D’Araprì, il metodo classico in chiave jazz

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di Samantha Vitaletti      20/09/2018 – 10:02

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Da sempre mi appassionano i film che si svolgono nell’arco di poche ore, da “Una notte da Leoni” a “Magnolia” a “La 25° ora”. Mi piacciono perché vi ritrovo condensati elementi a me molto cari: l’adrenalina, un po’ d’assurdo, la vitalità. Soprattutto la sensazione di succhiare quanto più possibile da quell’animale, più o meno addomesticato, chiamato tempo, di strizzarlo fino all’ultima goccia e berlo tutto – qualche volta letteralmente.

Con grande entusiasmo, quindi, io e la mia dolce metà ci siamo tuffati nella nostra personale 25° ora. Va bene, non c’era la metropolitana di New York ma l’aeroporto di Bari Palese, non Manhattan ma il castello svevo di Barletta, non pusher di droga ma spacciatori di frutti di mare e di bollicine autoctone. 24 ore da riassumere in una parabola ascendente di bellezza per gli occhi (Barletta è bellissima), di gioia per il palato (ancora mi sento posseduta dalle cozze pelose, dalle ostriche e dai fasolari, dai piedi di porco e soprattutto dalle noci, così tanto, veramente, intensamente crude da offrire l’illusione ottica di un occhiolino strizzato), di soddisfazione intensa per aver avuto la fortunata opportunità di visitare la cantina D’Araprì, fare la conoscenza dei suoi creatori e condividere la tavola con loro bevendo i loro vini.

La cantina di D’Araprì si trova nel centro storico di San Severo (FG), risale al ‘700 ed è tutta un susseguirsi di ampi locali con tetti a volte, tunnel di collegamento e saliscendi. E’ una cantina bellissima, architettonicamente parlando, vissuta ma al contempo ordinata, senza fronzoli ad acconciarla, affascinante nella sua serietà. Ospita un’antica pressa e un antico frantoio nonché la prigione di Morelli e Silvati. Girolamo D’Amico ce ne racconta la storia finché arriva il momento della degustazione, approntata in un luminoso salotto con grandi finestre. Qui assaggiamo un significativo estratto di quello che oggi, dopo un lungo lavoro cominciato nel 1979 quasi per gioco, è D’Araprì.

(Postilla: eravamo in due, Samantha e io, Emanuele Giannone. Il corsivo è mio)
Grazie per avermi riportato qui in Borgogna. Come? Non è lo stesso mattonato, non sono le stesse lampadine di quella cantina… ah, certo, lì non avevano il frantoio. Ma la luce è la stessa, bassa e falba, così almeno mi pareva. Aspetta, ho capito: siamo nel Levante, la corte bianca col recinto di verzura, le scalee, le finestre di questa foggia… Come? Foggia sì, ma più che altro nel senso di provincia? Mi arrendo. Brindiamo alla serendipità. Come sarebbe a dire con un Metodo Classico? Un Metodo Classico qui, nel regno di Federico Ruggero Costantino, tuo concittadino?

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1. Pas Dosé s.a. (70% bombino bianco-30% pinot nero)
Oltre 30 mesi sui lieviti. Così come mi trovo un po’ a disagio con le persone che al primo incontro si presentano in maniera eccessivamente esuberante, così non amo i vini che si concedono sguaiatamente al primo naso. I vini come questo, invece, mi dispongono subito in ottimo umore. Non è affatto invadente ma si fa amare nel bicchiere e ricordare a bicchiere vuoto. Fiori, marzapane, miele e agrumi. Croccante già al naso. Il sorso è pieno e succoso, di pesca. Struttura e morbidezza e una scia amaricante a congedo. (S.V.)

Al naso è citrino e floreale, succoso e croccante di pera, pesca tabacchiera e susina, soave e misurato. Bocca avvolgente e netta, molto droite, di acidità saliente e agile nello sviluppo. Fine nella bolla, sapido e carnoso in progressione. Non chiude ma sfuma in leggerezza e note amaricanti, albedo e armellina, robinia e cedro. (E.G.)

2. Riserva Nobile 2014 (bombino bianco 100%)
Mosto vinificato in legno da 300 lt. Il dosaggio è di 4/5 g/l e la liqueur è ottenuta miscelando zucchero e vino. Questo è un vino gentile, floreale e con note eteree e lievemente smaltate, vaniglia in baccello in sottofondo. È il vero spumante di rottura: il primo metodo classico da vitigno completamente autoctono. (S.V.)

Discreto, etereo, cereo, quieto. A fronte di tanta riservatezza, bocca sorprendente per rotondità e grassezza con frutta gialla matura, spezie dolci, lardo e fumé. Sostanzioso, opulento, non molle, un curvy tutto tono e ritmo. Polposo fin dall’attacco e in tutto lo sviluppo, chiude in una cadenza articolata per ricchezza d’aromi, sapida e fruttata. (E.G.)

