Di seguito si riporta integralmente la relazione "I problemi tecnici della nuova viticoltura pugliese" presentata a Napoli, nel 1921 al I° Congresso di Arboricoltura Meridionale, dal Cav. Prof. Giuseppe Musci, R. Delegato tecnico, direttore dei Consorzi Viticoli in Bari.
La Puglia è, fra le regioni d'Italia, una delle più adatte alla coltura della vite. Le speciali condizioni del clima, che si distingue per la singolare povertà delle sue precipitazioni, e dei terreni pietrosi, calcarei, in cui la roccia affiora spesso, rendono poco redditizia la
coltura granaria e non permettono all'agricoltore che la scelta di poche piante da coltivare, che in periodi
normali e per cause eccezionali e transitorie danno il maggior reddito.
La coltura della vite in Puglia ha impronta e sostanza talmente economica da determinare e costituire una vera questione sociale. Essa investe tutta la economia della regione pugliese.
Che cosa è accaduto in Puglia il giorno in cui la fillossera ha distrutto i suoi ubertosi vigneti? Oltre all'annientamento di un immenso capitale, abbiamo avuto lo spettro della disoccupazione, che tiene in viva e continua agitazione le folle dei nostri contadini. Il problema della ricostituzione dei vigneti su ceppo americano apparve da quel giorno in tutta la sua entità ed importanza ed i Consorzi di difesa della viticoltura, seppero con sicura coscienza e con ferma fede assolvere il compito che la legge e la fiducia dei viticoltori loro aveva assegnato.
L'azione dei Consorzi di difesa della viticoltura
Non spetta a me dire del lavoro poderoso svolto da quelli che il non mai abbastanza compianto Edoardo Ottavi ebbe a chiamare "figli del genio e della disciplina ammirevole degli agricoltori pugliesi". Non ne avrei l'autorità e la possibilità. Tra breve a cura del R. Commissariato per i Consorzi di difesa della Viticoltura che come è noto è retto con tanta competenza dall'illustre Prof. Michele Carlucci, così efficacemente e validamente coadiuvato dal valoroso Comm. Mignone, pioniere dell'organizzazione viticola pugliese, pubblicherà la relazione sull'ingente lavoro e sul progresso conseguito in tutti i rami che regolano ed armonizzano la vita ed il funzionamento delle benefiche istituzioni: rami amministrativo, tecnico e sperimentale. Sarà una pubblicazione che riuscirà particolarmente istruttiva a quanti si occupano dei problemi della viticoltura nazionale.
A me sia consentito soltanto di ricordare qui l'opera che i Consorzi hanno esplicata in venti anni di vita.
La notevole estensione raggiunta dai vigneti a piante madri e dai barbatellai di viti americane, i numerosi vigneti sperimentali studiati con diligente perseveranza nel loro sviluppo vegetativo e nella produzione
annuale, l'incremento assunto dall'industria della preparazione delle barbatelle innestate, la creazione delle maestranze abili e provette, l'utile ed estesa propaganda istruttiva fatta con fede di apostoli dai delegati tecnici, il favore che tutte le iniziative dei Consorzi hanno incontrato tra i viticoltori, stanno a dimostrare quanta stima e quanta fiducia godano queste istituzioni e quanto possa l'energia privata sorretta e coadiuvata opportunamente dallo Stato.
I risultati ottenuti, per mezzo di esperienze eseguite sull'adattamento, sull'innesto, sull'affinità, sulla resistenza alla fillossera, alla siccità ed ai forti calori delle viti americane innestate o no, mettono ormai in grado i Consorzi di fornire ai viticoltori tutte le indicazioni necessarie per ben riuscire nella ricostituzione, evitando gli errori, e gli insuccessi lamentati altrove.
Situazione viticola delle Puglie
La Puglia, prima che la fillosera devastatrice avesse fatta in essa la sua triste apparizione, possedeva una superficie vitata di ha 319.091 cosi distribuita:
Provincia di Bari ........... ha 142.652
Provincia di Foggia ....... ha 44.111
Provincia di Lecce ......... ha 132.328
Del vecchio vigneto non esiste che poco meno di un quinto e cioè:
Provincia di Bari ............ ha 8.000
Provincia di Foggia ........ ha 15.000
Provincia di Lecce .......... ha 40.000
TOTALE........... ha 63.000
mentre la superficie vitata ricostituita può calcolarsi intorno ai 65.000 ettari.
