LA DEGUSTAZIONE
DEGLI SPUMANTI
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di
Tullio De Rosa |
La degustazione degli
spumanti presenta delle caratteristiche peculiari che la differenziano
sensibilmente da quella dei vini tranquilli. |
Parlando di "degustazione degli spumanti"
è necessaria. innanzitutto un'osservazione riguardante la manualità
per una corretta stappatura della bottiglia al tavolo, in particolare
durante un pranzo. Strappato adeguatamente il capsulone, limitatamente
alla zona corrispondente al tappo, e tolta la gabbietta, è buona norma
sbloccare sempre il tappo mediante un movimento oscillante a leva tra
sughero e vetro a mezzo della apposita tenaglia leva-tappi, senza
ricorrere possibilmente ad una rotazione del tappo, serrato tra le
ganasce della tenaglia stessa, onde non creare presupposti per lo
spezzamento di un tappo grippante. Avuta la netta sensazione
dell'avvenuto suo sbloccaggio dal vetro, afferrare il tappo con la mano
sinistra tenendo saldamente con la mano destra la bottiglia
adeguatamente inclinata. Tenendo ferma la mano sul tappo, ruotare con
fermezza la bottiglia sino a sensazione precisa che il tappo stia per
fuoruscire. A questo
punto trattenere invece il tappo e lasciarlo fuoriuscire con lenta
progressione, sempre ben saldo in mano, sino a che un soffio (ripetiamo,
un "soffio", non uno "sparo") ci indichi la fine
dell'operazione.
Lo sparo, no, decisamente no! È un insulto alla dignità dello spumante
e del tecnico che lo ha prodotto (lo concediamo, però semel in anno,
solo alla mezzanotte di Capodanno). Sparare il tappo è un portare lo
spumante ad un livello da luna park, e ciò non è certo degno della
nostra raffinata educazione enoica.
Nei riguardi delle temperature da adottare in sede di degustazione, va
sottolineata una distinzione. Se la degustazione ha il preciso scopo
tecnico di porre in evidenza eventuali imperfezioni di un prodotto
(degustazione cioè che si effettua solitamente nell'ambito interno di
una azienda produttrice), la temperatura ottimale è piuttosto elevata,
diremo sui 12 - 13 °C. Se invece lo scopo è quello di valorizzare lo
spumante di fronte a se stessi o ai nostri ospiti, allora la temperatura
deve essere notevolmente più bassa, cioè sugli 8°C e non di più. A
tale scopo sarà necessario che lo spumante esca dall'armadio
frigorifero a 6 °C, e solamente al momento di essere portato in tavola;
ciò per tener conto dell'aumento inevitabile di temperatura che esso
subirà, sia per gli inevitabili perditempi, sia per la temperatura
relativamente elevata del bicchiere vuoto, sia per i normali indugi con
cui lo spumante sarà quindi portato alla bocca. Perfettamente razionale
a tale proposito l'uso del secchiello di ghiaccio in tavola, il quale
consente allo spumante stesso di prescindere da qualsiasi vicissitudine
termica negativa anche per tempi lunghi.
Ovviamente, trattandosi qui di degustazione di vini
spumanti, la maggior parte delle considerazioni va incentrata su
argomentazioni inerenti l'anidride carbonica, essendo invece gli altri
parametri più o meno comuni a tutti i vini di pregio.
Comunque, poiché in degustazione si inizia sempre da considerazioni
riguardanti la limpidezza e il colore, da questi anche qui inizieremo,
passando subito dopo a quanto possa concernere la CO2. |
La
limpidezza è ovunque apprezzata come sintomo di tecnologia
perfettamente condotta a punto, e pertanto anche negli spumanti
costituisce un parametro di pregio. Va però sottolineato che, nel
caso di spumanti di produzione familiare, e pertanto presentanti in
bottiglia (del tutto analogamente ai vini sur lie) un
sedimento di lieviti, o ancora nel caso di valutazione di uno
champenois ancora nella fase precedente il dégorgement, una
velatura più o meno sensibile è certamente probabile. È intuitivo
pertanto che in tal senso una limpidezza non perfetta non sia certo
da considerarsi parametro negativo.