3. Gran Cuvée XXI Secolo 2012 (bombino bianco 60%, pinot nero 20%, montepulciano 20%)
Affinamento lungo, naso elegante, di profumeria e forno, potente ma aggraziato, lontano da qualunque leziosità. La bollicina è delicata e persistente. (S.V.)

C’è la bottega delle essenze, c’è il forno, c’è un cesto di frutta candita e ancora una presa di tabacco, un mobile da speziale, un pot-pourri di fiori e, sullo sfondo, un ricordo di verde. Ci ha sorpresi per un parallelo ingenuo e sincero, sovvenutoci simultaneamente: “Di tutti è il più francese”. Forse anche nella bolla fine, diffusa e persistente, nella coralità dell’espressione aromatica, nelle tracce salienti del sale e del gesso. (E.G.)

4. Grand Cuvée XXI Secolo 2007, sboccatura del novembre 2017.
Naso denso, miele millefiori, buccia di cedro e fiori gialli. Salino e marino, rigoroso con curve. Cremoso e tagliente, proporzionato. (S.V.)

Elegante, posato. Oltre la reiterata ritrosia – per fortuna avevamo molto tempo a disposizione – è il più salso, tra molluschi e salagioni. Ornato di agrumi canditi, nocciole e pungenze speziate, cumino e semi di finocchio. Bocca cremosa e fresca, molto sapida, ferma nella presa e delicata nello sviluppo aromatico. Vino di tatto e misura. (E.G.)

5. Grand Cuvée XXI Secolo 2000
“Questo è maggiorenne”, dice Rapini, il “Ra” dell’acronimo D’Araprì. È un bel maggiorenne maturo, evoluto. Quello che importa nell’evoluzione è che ci si evolva bene e lui lo ha fatto. Frutta candita, pesca, mela cotogna, rosmarino, radici e bergamotto. Qui, amplificato rispetto agli altri vini, si ritrova lo stile D’Araprì, percepito in tutti i vini assaggiati legati da una coerenza riconoscibile e chiara. Potenza e grazia, compostezza senza ingessature, leggiadria e finezza nei profumi. (S.V.)

Pensare immediatamente alla cassata e poi focalizzare pain d’epices, patè d’olive, canditi, burro d’arachidi, cotognata e pomodoro confit. Al sorso riverberano dolcezza e evoluzione ma sono infuse di freschezza e sapidità, leggere, slanciate e svariate d’amaro (erbe, rabarbaro, cola). Il lascito al gusto è pieno e fine, la cassata era uno scherzo. (E.G.)

A cena abbiamo l’opportunità di riassaggiare i vini e, tra un bicchiere e l’altro, i nostri ospiti ci fanno un ulteriore dono: nei bicchieri viene versata, da magnum, e solo in magnum viene prodotta, La Dama Forestiera, un blanc de noir da uve montepulciano e pinot nero. Vino sfaccettato ed estremamente complesso, ricco di profumi diversissimi ma perfettamente integrati, dalla peonia al bergamotto alla cera d’api. La bocca è cremosa ma anche puntuta, senza svenevolezze, in un susseguirsi di cambi di passo e movimenti armonici. Persistenza lunghissima. (S.V.)

Qui, devo ammettere, ero oramai troppo impegnato e divertito in conversari che avevano distolto il vino dall’essere oggetto di giudizio. Ero tutt’orecchi e niente organolessi. (E.G.)

Lascio perdere la scontata retorica manfrina dei quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo. C’è da dire che Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore hanno scritto davvero una bella storia fatta di amicizia e di ricerca. E di scelte coraggiose come quella di fare metodo classico, addirittura in Puglia e addirittura da uve come il bombino bianco. Mi fa piacere ricordare quanto ci tengano a sottolineare la grande libertà d’azione che ha ispirato tutte le loro scelte aziendali e che è alla base della loro filosofia. Il loro progetto è stato portato avanti con l’impegno con cui si porta avanti un lavoro ma con lo spirito con cui si coltiva un hobby. Due dei tre titolari infatti hanno svolto altre professioni nel corso della vita. Questo ha permesso che l’attività del fare vino restasse un’attività principalmente creativa e, si capisce da come ne parlano, ricreativa, nonostante il duro lavoro che ovviamente richiede. Ce ne sarebbe di materiale per far letteratura e concludere con un “vissero tutti felici e contenti”. Ma le storie più belle, in fondo, non sono quelle che pretendono o impongono il lieto fine, bensì quelle dove l’ultima pagina lascia aperta la via a potenziali inaspettati e sorprendenti sviluppi.

E qui, di sicuro, la storia continua.

Grazie a tutta la famiglia D’Araprì per l’accoglienza e l’ospitalità e tutto il tempo dedicatoci!

 

Cantina d’Araprì
Via Zannotti, San Severo, FG 71016
Tel:0882 227643
E-mail: info@darapri.it

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