COLORE DEI VINI ROSSI

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Nelle uve rosse le ricerche condotte sui componenti del colore hanno evidenziano i seguenti fatti:
– nei vini giovani partecipano al colore gli antociani e i tannini;
– gli antociani che possiedono gruppi ossidrilici (OH) in posizione orto e para sono antiossidanti naturali trasformandosi in orto-chinoni.
Per questo i vini rossi sono in parte protetti dalle ossidazioni perché gli antociani reagiscono con l’ossigeno rallentando l’ossidazione degli altri composti.
Nel corso della conservazione e dell’invecchiamento gli antociani tendono a scomparire o per idrolisi degli eterosidi e/o in seguito a combinazioni con tannini con i quali formano dei copolimeri stabili che provocano il viraggio del colore verso una tinta arancio-mattone caratteristica del vino invecchiato.
Non va trascurato il ruolo come fattori vitaminici protettori degli epiteli vasali (vitamina P).

IONE FLAVILIO
I composti che conferiscono al vino la colorazione rossa sono le antocianidine. Questi pigmenti vegetali sono noti per essere i responsabili dell’ampia gamma di colori (quasi l’intero spettro visibile) nei fiori, nei frutti e nelle foglie. La loro struttura molecolare comprende il catione pirilio e, poiché le antocianidine sono flavonoidi, sono anche chiamate ioni flavilio:

dove R1 e R2 sono i gruppi H, OH o OCH3. L’aspetto cromatico del gruppo è principalmente dovuto al suo carattere ionico.

Le antocianidine si riscontrano sempre nella loro forma glicosidica e come tali sono chiamate antociani. Lo zucchero è soprattutto il glucosio legato al carbonio in posizione 3 dell’antocianidina mediante il carbonio in posizione 1 con orientamento s del glucosio. Nel caso di composti diglicosidici, il secondo glucosio si lega all’atomo di carbonio in posizione 5 degli antociani. Talvolta lo zucchero si trova legato con un’altra molecola di zucchero oppure acilato con acetile (O-CO-CH3) o con un derivato dell’acido cinnamico (p-cumarico, caffeico o ferulico). Il processo di acilazione avviene sempre in corrispondenza del carbonio in posizione 4 dello zucchero, si possono avere altri legami con zuccheri in altre posizioni. Un esempio di tale struttura è il seguente:

La carica positiva dello ione flavilio può essere localizzata nell’atomo di ossigeno o in corrispondenza dei carboni in posizione 2 e 4 dell’anello centrale.
Gli antociani possono decolorarsi per numerose cause mediante riduzione o ossidazione, ad es. con acido ascorbico o con perossido di idrogeno.

È particolarmente interessante la reazione con l’anidride solforosa, non è raro, infatti, osservare una più o meno intensa diminuzione del colore stesso, dopo una solfitazione. I carboni nelle posizioni 2 e 4 hanno una parziale carica positiva e pertanto possono attrarre gruppi nucleofilici quali l’HSO3per produrre acidi solfonici incolori: è la perdita della carica sul sistema flavilio che porta alla perdita del colore.

Nelle piante, il colore dipende da svariati parametri quali il tipo di antociano, la sua forma glicosidica, la sua concentrazione nel tessuto cellulare, l’interazione con i metalli (alluminio, ferro) e il pH.

Nella maggior parte dei frutti dominano uno o più antociani che conferiscono il proprio colore. Ad es.: la cianidina (in mela, mora, fico, pesca, cavolo), la delfinidina (in melagrana, melanzana, frutto della passione), e la cianidina e la peonidina (in ciliegia, prugna e cipolle). Nelle uve Vitis vinifera sono presenti tutte e sei le antocianidine: pelargonidina, cianidina, delfinidina, peonidina, petunidina e malvidina.

INFLUENZA DEL PH SUL COLORE DEGLI ANTOCIANI
Le caratteristiche cromatiche degli antociani sono legate alla loro struttura ed, in particolare, alla presenza di una carica positiva delocalizzata sulla molecola; in base a ciò, la molecola stessa è fortemente influenzata dal pH del mezzo, tanto che in soluzione acquosa, si ritrovano in equilibrio, le seguenti quattro forme:
catione flavilio (A+), colorato in rosso;
base chinonica o anidra (AO), color malva;
pseudo-base (AOH), incolore;
calcone (C), incolore o lievemente giallo, in forma cis o trans.

Il pH, pertanto, condiziona fortemente la colorazione del vino; a pH 3, solo il 42% degli antociani si trova in forma colorata (catione flavilio o base anidra), mentre questa percentuale scende al 20% a pH 4 .