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Per quanto riguarda il colore, una prima
importante suddivisione subito si impone: quella tra spumanti
Charmat corto (e derivati) o invece Champenois e derivati (o Charmat
lungo). Va evidenziato cioè che il colore negli Charmat corto
bianchi deve essere un paglierino scarico, o anche molto scarico,
senza peraltro sconfinare nel bianco carta. Tonalità questa
parzialmente condannabile in quanto sospetta di derivare da
trattamenti decoloranti che possono anche impoverire
qualitativamente il vino. Tale paglierino molto scarico è poi
giustificato in quanto forma prudenziale contro lievi incupimenti
nel tempo di conservazione del prodotto finito, i quali potrebbero
altrimenti condurre ad un paglierino troppo dichiarato e pertanto
giustamente non gradito.
Negli Champenois invece (o negli Charmat lungo), la lunga sosta
sulle fecce porta necessariamente ad una tonalità un po' più
carica che negli Charmat corto. Ne consegue che la loro intensità
di tinta non può essere minore di un paglierino moderatamente
scarico, senza assolutamente peraltro superare un paglierino
normale.
Ciò vale essenzialmente per Champenois pas dosés. Per i dosés
invece, e ciò vale anche per qualche brut che raggiunga o superi
una gradazione zuccherina del1'1%, tale intensità necessariamente
si carica ulteriormente in funzione diretta dell'entità del dosage,
a causa dell'effetto leggermente ossidante del liqueur d'expédition.
Ciò porta normalmente ad un paglierino normale (esecrabile
peraltro, un paglierino carico). Ben pochi tecnici effettivamente si
preoccupano della carica di ossigeno libero presente in un liqueur
d'expédition o nel vino di ricolmatura_ Da ciò la verosimile
imputazione che da esso possa probabilmente dipendere il noto fatto
del declino qualitativo che, sia pur lentamente, inizia dal momento
del dégorgement in avanti. Intuitivo come sia pertanto razionale,
nel caso dei pas dosés, predisporre, in sede di tirage, di
bottiglie colme oltre il livello di norma, in modo da non richiedere
pareggiamento con altro vino al momento del dégorgement,
pareggiamento che sarebbe invece necessario per ricostituire la
perdita di liquido che inevitabilmente deriva alla bottiglia per
questo particolare passaggio tecnologico.
Per quanto riguarda poi il colore dei rosati,
è abbondantemente noto che un rosato razionale deve presentare
anche leggere sfumature violacee, ma non assolutamente sfumature
aranciate. Poiché le sfumature violacee sono sintomo della
irrinunciabile gioventù di questi vini, contrariamente a quelle
aranciate che ne denunciano invece la relativa decrepitezza, ne
consegue che i rosati, a nostra opinione personale, devono essere
riservati agli Charmat corto e costituiscono invece un non senso
negli Champenois (o negli Charmat lungo), metodi che ovviamente non
possono prescindere da un adeguato invecchiamento, il che li rende
improponibili per i rosati in quanto toglie ad essi ogni
caratteristica di freschezza. Il colore così non ne potrà derivare
che aranciato smorto.
Negli spumanti rossi, sempre Charmat corto
ovviamente, in quanto impensabili qui altri metodi a lungo
invecchiamento, il colore deve essere un rubino vivace, senza alcuna
cessione al rosso granato. Solo il rubino difatti è sintomo di
gioventù, condizione appunto sine qua non per una validità
di questi spumanti legati ad una vivace giovinezza. L'intensità di
questo rubino è variabile. Piuttosto leggera in un Lambrusco, più
carica in un Barbera o in un Freisa, nettamente più carica in un
Recioto della Valpolicella.
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Per quanto riguarda ora i vari aspetti della CO2,
caratteristicamente contenuta in quantità molto elevate nello spumante,
vi sono parecchie considerazioni da fare.
La CO2 (che fra l'altro dà luogo al
caratteristico perlage, cioè allo sviluppo di coroncine gassose
in seno allo spumante versato nel calice) va considerata sia sotto
l'aspetto della durata della spuma che si sviluppa alla
superficie del vino nel momento in cui questo viene versato, sia sotto
quello del diametro delle singole bollicine che così si svolgono
nel calice, sotto l'aspetto del numero totale di queste in una data unità
di volume del vino e della durata complessiva del fenomeno stesso,
quindi sotto l'aspetto dell'entità di formazione di spuma,
artificiosamente causata a notevoli distanze di tempo dal momento del
versamento nel calice (il prezioso fenomeno cioè dell'inerzia del vino
a cedere il gas contenuto in sovrasaturazione), e infine sotto l'aspetto
dell'influenza organolettica sul degustatore.
