Nelle cellule della polpa degli acini d’uva, durante la fase erbacea, cioè di crescita vera e propria, i sali ammoniacali sono la forma di combinazione più rappresentata di questo elemento. A questo stadio fenologico, esso rappresenta 80% dell’azoto totale e ha origine, certamente, dai nitrati assorbiti dal terreno attraverso le radici. Al momento dell’invaiatura, l’azoto ammoniacale, ancora largamente predominante, vede diminuire rapidamente il suo contenuto in quanto viene utilizzato nella sintesi di molecole organiche più complesse. Così, ad es., con gli a-chetoacidi del ciclo di Krebs e della respirazione degli zuccheri, attraverso reazioni di transaminazione, è prodotta la maggior parte degli amminoacidi liberi, che vengono utilizzati dalle cellule dell’uva per produrre peptidi, polipeptidi e proteine. A maturità, l’azoto minerale in un mosto, rappresenta meno del 10% dell’azoto totale, ossia qualche decina di mg/L, espresso come ammoniaca.
L’ammoniaca, o più propriamente il catione ammonio NH4+ , è la forma azotata più direttamente assimilabile da parte dei lieviti; il suo tenore influenza sia la velocità d’inizio della fermentazione di un mosto sia il suo potenziale di fermentescibilità. Dato che si osserva la scomparsa pressoché totale di questa forma azotata nei mosti alla fine della fermentazione alcolica, appare importante la conoscenza del suo contenuto nel mosto, in particolare negli anni di buona maturità. Il metodo di Boussingault permette di dosare selettivamente l’azoto ammoniacale per distillazione in presenza di un largo eccesso di una base debole (magnesia), ma è disponibile anche un metodo enzimatico specifico, sensibile e preciso.
Quando il tenore in ammoniaca di un mosto è inferiore a 50 mg/L, l’aggiunta di fosfato o meglio di solfato biammonico [(NH4)2HPO4; (NH4)2SO4] alla dose di 10 g/hL può essere consigliata se si vuole realizzare una partenza rapida della fermentazione alcolica. Al contrario, l’aggiunta sistematica di questo sale ammoniacale, senza un controllo analitico attestante la sua necessità, non è raccomandabile, in quanto può condurre a vini poveri in composti odorosi, ad es., di alcoli superiori, di esteri e, in particolare, di esteri etilici di acidi grassi.
Nei vini, dopo permanenza sui lieviti o dopo la fermentazione malolattica, si può ritrovare qualche decina di mg/L di azoto minerale; infatti i batteri lattici non assimilano azoto ammoniacale ma lo possono cedere. Per i vini destinati ad una seconda fermentazione in autoclave o in bottiglia, è prudente effettuare, in associazione con la tiamina pirofosfato, un’aggiunta di fosfato biammonico.