Questi dati sono abbastanza eloquenti per prospettare la vera situazione viticola pugliese e per persuadersi che, nonostante la crisi che si attraversa, è necessario, intensificare la ricostituzione se si vuole mitigare la piaga della disoccupazione e ripristinare la economia regionale.
Infatti, quando si pensi che per la coltivazione di un ettaro di vigneto occorrono non meno di 150 giornate, si vede chiaramente che dal mercato del lavoro sono scomparse ben 29.000.000 di giornate lavoratrici che non farebbero crescere la mala pianta della disoccupazione se la preziosa ampelidea allietasse ancora con i verdi pampini e con i pingui grappoli le nostre ubertose colline e le vaste pianure.
La ricostituzione in Puglia, nel primi anni procedette lentamente, sia per la crisi di sovrapproduzione che afflisse l'Italia vinicola nel biennio 1908-1909, sia per la mancanza di una completa preparazione tecnica, che la nostra regione non poteva avere se non dopo innumerevoli e diligenti esperienze condotte dai Consorzi viticoli. Infatti, durante il decennio 1903-1912 non furono ricostituiti che 7.652 ha. di vigneto; nel quinquennio 1913-1917 i nuovi impianti furono estesi su di una superficie di ha. 14.504; nell'ultimo quadriennio 1918-1921 la ricostituzione si è fatta più attiva, inquantochè sono stati impiantati ha. 42.844.
Questo lavoro mirabile e poderoso della ricostituzione devesi in massima parte ai nostri Consorzi di difesa della viticoltura.
Cenni geologici ed agrologici sui terreni pugliesi
Il suolo della regione pugliese ha struttura
geologica diversissima; dai calcari compatti del cretaceo, costituenti il masso collinoso delle Murge e delle Anti-Murge ed il blocco del Gargano, ai tufi calcarei del pliocene, ai terreni profondi postpliocenici, è tutta una costituzione geologica che armonizza con le speciali condizioni del clima.
I terreni del cretaceo sono costituiti generalmente da un soprassuolo di colore rosso ruggine intenso e da un sottosuolo a pietra anfrattuosa e sconnessa.
Lo spessore del soprassuolo talvolta supera anche gli 80 cm. tal'altra è sottilissimo sino al punto da scomparire addirittura ed in tal caso la roccia del sottosuolo affiora.
Indubbiamente le terre rosse sono, dopo quelle alluvionali, le migliori, sebbene vi predomini l'aridità. Esse contengono carbonato di calcio in minima quantità e presentano molte condizioni favorevoli per un buon adattamento alle viti americane.
I terreni pliocenici sono costituiti da un soprassuolo di natura argilloso-calcareo o calcareo-argilloso, di profondità varia dai 50 ai 70 cm. e, da un sottosuolo tufaceo impermeabile alle acque di infiltrazione chiamato volgarmente crosta. Questo strato è costituito da sabbioni calcarei a grana molto fina fortemente cementati dal calcare durissimo.
Il suo spessore, che varia da pochi centimetri fino a mezzo metro e più, riesce sempre di ostacolo ad una regolare coltivazione. Siffatto ostacolo è conosciuto dagli agricoltori pugliesi, i quali rompono la crosta prima di piantarvi la vite.
Al disotto della crosta in molti casi si rinviene il tufo costituito da una agglomerazione di sabbia calcarea cementata e commista a frammenti di conchiglia.
In molti altri casi sotto la crosta si rinviene un sottostrato profondo formato di materiale incoerente e sciolto, come argilla, sabbia, argille sabbiose, calcare farinoso ecc.
La ricchezza in carbonato di calcio dei tufi e della crosta è sempre rilevante, variando in media dal 50 al 60% e raggiungendo un massimo anche del 90 %.
I terreni postpliocenici sono di origine alluvionale molto profondi e freschi privi di sottosuolo roccioso, di composizione omogenea e di natura siliceo-argilloso, ma più spesso argillosi. Sono i più facili dal punto di vista dell'adattamento, tanto vero che in essi vegetano meravigliosamente anche le Riparie.