Prima
di entrare in dettagli su questa serie di parametri di valutazione, sarà
bene ricordare ancora come il calice più razionale per lo spumante sia
il flûte (flauto, nella traduzione dal francese, in quanto
vagamente simile al flauto diritto) e come invece sia del tutto
irrazionale, e quindi da abbandonarsi, la coppa. Nel flùte difatti il
vino si dispone in strato alto e stretto, con la minima possibile
superficie libera disperdente del gas; nella coppa invece, lo strato è
molto basso, con una superficie libera, e quindi disperdente,
esageratamente grande. La CO2 difatti, fa parte integrante
dell'equilibrio organolettico dello spumante, il quale pertanto deve
essere degustato quando contenga la massima quantità possibile di tale
gas.
Di più, il flûte consente di apprezzare il piccolo e piacevole
spettacolo delle lunghe coroncine serpeggianti del perlage, al contrario
delle cortissime coroncine possibili invece nella coppa.
Il flûte comunque va qui riempito ora per circa la metà della sua
altezza (una dose cioè maggiore di quanto non sia consuetudine per la
degustazione di vini tranquilli nei bicchieri a tulipano), in modo da
concedere spazio al perlage, e contemporaneamente sufficiente spazio
alla spuma che si sviluppa all'atto del versare.
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In
merito a detta spuma possiamo accettare come tempo ottimale
per la sua scomparsa (essa cioè si riduce rapidamente ad un anello
di bollicine in superficie in corrispondenza della circonferenza del
bicchiere) un valore compreso tra i quattro e gli otto secondi. Meno di
quattro secondi denunciano una spuma troppo fugace; più di otto
denunciano una spuma troppo persistente, derivante da una tensione
superficiale anomala per eccesso di carica colloidale o per altri
squilibri compositivi del vino.
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Per valutare il diametro delle bollicine del
perlage va posta anzitutto attenzione sul fatto che inizialmente
esse di regola si presentano molto grosse. Ovviamente il degustatore non
deve tenerne conto, ma attendere un tempo minimo di due minuti prima di
valutarne il diametro definitivo. Tale valore difatti va diminuendo
rapidamente nel tempo e si stabilizza sui diametri minimi solitamente
dopo tre - quattro minuti dal versamento. E intuitivo che la temperatura
del vino non deve frattanto variare sensibilmente poiché è
universalmente noto che il diametro delle bolle gassose è direttamente
proporzionale alla temperatura del liquido. Quindi, non si tocchi il
corpo del flûte con le mani!
Per
una obiettiva e precisa valutazione dell'effettivo diametro delle
bollicine, e della conta del numero delle coroncine presenti, ciò
naturalmente non è possibile in sede di normale degustazione. Lo può
essere invece solo in sede di ricerche sperimentali, ricorrendo a
fotografie diapositive eseguite non su flûtes ma su vaschette in vetro
a facce piane, onde evitare l'effetto "lente" che la
superficie convessa del flûte causerebbe. Tali diapositive devono poi
essere proiettate su un grande schermo, il che rende possibile, con
l'aiuto di un normale decimetro, misurare il diametro delle bolle,
riportandolo poi ai valori reali presenti nel vino entro il bicchiere.
In linea generale, un perlage è più quotato qualitativamente, per
quanto più sottile si presenti. Valori ottimali portano gli 0,1
millimetri di diametro. Ma attenzione, però: la misurazione difatti
va riferita alle bollicine presenti a metà altezza del vino nel flûte.
Esse in realtà sono appena percettibili nei punti della loro nascita,
ma aumentano notevolmente di diametro man mano che si portano verso la
superficie. Diremo che una bollicina a metà percorso ha un diametro
dell'ordine della metà di quella che si è invece portata in prossimità
della superficie del liquido.
A proposito del diametro di queste bollicine, va
evidenziato che esperienze condotte dall'autore hanno dimostrato
l'infondatezza di un luogo comune secondo cui gli Champenois avrebbero
un perlage più minuto di quello degli Charmat. Ciò non corrisponde
alla realtà dei fatti; i diametri sono del tutto simili. Quello che può
invece far variare tale parametro non è il metodo di spumantizzazione,
bensì le differenze individuali da spumante a spumante,
indipendentemente dal metodo stesso.
Una osservazione è invece molto importante, e cioè quella relativa
alle fortissime differenze indotte al perlage da ogni singolo bicchiere.