Il contenuto in antociani liberi, che può superare il g/L in alcuni vini rossi giovani, diminuisce nei primi mesi di conservazione, fino a raggiungere valori di 200-500 mg/L; durante la conservazione del vino, infatti, questi flavonoidi possono andare incontro a due fenomeni contrapposti: la degradazione e la stabilizzazione per inglobamento in molecole complesse (polimerizzazione per condensazione con i flavani).
Due sono i meccanismi di degradazione per gli antociani: la degradazione termica, e la degradazione ossidativa, mediate rispettivamente da temperatura e ossigeno.
In generale possiamo dire che questa distinzione non appare poi così netta; è plausibile che il meccanismo di degradazione sia legato a un effetto sinergico di temperatura, ossigeno e altri fattori, quali luce e catalizzatori (Cu2+; Fe3+); il fenomeno infatti, si presenta già ad una temperatura di conservazione del vino superiore a 20 °C (temperatura largamente raggiunta in fase di macerazione) e si osserva in misura maggiore in ambiente ossidante. Il risultato è una diminuzione irreversibile del colore, con spostamento dello stesso verso una tonalità arancione.

Stabilizzazione del Colore
Nel vino contenente antociani e tannini, si osserva, in presenza di ossigeno ed in funzione del tempo, una condensazione dei due pigmenti, che porta a combinazioni tannini-antociani (T-A) di colore rosso più accentuato rispetto a quello degli antociani liberi, e più stabili di questi ultimi nei confronti del pH e dell’anidride solforosa.

Tale reazione, può avvenire per via diretta, in virtù del fatto che le molecole coinvolte possono originare specie cariche, o attraverso l’intervento dell’acetaldeide (etanale), a sua volta originata dall’ossidazione dell’etanolo, in seguito a catalisi dovuta all’azione dei metalli, o all’intervento di perossidi originati dall’ossidazione dei flavani; una rappresentazione schematica delle strutture formate, è rappresentata sotto.

Il risultato è una maggior stabilità della frazione colorante, in quanto in queste forme, gli antociani sono meno sensibili all’ossidazione e alla decolorazione ad opera dei solfiti.
La temperatura gioca un ruolo non trascurabile in tale stabilizzazione; se troppo elevata, infatti, fa in modo che i tannini polimerizzino prevalentemente fra loro, senza inglobare le antocianine. Per tale motivo, è bene differenziare la gestione della temperatura, aumentandola (valori più prossimi ai 20 °C) solo nelle fasi finali dell’ affinamento, quando cioè i pigmenti si presentano già in uno stato di combinazione tale da garantirne la protezione; moderando la temperatura nelle prime fasi dell’affinamento, infatti, si riduce anche la degradazione termica degli antociani, mentre un blando aumento in fase avanzata, consentirà l’ammorbidimento dei tannini, in una fase in cui i pigmenti sono ormai protetti.

Le molecole dei flavonoidi hanno una grande capacità di reazione.
Infatti i gruppi ossidrilici in posizione 5 e 7 dell’unità A possono indurre la formazione di cariche negative in posizione 6 e 8 e allora il flavonoide funziona da nucleofilo.
D’altra parte la carica positiva dell’ossigeno in posizione 1 (unità C) può spostarsi in C2 o C4 originando carbocationi soggetti ad addizioni di nucleofili, agendo cioè da elettrofilo. Questo spiega la facilità di formazione di complessi antociani – tannini secondo vari schemi di reazione.

La malvidina, metossilata (OCH3) in B, è la meno reattiva degli antociani. Dove ci sono i gruppi idrossilici c’è possibilità di ossidoriduzione e, con l’ intervento dell’ossigeno, si possono attivare le reazioni tra acetaldeide, antociani e tannini (con comparsa di colorazione più cupa e intensa) e se non ci sono antociani anche tra tannino e tannino (avremo così una colorazione più ambrata).
Anche i polisaccaridi (tipo le mannoproteine) agiscono sulla stabilizzazione del colore.

La copigmentazione
E’ dovuta a reazioni deboli (legami a idrogeno e interazioni idrofobe) tra gli antociani e altri composti fenolici non colorati: ne risulta un aumento di assorbanza degli antociani e di conseguenza dell’intensità colorante dei vini. Questo fenomeno porta peraltro ad uno spostamento dello spettro di assorbimento verso lunghezze d’onda più elevate, che si traducono in nuance tendenti al violetto.
Si tratta di un fenomeno largamente diffuso in natura, dovuto ad interazioni tra antociani e altre molecole organiche dette appunto copigmenti, che si ritiene stabilizzino il colore del vino, determinandone un’intensità nettamente superiore a quella che ci si aspetterebbe dalla concentrazione della sola antocianina pura; nell’uva i copigmenti sono per lo più tannini solubili, procianidine o flavonoli.

La copigmentazione sposta il massimo di assorbimento dell’antocianidina stessa verso il blu (effetto batocromo) ed è funzione del rapporto antociani-copigmenti, e del pH; alcuni vini rossi giovani, che presentano una colorazione tendente al violaceo, provengono da varietà fortemente copigmentate.

Una percentuale variabile dal 30 al 50% del colore dei vini rossi giovani, sarebbe da ascriversi alla copigmentazione; essa, tuttavia, viene meno nel corso dell’affinamento, ed in particolare decade dopo la fermentazione; l’etanolo infatti, presenta un effetto destabilizzante nei confronti dei complessi di copigmentazione, portandoli alla dissociazione. Tuttavia, la copigmentazione potrebbe facilitare l’insorgenza di reazioni di condensazione fra antociani e copigmenti, in virtù dello stretto “contatto” fra le due specie chimiche all’interno di questi aggregati.

