giovedì 25 ottobre 2018
Pubblicato da Francesco Saverio Russo
Ci sono cene, serate e incontri che partono con un calice di metodo classico ma anche viaggi, come la mia ultima trasferta in Puglia.
Fino a pochi anni fa mettere le parole “Metodo Classico” e “Puglia” nella stessa frase avrebbe suonato come un mero ossimoro ma se non è più così lo dobbiamo proprio alla realtà di cui vi parlerò oggi: la Cantina d’Araprì.
Siamo a San Severo, in provincia di Foggia, dove tre amici uniti dall’amore per la musica Jazz e per il vino decidono di sfidare pregiudizi e sfatare consolidate convinzioni riguardo l’impossibilità di produrre spumanti metodo classico di pregio al Sud.
Un’idea, quella di Girolamo D’Amico, Louis Rapini e Ulrico Priore (è proprio dall’acronimo dei loro cognomi che deriva il nome “D’Araprì” che in dialetto locale significa “da aprire/stappare”) che aveva dell’inaudito, tanto che nel 1979, quando iniziarono la loro avventura nel mondo della spumantizzazione tradizionale, in pochissimi credettero nel successo di questa apparentemente folle cantina pugliese. La scelta di un vitigno, visto fino ad allora come uva da quantità e non da qualità, come il Bombino e la volontà di dedicare l’intera produzione solo ed esclusivamente al metodo classico e la volontà di occupandosi personalmente di ogni dettaglio in vero stile champenoise rappresentavano una piccola grande rivoluzione per l’areale dell’antica Capitanata. Andavano, infatti, a contrapporsi alla “geografia” enoica italiana che vedeva e voleva la produzione di spumanti di qualità appannaggio del nord della penisola con qualche eccezione nel centro, relegando questa particolare area del Sud e della Puglia a bacino di approvvigionamento per molti areali nazionali ed internazionali e non di certo a potenziale fonte di grandi vini spumante.
Eppure, proprio come nella musica Jazz, talento, intuizione e applicazione uniti ad un pizzico di sana follia hanno permesso ai tre amici di passare dalle 1000 bottiglie prodotte nel 1984 alle quasi 100.000 prodotte oggi.
Una strada non semplice che, per quanto oggi sembri spianata dai molteplici riconoscimenti e dall’apprezzamento trasversale che i vini di D’Araprì riscuotono di millesimo in millesimo, ha visto vivere interi lustri nell’incertezza e nel timore di non essere compresi.
I tre amici, però, hanno manifestato grande fiducia nelle loro idee e grande dedizione al lavoro portato avanti con caparbietà e lungimiranza, senza fretta proprio come insegnano i grandi metodo classico, che sanno attendere nel buio delle loro cantine, affinando la propria saggezza e la propria espressività.
Se l’intuizione di Girolamo, Louis e Ulrico ha portato alla realizzazione di quello che ora come ora è un vero e proprio mito, è anche grazie alle particolari condizioni pedoclimatiche di questo areale che vedono i vigneti godere affondare le proprie radici in terreni calcareo-argillosi con percentuali di limo e sabbia in alcune zone, con un clima mitigato dalla vicinanza al mare e reso ancor più ottimale dalle buone escursioni termiche giorno-notte capaci di mantenere integra la freschezza e, al contempo, preservare e enfatizzare quelli che saranno i precursori aromatici dei vini d’Araprì.
Un attaccamento tale al territorio da assegnare al Pinot Noir quello che è il ruolo di gregario del Meunier in Champagne, prediligendo le uve Bombino e Montepulciano per la produzione dei propri Metodo Classico.
Proprio come avviene in Champagne, invece, la cantina di vinificazione è divisa da quella (in questo caso si tratta di un palazzo storico nel centro di San Severo, dotato di un vero e proprio dedalo sotterraneo dalle condizioni di temperatura e umidità ideali) in cui avvengono presa di spuma, maturazione sui lieviti, remuage, sboccatura, dosaggio, tappatura definitiva, etichettatura ed affinamento.
Un progetto di successo, basato sulla qualità e sulla coerenza non poteva che rispettare una serie di valori fondamentali per il raggiungimento di un’eccellenza produttiva con etica e identità:
1. Elaborazione in proprio di tutti i vini.
2. Proprietà della maggior parte dei vigneti al fine di garantire costanza nello stile.
3. Impiego esclusivo di uve dell’agro San Severo.
4. Bombino Bianco o Montepulciano (almeno 60%) in tutte le Cuvée.
5. Impiego del solo mosto fiore per la preparazione dei vini base.
6. Fermentazione sempre a temperatura controllata sotto i 20° C:
7. Tirage entro il mese di marzo dell’anno successivo alla vendemmia.
8. Prolungata permanenza sui lieviti.
9. Dosage contenuto.
10. Utilizzo esclusivo di tappi in sughero birondellati di qualità extra.
Eccovi le mie impressioni riguardo i vini di d’Araprì che ho avuto modo di assaggiare:
Pàs Dosé Metodo Classico d’Araprì (30 mesi – Sbocc. 2018): la cartina di tornasole sia per la consapevolezza produttiva raggiunta da questa realtà che per il Bombino, in quanto l’assenza di dosaggio mette a nudo la vocazione di un territorio, l’abilità di una cantina e l’idoneità dei varietali alla produzione di un vino che deve necessariamente essere completo e armonico. Completezza e armonia che vengono raggiunte in questo gioco di squadra fra Bombino (70%) e Pinot Nero (30%), che ben si fondono in un’espressione per nulla offuscata dai sentori di lieviti, in cui la freschezza degli aromi fa da coerente preludio al sorso fiero e slanciato (non fa malolattica), sapido quanto basta a rendere la beva inerziale. Armonia e finezza identificano al meglio questo dosaggio zero.
Brut Rosé Metodo Classico d’Araprì (min. 24 mesi – Sbocc. 2018): non sono un grande amante degli spumanti Rosé in quanto non sempre riesco a trovare il giusto connubio di eleganza ed agilità di beva e di maturità e freschezza. Eppure, in questo vino il frutto del Montepulciano è reso elegante dal fiore del Pinot Nero, l’intensità iniziale si ingentilisce accompagnandomi ad un sorso di grande equilibrio fra morbidezza, acidità e salinità. Un Rosé che ha classe da vendere, ma che mi ha conquistato con la sua grande dinamica di beva. Inatteso.
Riserva Nobile Metodo Classico Millesimato 2014 d’Araprì: il vino più rappresentativo dell’azienda, che vede il Bombino Bianco suonare il suo assolo più importante, intenso e lungo. Un ritmo cadenzato quello del naso, che integra con sapienza lieviti, legno e varietale. Un equo compromesso fra volontà di sfidare il tempo e necessità di non addurre ostacoli alla beva odierna, si traduce in un compendio della classe auspicabile in un metodo classico riserva. Un vino da attendere per permettergli di esprimere al massimo il suo potenziale di complessità, ma che si fa apprezzare sin da ora per un sorso che entra ampio per poi distendersi con grande finezza e profondità.
Gran Cuvée XXI Secolo Metodo Classico Millessimato 2012 d’Araprì (almeno 60 mesi): quella che potrebbe apparire come una Jam Session fra tutti i varietali coltivati dall’azienda (Bombino, Montepulciano e Pinot Nero) dimostra sin dal primo naso che non c’è nulla di improvvisato nella concezione di questo vino. Se lo standard o il tema musicale alla base di tutti i “concerti in bottiglia” di D’Araprì è, per ovvi motivi, il metodo classico, il genere che si avvicina di più al suono di questa Gran Cuvée è il soul jazz, pulito, minimale, dalle dinamiche ponderate e razionali ma al contempo emozionali e intrise di anima. Nessun accenno di stanchezza per uno spumante che si lascia bere con estremo piacere lasciando libero spazio alla fantasia riguardo le sue potenziali evoluzioni.
La Dama Forestiera Metodo Classico “Nature” Millesimato 2013 d’Araprì (almeno 48 mesi): la tromba del Montepulciano e il Sax del Pinot Nero si dividono la scena fifty-fifty, senza far sentire la mancanza di una voce o di altri strumenti a dar loro manforte. Frutto e fiore si sono integrati e mineralizzati ricordando il calcare nel quale affondano le radici le madri delle uve che danno vita a questo spumante metodo classico. Il sorso mostra nella sua interezza la peculiare tensione, la l’innata profondità e l’identitaria finezza minerale che hanno fatto di D’Araprì un riferimento nella spumantizzazione tradizionale in Italia, cancellando con un colpo netto a mo’ di sabrage le linee di demarcazione e ridisegnando i confini della geografia vitivinicola nazionale riguardo questa tipologia di vini.
Una curiosità sul nome: il vino è dedicato alla “Dama Forestiera” (dal nome assegnatole dallo scrittore Nino Consiglio), Elisa Croghan, gentildonna inglese che alla fine del 1800 gestisce i tenimenti del principe di San Severo Michele di Sangro. Proprietà che lascerà in seguito, alla città, per volere testamentario del Principe stesso, e grazie al quale questo areale diventerà uno dei vigneti più grandi d’Italia.
Ora non mi resta che attendere il completamento dei lavori che porteranno i 3 amici ad ampliare le cantine ipogee al fine di rendere ancora più capiente e suggestiva la cantina di sotterranea nel centro storico di San Severo.
Un plauso a chi ha creduto in un sogno e ha saputo tramutarlo in una realtà più che concreta, perché credere nei propri sogni significa spendere tutta la propria vita cercando di rimanere svegli, vivendo e compiendo sacrifici e sforzi impensabili pur di potersi addormentare senza aver bisogno di sognare una realtà che non c’è.
F.S.R.
#WineIsSharing