E noto difatti come, in una commissione di dieci degustatori che ad
esempio valutino contemporaneamente il medesimo spumante usando
ovviamente dieci diversi bicchieri, si abbiano dieci diverse intensità
di perlage. Si va cioè da un flûte del tutto "muto" ad un
altro flûte ricco invece di molte coroncine filiformi (la causa è
comunemente ascritta a piccole graffiature possibili in qualche
bicchiere, o a presenza. di superfici ruvide, o a grani di polvere,
tutti punti di sviluppo del gas). Ciò porta alla necessità di
smerigliare un piccolo tratto al fondo dei flûtes da usarsi in
degustazioni collettive. Tale punto smerigliato costituirà difatti in
ogni caso un efficiente punto di sviluppo di coroncine e tenderà ad
uniformare, in una forma abbastanza accettabile, il comportamento di
ogni singolo flûte.
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Com'è noto, la finezza e la durata del perlage
dipendono da un 'equilibrata carica colloidale del vino e dai valori
della sua viscosità, nonché da una centrata temperatura in fase di
presa di spuma
.
Altre considerazioni importanti vanno fatte ora su
quanto concerne la "durata di spumabilità", cioè a dire in
pratica, la valutazione dell'altezza della spuma che può essere
provocata artificiosamente a lunga distanza di tempo in uno spumante già
versato in flûte. Ciò naturalmente è un indice diretto del prezioso
fenomeno che lo spumante presenta: quello cioè, già sopra accennato,
di trattenere lungamente il gas in esso disciolto anche in forte
eccesso, sempreché (e questo è di importanza fondamentale) il vino non
venga agitato, permanga a temperatura costante e, se presente in una
serie di flûtes, sia stato versato dalla stessa mano e con modalità il
più possibile uniformi.
È
noto difatti come una bottiglia champenoise appena dégorgée e
conservata stappata senza assolutamente subire scosse, riesca a portare
a zero il proprio contenuto di gas presente in sovrasaturazione (diremo
così, presentante 4-5 atmosfere se tappata) in un tempo dell'ordine di
una settimana (la curva di decremento avrà un andamento di tipo
logaritmico, o quantomeno quadratico). Se invece viene
scossa, il gas in sovrasaturazione si svolge in qualche secondo
solamente. Ne è controprova il fatto che se preleviamo dal nastro
trasportatore una bottiglia di spumante subito a monte della tappatrice
definitiva e le inferiamo un colpo secco al fondo, il vino ne fuoruscirà
violentemente, spinto dall'impetuoso erompere del gas, sino addirittura
a raggiungere il soffitto.
In
tal senso è dimostrato come sia molto influente sul degasamento di uno
spumante il variabile stato di agitazione conseguente alle manualità
del suo versamento in una serie di flûtes. Più precisamente: se
versiamo contemporaneamente lo spumante di un'unica bottiglia (e sempre
con la stessa mano in una dozzina di flûtes, in ambiente
termostabilizzato e ne controlliamo la spumabilità dopo un'ora dal
versamento, mediante aggiunta esatta di un grammo di saccarosio
cristallino, contemporaneamente in tutti i flûtes (tutte le sostanze
solide cristalline aggiunte ad uno spumante ne fanno erompere
violentemente il gas), noteremo delle fortissime differenze di
comportamento da flûte a flûte, derivanti dalle forti differenze di
contenuto in CO2 residua. In una tale esperienza si sono così
misurate altezze di spuma variabili addirittura da due millimetri a ben
otto centimetri. Differenze certo impensabili a priori e portantisi
sulle quaranta volte. L'imputato maggiore è indubbiamente la non
prevista forte differenza di agitazione che ogni frazione dello spumante
subisce nel riempimento dell'uno o dell'altro flûte. Il parametro della
spumabilità residua nel tempo di uno spumante (cioè in pratica la sua
attitudine più o meno spinta a ritenere il gas) è pertanto da
considerarsi inutilizzabile in prove di confronto fra spumanti diversi,
se si ricorra alle normali manualità di versamento
nei
flûtes. Comunque, buona parte di tale effetto di ritenzione, o
inversamente di rallentamento nella cessione del gas nel tempo, è
legata anche ad un fattore importante: l'esistenza in seno allo spumante
di una frazione della CO2 così detta "combinata";
di quella CO2 cioè legata a composti azotati (proteine,
peptidi, non peraltro amminoacidi) da cui si sgancia con netto ritardo
rispetto alla frazione invece sussistente come "libera". Tale
CO2 combinata rappresenta, in uno spumante ben preparato, da
1/6 ad 1/7 della CO2 totale. Da ciò il consiglio di ridurre
al minimo possibile il trattamento con bentonite ai vini base, dato che
questa può causare diminuzione (la bentonite capta attivamente i
composti azotati) di un 40% circa nella durata di spumabilità e
peggiora complessivamente il perlage.