L’accumulo degli antociani nelle cellule delle bucce e la loro estraibilità varia nell’ambito della stessa varietà in funzione dell’annata e del territorio; non è assolutamente sistematica la coincidenza della maturità fenolica con la maturità tecnologica.

Attendere una buona maturità fenolica significa arrivare alla perdita della proprietà selettiva della membrana cellulare per avere la dissoluzione nel mosto delle molecole più grosse e ottenere le condizioni per una buona polimerizzazione (legame tra antociani e tannini che fissa il colore). In funzione delle caratteristiche varietali, del grado di maturazione dell’uva e dell’obiettivo che si vuole raggiungere, bisognerà progettare la vinificazione mettendo in atto adeguati accorgimenti nella conduzione della fermentazione e soprattutto della macerazione.
La temperatura di macerazione e il tempo di contatto delle BUCCE con il SUCCO determinano differenze molto importanti nel prodotto finale.
Affidarsi unicamente alle analisi o solamente agli assaggi non è sufficiente; per condurre un’attenta macerazione è determinante la complementarietà dei due fattori analitico e sensoriale.
indici di struttura dei vini rossi

La materia colorante nei vini rossi: forme, interazioni, evoluzione e condizioni di stabilità.

COLORE DEI VINI BIANCHI
Un ruolo essenziale per l’evoluzione del colore, per la limpidezza, l’odore e il sapore dei vini bianchi si attribuisce ai componenti fenolici classificati come flavani e in particolare ai flavan-3-oli e loro derivati (catechine e procianidine), facilmente coinvolti in reazioni enzimatiche e chimiche.
I responsabili del colore dei vini bianchi sono:

Flavan-3-oli o catechine (colore bianco-giallo): λmax 280 nm

Acidi idrossicinnamici (colore bianco-giallo): λmax = 330 nm

Il tenore in questi composti è differente per le diverse varietà di uve e il passaggio dall’uva al mosto dipende dal gradiente di spremitura e dalla durata dell’operazione; è quindi importante scegliere i processi di ammostamento e di vinificazione per regolare la loro quantità nel vino.
Nei vini bianchi l’evoluzione dei polifenoli è attribuita in primo luogo a fenomeni di ossidazione i cui aspetti macroscopici sono l’imbrunimento del colore e, nei casi estremi, l’alterazione del gusto e del profumo. Nelle forme più avanzate tali processi conducono a macromolecole con conseguenti flocculazioni, precipitazioni e maderizzazione dei vini.
Ovviamente il complesso delle reazioni possibili è condizionato da fattori diversi quali: tenore e tipo di fenolo, quantità di ossigeno disciolto, presenza di catalizzatori chimici e biochimici. È risaputo ad esempio che le polifenolossidasi catalizzano, in presenza di ossigeno, l’ossidazione degli ortodifenoli a chinoni che tendono a polimerizzare. Favoriscono l’ossidazione il ferro e il rame, metalli capaci di fungere da accettori e donatori di ossigeno passando dal numero di ossidazione inferiore a quello superiore e viceversa.

ARROSSAMENTO DEI VINI BIANCHI (PINKING)
Anche se la cosa può sorprendere, a volte accade che durante la lavorazione o appena dopo l’imbottigliamento il vino bianco va soggetto ad arrossamento. I vitigni più sensibili a questo fenomeno sono il Sauvignon bianco, il Muscat, il Riesling e il Sémillon. L’ipotesi più diffusa attribuisce la responsabilità di tale fenomeno alla trasformazione della leucoantocianina (che è incolore) in antocianina, specialmente nei vini conservati in assenza di aria e che vi vengono esposti improvvisamente.
La reazione ossidativa del monomero della leucocianidina a cianidina è stata dimostrata e studiata con risultati piuttosto scarsi (circa il 20%):

Benché esistano supposizioni riguardo al fenomeno di tale reazione alle condizioni del vino, sembra che esso non sia ancora completamente compreso. Anche se lo spettro di assorbanza del vino arrossato raggiunge un picco massimo a 520 nm, il composto responsabile del fenomeno non è un flavonoide.
L’intensità del colore del vino arrossato non è influenzata dalle variazioni del pH e nemmeno dall’SO2 (come avviene per il flavilio) e tutti i tentativi di isolare e identificare il composto di colore rosso non hanno avuto alcun successo. L’arrossamento colpisce anche altri prodotti alimentari, in particolare la frutta in scatola (mele, pere, banane, cavolo), ma i due casi non sono necessariamente similari. Temperature elevate e luce contribuiscono all’aumento dell’arrossamento. L’utilizzo di PVPP, come pretrattamento per rimuovere i precursori dell’arrossamento, può rivelarsi utile in molti casi. A tale scopo, si può anche utilizzare un prodotto a base di anidride solforosa ed acido ascorbico per proteggere i vini da possibili arrossamenti.

BIBLIOGRAFIA
GAROGLIO P. G. (1980). Nuova Enologia – Enciclopedia vitivinicola mondiale. Ed. AEB.
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PEYNAUD E., BLOUIN J. (2002). Scienza e elaborazione del vino. Ed. Eno-One
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