in cantina, tali “nebbie” vennero via via diradandosi, e si comprese come la stabilità biologica del vino prima della tappatura fosse una componente fondamentale della sua conservabilità e del suo affinamento in bottiglia. Così come la tecnologia fornì la possibilità di utilizzare ganasce mobili per la compressione dei tappi prima dell’introduzione degli stessi nel collo della bottiglia. Tale tecnologia fu accompagnata da una standardizzazione delle misure dei colli delle bottiglie e da la produzione di turaccioli rotondi così da diminuire la pressione sul collo delle bottiglie dovuta alla irregolarità dei tappi.
In questo modo si ebbe una maggiore efficienza della tappatura in relazione alle perdite e alle rotture di bottiglie e una maggiore velocizzazione del processo. La tecnologia però aveva anche alcuni svantaggi: uno tra tutti era l’usura delle ganasce che provocava un loro disallineamneto sia orizzontale che verticale con conseguente fornazione di canali che consetivano il passaggio di aria e se poste in posizione orizzontale la colatura del vino.
Tale difetto è presente ancora oggi nelle tappatrici manuali e si può presentare anche in quelle automatiche dopo un certo periodo di utilizzo del gruppo tappatura. La non regolare manutenzione può provocare effetti simili a quelli riportati nella foto relativi ad un tappo che è stato compresso con una ganascia difettosa.La problematica della tappatura dei vini è comunque molto complessa, ma se una cosa è chiara, tra tutti i fattori da considerare il principale è l’ossigeno. Infatti la tappatura rappresenta il momento finale del percorso di elaborazione del vino dato che dopo questa operazione, il successivo affinamento in bottiglia appare più come una conseguenza delle operazioni precedenti che come un cambiamento sostanziale, essendo chiaro a tutti la impossibilità di intervenire in maniera diretta su ciò che accade dalla tappatura in poi. Il lavoro di conservazione ed affinamento che precede la messa in bottiglia del vino è una lunga e faticosa trattativa tra l’ossigeno ed il vino stesso. Farci dare il meglio da prezioso gas senza che lui ci rubi il meglio del prezioso vino. La gestione dell’ossigeno, fuori di metafora, è un equilibrio che dipende da molti fattori ed è particolarmente complessa se si tratta di vini bianchi o rosso da invecchiamento. Tutto questo lavoro può essere compromesso dalla fase di imbottigliamento e dalla successiva tappatura se non si prendono le dovute precauzioni. I moderni sistemi di imbottigliamento consentono di operare in sottovuoto o in atmosfera inerte (azoto, argon) proprio per minimizzare gli effetti negativi della presenza di eccessive quantità di ossigeno disciolto nel vino. La presenza di ossigeno nel vino in fase di imbottigliamento è d’altronde quasi inevitabile senza le precauzioni dette prima. I raccordi, i tubi, le pompe, particolarmente quelle centrifughe o a pistoni, consentono l’immissione di consistenti quantità di ossigeno nel vino. In questi casi si deve consentire al vino di riassorbire se gli è possibile l’ossigeno disciolto; operazione che può richiedere oltre un mese dalla data di imbottigliamento. E’ questa una delle principali cause della necessità di un, seppur breve, affinamento in bottiglia; si consetne al vino di rissorbire l’eccesso di ossigeno e recuperare l’equilibrio ossidoriduttivo necessario alla sua stabilità ed all’espressione aromatica.
Un altro inconveniete a cui in parte abbiamo già accennato è la forma del collo della bottiglia da tappare; si danno fondamentalmente 3 situazioni:
1) conicità inversa: (vedi figura a lato) data da un maggiore diametro del collo della bottiglia all’imboccatura e uno minore al centro del collo che provocano scorrimento verso l’alto del tappo per una scarsa tenuta.
2) Presenza di slarghi all’interno del collo della bottiglia che provocano perdita di pressione e tenuta e soprattutto irregolarità nell’estrazione del tappo con possibilità di rottura dello stesso (vedi figura in basso).
3) Eccessiva conicità positiva (in particolare in bordolesi e borgognone) che permette una bagnatura delle pareti laterali del tappo e una colatura durate il coricamento della bottiglia con conseguente colatura e perdita di tenuta.