Porta-innesti impiegati nella ricostituzione
Dato uno sguardo fugacissimo alla geologia ed all'agrologia della regione pugliese, passiamo in rapida
rassegna i porta innesti che trovano più utile e maggior impiego nella ricostituzione dei vigneti della nostra regione.
In Puglia gli studi ordinati, diligenti e seri condotti dai Consorzi a mezzo dei numerosi vigneti
sperimentali hanno ridotto a pochi il numero dei portainnesti, che danno serio e sicuro affidamento per l'adattamento ai diversi terreni, per l'affinità con i vitigni indigeni, e per le loro attitudini colturali. E questo è un bene per la semplificazione della ricostituzione. I vitigni che
godono le maggiori simpatie sono: il 420 A e il 3309.
Il Berlandieri x Riparia 420 A è ritenuto il vitigno di moda in Puglia. È il vitigno che si è manifestato in questi ultimi tempi di una superiorità incontestabile nel nostro clima e nei nostri terreni aridi. Abbandonato da principio od usato esclusivamente nei terreni calcarei per la sua alta resistenza al carbonato di calcio, a causa delle difficoltà dell'attecchimento e del suo sviluppo alquanto tardivo e lento, ora si è affermato nella fiducia dei viticoltori pugliesi. Vegeta vigorosamente nei terreni siliceo-argillosi e calcareo-argillosi, anche se rocciosi, ma con numerose fenditure. Ha buona affinità con tutti i vitigni nostrali, specialmente col Primitivo, Negro amaro, Malvasia nera, Sussamiello, ecc. Lo sviluppo forte, la produzione regolare, uniforme e costante, la maturazione precoce e la resistenza altissima alla siccità ed ai forti calori ne fanno un portainnesto di prim'ordine.
Nei primi anni la vegetazione è modesta, ma dopo il quarto o il quinto anno d'impianto diventa robusta e la fruttificazione riesce abbondante. La ripresa all'innesto è ottima, variando dal 70 all'80%.
La Riparia x Bupestris 3309 ha trovato il suo migliore adattamento nei terreni profondi, freschi e fertili. Vegeta anche bene nei terreni poco profondi con sottosuolo a roccia sconnessa. Però si mostra molto sensibile ai venti di scirocco. Nei terreni siliceo-argillosi, di media compattezza e discretamente profondi ha ottimo vigore.
Innestato con i vitigni nostrani (Lacrima, Montepulciano, Sangiovese, Zuccherino, Primitivo, Negro amaro, Malvasia bianca ecc.) ha ottima affinità e dà produzione abbondante, che matura magnificamente.
È resistente alla siccità, riprende bene l'innesto, sia a tavolo che a dimora, con qualsiasi vitigno nostrale.
Vengono subito dopo il Berlandieri x Riparia 157-11, l'Aramon x Ruprestris N. 1 e lo Chasselas x Berlandieri 41 B.
Nei terreni fertili, profondi e freschi, anche se intensamente calcarei, il 157-11 prospera meravigliosamente, meglio del 420 A. Nei terreni rocciosi ha vegetazione stentata. In quelli siliceo-argillosi, superficiali si trova anche a disagio. Ha buona affinità con le viti nostrali, alle quali comunica grande fertilità. La ripresa all'innesto è inferiore al 420 A (dal 60 al 70 %).
L'Aramon x Rupestris Ganzin N. 1 è ammirevole, tanto da suscitare entusiasmo per il grande vigore che assume nei terreni argilloso-calcarei, profondi con sottosuolo boloso (terra rossa) o siliceo-argillosi con sottosuolo costituito dalla roccia calcarea fratturata.
Nei terreni eminentemente rocciosi soffre la siccità. Sì è mostrato di facilissimo attecchimento per talea e di discreta ripresa all'innesto. Questa è inferiore a quella del 3309, con i vitigni ad uve bianche raggiunge
talvolta il 75% mentre con quelli ad uve nere, specie col Primitivo, non sorpassa il 60 %. La ripresa degli innesti sul posto diventa
più bassa. A questo inconveniente si può ovviare con l'innesto a zufolo, che dà una ripresa altissima, tanto che a Sansevero col Primitivo il
collega Gramazio raggiunse il 92 %. Quando l'innesto è attecchito lo porta meravigliosamente con tutte le varietà nostrali.