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Passando
ora all'esame olfattivo, sarà buona cosa versare a rifiuto una
parte del vino già in flûte (più sopra abbiamo proposto di riempire
il bicchiere a metà; ora. sarà il caso di portarne invece il contenuto
ad 1/4 onde disporre di un sufficiente spazio di testa nel flûte per
meglio valutare i profumi dello spumante stesso).
E’ ora il caso di fare una fondamentale distinzione: quella cioè tra
gli Champenois (ivi inclusi anche gli Charmat lungo) e gli Charmat
corto, date le fondamentali diversità che di solito sussistono nelle
loro rispettive caratteristiche olfattive.
Negli Champenois difatti è reputato carattere di
pregio (non peraltro obbligatoriamente per qualsivoglia tipo di
Champenois) la presenza in dose equilibrata del così detto "feccino",
termine questo abbastanza frequentemente usato in Italia per definire
quel particolare profumo che ricorda quello dei migliori formaggi
aromatici a pasta molle. Non è ancora sufficientemente attribuito tale
profumo a questo o a quell'altro composto chimico, o a determinati
raggruppamenti di composti. Certo che un tempo esso veniva attribuito
particolarmente ad aminoacidi, ipotesi che oggi sembra diminuita di
importanza. Comunque il feccino non è certo da includersi nel gruppo
dei profumi fruttati e floreali e fa sí che uno Champenois o uno
Charmat lungo siano da considerarsi anche come validi spumanti da
pranzo.
L'intensità di tale profumo forse è maggiore in spumanti da vini base
aventi già sviluppato una fermentazione malolattica (nella Champagne,
molto a nord come limite viticolo, tale fermentazione è necessaria per
ridurre le acidità qui molto elevate, mentre da noi è considerata più
o meno inutile se non addirittura dannosa). Da ciò le iniziative di
qualche tecnico spumantista italiano di allestire vini base per
Champenois con parte dei componenti provenienti da vini a fermentazione
malolattica già espletata. L'acido lattico stesso, così formatosi, e
forse alcuni prodotti secondari della fermentazione malolattica
probabilmente si potranno considerare dei precursori del feccino.
Comunque, l'intensità di questo profumo deve essere equilibrata ed esso
deve essere sufficientemente "giovane". Lunghi invecchiamenti
di Champenois feccini causano difatti una sua sgradevole evoluzione la
quale sfocia in un odore che ricorda quello delle crisalidi del baco da
seta (presente, ad esempio, a scopo di individuazione, in molti mangimi
per uccelli). E ciò non è certo infrequente in vecchi champagnes,
bevuti "ad orecchio", da cui la nostra perplessità sulla
validità "eterna" dei millesimés.
Negli Charmat corto invece il pregio corrisponde
spesso a vini dotati di profumi fruttati e floreali (ad esempio nel
Prosecco, o Cartizze che sia), o invece aromatici (il delizioso aroma di
moscato dell'Asti Spumante), profumi legati sia alla gioventù di questi
spumanti, sia ad un loro sufficiente residuo zuccherino, cui i profumi
suddetti e gli aromi sono indubbiamente legati. Da ciò la nostra scarsa
simpatia ad esempio verso un Prosecco brut. Non ne vediamo la
giustificazione, e consideriamo che ciò porti ad una ingiustificata
rinuncia alle tanto gradite caratteristiche di questo vino. È inutile,
sempre secondo la nostra opinione, ricorrere ad un Prosecco per farne
uno spumante brut; si può benissimo ricorrere ad un altro vino bianco a
tale scopo e lasciare il Prosecco entro il suo ambiente così unico e
così gradito se legato ad una moderata amabilità A maggior ragione poi
se si parli di Moscato (a puro titolo di curiosità enologica, esiste in
realtà qualche rarissimo esempio di Moscato secco, molto adatto nel
particolarissimo caso dei cibi affumicati, difficilissimi diversamente
da accostare a qualsiasi vino).
Nel caso di un Lambrusco (ovviamente preferibile
come Charmat corto) è ben gradito il suo profumo di viole. Nel caso di
un Recioto della Valpolicella, il suo evidente profumo di vaniglia che
lo rende pressoché unico vino accostabile ai dolci al cioccolato.
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Passando ora all'assaggio
orale vi sono delle considerazioni da fare nei riguardi del tenore
zuccherino presente in uno spumante.