Soltanto col Primativo soffre qualche volta la colatura per l'eccessivo vigore che il soggetto imprime alla marza. Col Troia ha vegetazione stentata e presenta, al punto d'innesto una notevole formazione cercinosa, ciò che è indizio di scarsa affinità.
Ciò che è degno di nota è che anche nei terreni calcarei, in cui la percentuale di carbonato di calcio è altissima, vegeta meravigliosamente. Infatti in un vigneto sperimentale di Conversano, dove furono piantate
tredici anni or sono delle barbatelle innestate di Primativo per provare la resistenza del portainnesto, in questione, mostra un vigore eccezionale ed una produzione abbondantissima. Può darsi che l'azione del calcare non facilmente solubile per mancanza di umidità sia meno nociva che nei terreni della stessa natura ma umidi. E risaputo che nei terreni secchi tutti i vitigni resistono ad una dose di calcare molto più elevata di quella che è stata loro assegnata nelle regioni del nord, dove non manca l' umidità.
Il Chasselas x Berlandieri 41 B vegeta ottimamente nei terreni siliceo-argillosi e calcareo argillosi, profondi e freschi. Come tutti gli ibridi di Berlandieri, si mostra poco vigoroso nei primi anni, in seguito assume un aspetto abbastanza robusto e produce
abbondantemente. In altri terreni anche profondi, ma con sottosuolo boloso la vegetazione è stentata. Ha buona affinità col Sangiovese, ottima col Trebbiano, col Bombino bianco e con le uve da tavola. Prende bene l'innesto; la ripresa raggiunge anche il 90%.
Un vitigno, che fino a qualche anno fa godeva le maggiori simpatie dei viticoltori pugliesi e che ora va perdendo terreno di giorno in giorno per troppo abuso che se ne è fatto in tutti i terreni, è il Rupestris du Lot. Esso ebbe gran voga presso i nostri viticoltori, perché assumeva ben presto uno sviluppo superiore a quello degli altri portainnesti. Si dimenticò però che esso aveva per area di adattamento i terreni rocciosi si, ma in cui la roccia è provvista di moltissime fratture, nelle quali possono approfondirsi le radici fittonanti. Quando tali esigenze non si tennero in debito conto si ebbero delle delusioni nei terreni superficiali e rocciosi. Dopo i primi anni di vigore la vegetazione si affievolisce. Nei terreni siliceo argillosi e sciolti ma aridi soffre il secco; nei terreni fertili e freschi ha larga produzione di legno e di foglie, ma pochissimo frutto, per effetto della colatura. In ambiente adatto, dove si comporta in modo veramente ammirevole, al settimo ed ottavo anno comincia a dare segni di stanchezza. Esso mostra buona affinità con i vitigni locali, che non vanno soggetti a colatura, specialmente con le uve bianche. La ripresa all'innesto va dal 75 all'80 %.
Dopo aver fatta questa sommaria esposizione dei vitigni che finora in Puglia hanno avuto maggiore impiego, per debito di giustizia ricorderò anche quelli che nelle varie piaghe, pur avendo aeree limitate, hanno dato felicissimi risultati. Così in Terra d'Otranto la Riparia gioire ha trovato nei terreni profondi e freschi magnifico adattamento; sulle Murge e sulle Anti-Murge, la Rupestris metallica, la Riparia x Cordifoglia x Rupestris 106-8, il Berlandieri x Rupestris 17-37, il Rupestris x Berlandieri 301 A vegetano magnificamente, dando buone produzioni se innestate col Primitivo, col Montepulciano, col Sangiovese, ecc.; nelle terre rosse di Conversano, Castellana, Turi, Cisternino, Locorotondo e Ostuni e nei terreni compatti del Mesagnese il Mourvedre x Rupestris 1202 si presenta come l'Aramon x Rupestris Ganzin N. 1
Consociazione dei vigneti con altre colture
Esaminiamo ora quale sistema d'impianto convenga adottare nella ricostituzione affinché le nuove viti trovino le condizioni più propizie per il loro più completo svolgimento.