Negli Champenois e Charmat lungo, di norma è prefento il tipo brut, con
un residuo zuccherino possibilmente non superiore ad un 1% (ancora più
graditi i pas dosés da parte degli "addetti ai lavori"),
mentre per un Prosecco tradizionale tale valore si porta ottimamente
sull'1,6-1,8 %, e per un Asti sul 6-8 %.
A proposito del contenuto zuccherino, la CEE
presenta i seguenti limiti. Pas dosé: limite non precisato; brut:
inferiore all'1,5%; extra dry: dall'1,2 al 2,0%; sec:
dall'1,7 al 3,5%; demi sec: dal 3,3 al 5,0%; demi doux:
limiti non precisati; doux: oltre il 5,0%.
A nostra opinione personale peraltro, non
condividiamo il fatto che un brut possa superare uno 0,8%, attestandosi
invece preferibilmente su uno 0,5-0,6%.
Com'è agevole verificare, la terminologia adottata in spumantistica nei
riguardi del contenuto zuccherino è sensibilmente spostata rispetto a
quella adottata per i vini tranquilli. Ciò in quanto la CO2
copre notevolmente la sensazione di dolce e fa utilizzare ad esempio il
termine "sec" per un vino spumante a tenore zuccherino (il
suddetto 1,7-3,5) tale che nel caso di un vino tranquillo farebbe
classificare quest'ultimo decisamente nel gruppo degli
"amabili". Tale effetto coprente della CO2 è da
tenere in piena evidenza quando si voglia ad esempio parlare del
malcostume di frullare lo spumante in flûte onde ridurne drasticamente
il contenuto in CO2 . Ciò può così trasformare un vino
degustativamente secco in uno invece degustativamente amabile.
Nel caso degli spumanti rossi, questi in linea
generale devono organoletticamente essere dolci. Il motivo è dovuto
alla presenza di tannini, in dose inequivocabilmente superiore a quanto
non si verifichi per i bianchi, tannini che creerebbero incompatibilità
degustativa con la CO2, da cui la necessita di ammorbidire il
contrasto ricorrendo alla presenza di notevoli dosi di zuccheri. Lo
stesso può non valere peraltro per il Lambrusco, stante la povertà
costituzionale in tannini di tale vino.
Importante in sede degustativa un'acidità vivace e
sostenuta (si ricorre talvolta a tale scopo, ad anticipi sul momento di
vendemmia), quale effettivo "polso" dello spumante. È chiaro
che un ritocco in tal senso mediante acidificazione diretta in cantina
ottiene risultati inferiori a quelli già presenti in un vino base
sufficientemente dotato di acidità naturale. Limiti non sono qui
agevoli: comunque proponiamo di non scendere sotto un 7 ‰ (o più
realisticamente di non superare un pH di 3,1), considerando ben spesso
ottimali i valori sul1'8,0-8,5 ‰ (o un pH di 3,0).
Per gli altri componenti degustativi, entriamo così nel campo dei
normali vini tranquilli di pregio, sui quali non è pertanto qui il caso
di soffermarsi.
Certo è che uno spumante, come vino di alto prestigio quale sempre
dovrebbe essere, deve presentarsi fine, armonioso in tutti i suoi
componenti, con buona persistenza (non si possono fissare limiti
cronometrici al valore della persistenza poiché in tal modo si
penalizzerebbero ingiustamente i vini non aromatici, data la
costituzionalmente maggiore persistenza al gusto appunto degli
aromatici).
Un discorso a parte ancora per la CO2
che in bocca deve dare una sensazione come di nebbia burrosa e non di un
assieme di punte che punzecchino la nostra cavità orale. Come
accostamenti un pas dosé o un brut Champenois sono adattissimi su un
pranzo impostato su portate leggere (molluschi, crostacei, pesti a
sapore delicato non però preparati in umido, formaggi); ma non certo
sul dessert, di qualsiasi tipo esso sia. Per
uno spumante fruttato l'accostamento ideale è sulla macedonia di frutta
o su dessert poco dolce. Per uno spumante dolce, aromatico di moscato,
su panettone o pandoro. Per i dessert dolci, al cioccolato, come già più
sopra detto, un rosso dolce, evidenziante la vaniglia.
Da tutto quanto sopra, emerge finalmente come la
degustazione degli spumanti presenti indubbiamente proprie particolari
esigenze, aggiuntive a quelle necessarie per vini tranquilli di pregio.
L'importante è poter così valutare le alte qualità degli spumanti e
riconoscere loro i grandi meriti che effettivamente posseggono.
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