Le crisi vinicole, che di tratto in tratto preoccupano i nostri viticoltori, sono valse a dimostrare chiaramente che l'unilateralità di coltura è causa perturbatrice dei fenomeni economici.
La specializzazione delle colture non può essere ammessa dal punto di vista
economico-industriale. Da ciò scaturisce la necessità di consociare la vite alle altre colture, i cui prodotti, insieme a quello della vite, possono rendere più costante il reddito delle terra ed allontanare permanentemente il periodo delle crisi, divenute l'incubo dei nostri viticoltori. Questa consociazione può farsi con le colture erbacee e con quelle arboree. Quanto alla consociazione con le colture erbacee vi sono sempre imperiose ragioni a sconsigliarla. I viticoltori pugliesi, compresi da queste valide ragioni, che credo inutile enumerare, hanno bandita la consociazione delle viti con le colture erbacee, ad eccezione della parte orientale di Terra di Bari.
Il prof. Briganti consiglia però di consociare le viti con le coltivazioni autunnoinvernali, che danno prodotto molto per tempo in primavera. Sono in corso esperienze al riguardo per iniziativa del Consorzio Viticolo di Bari.
Molti viticoltori hanno tentato qua e là la consociazione con gli alberi, che nella nostra regione trovano le condizioni più propizie per il loro sviluppo e danno prodotti copiosi e pregevoli.
Non mancano in Puglia impianti di vigneti fatti in consociazione con il mandorlo e con l'ulivo. Quest'ultimo si è dimostrato il miglior compagno della vite, mentre il mandorlo si è palesato un concorrente
temibile per le sue radici striscianti.
Nella consociazione del vigneto sono da tenersi in gran conto anche le piante da frutta, inquantochè la loro produzione ha un bell'avvenire nel nostro commercio di esportazione. Nella scelta si dovrebbero tenere
presenti le indicazioni che ci vengono dalle richieste e dalle esigenze dei maggiori centri di consumo verso cui si dirige la nostra esportazione.
Questo a nostro parere dovrebbe essere il vigneto dell'avvenire, che ci metterà a riparo da ogni crisi e ci consentirà di trarre profitto dalla mano d'opera, facendola partecipare tanto alle spese di coltivazione quanto agli svariati prodotti del suolo, cosa questa
estremamente difficile per non dire impossibile, nelle condizioni attuali della viticoltura specializzata.
Sistemi di piantagione dei vigneti
I sistemi di piantagione usati in Puglia in rapporto al sesto sono diversi: in quadrato, a quinconce, a filari semplici ed a filari abbinati.
Il piantamento in quadrato è il più semplice ed il più diffuso.
Le viti ordinariamente si dispongono in quadrato alla distanza di m. 1,20-1,25.
Questa distanza giova alle viti americane innestate per agevolare il loro sviluppo, vegetativo che come è noto è molto rigoglioso, assai di più che nelle varietà europee.
C'è chi crede che, diminuendo la distanza tra vite e vite, si salva il vigneto dai danni di una eccessiva evaporazione specialmente nelle annate di siccità, perché il fogliame, ricoprendo il terreno, ne ostacolerebbe il prosciugamento. È un errore contro cui ho il dovere di mettere in guardia i viticoltori che si lasciano indurre in inganno da illusorie apparenze.
Il piantamento a quinconce ha in Puglia una ben limitata applicazione; essa è stata adottata su mio suggerimento da diversi viticoltori di Conversano,
Castellana, Sannicandro e Santeramo in Colle.
Quello a filari semplici ed abbinati si va facendo strada dovunque per ragioni di economia, inquantochè consente economicamente la sostituzione dell'aratro alla zappa per la coltivazione del vigneto.
Le distanze usate con buoni risultati sono le seguenti per i filari abbinati: m. 2 tra un binario e l'altro e m 1 tra le due fila di ciascuno binario, mantenendo la distanza di m. 1,00 tra vite e vite sulla fila.
Con questi sistemi si ottiene un minor numero di piante, è vero, ma i ceppi vengono più vigorosi, dotati con più abbondante sistema radicale capaci di portare a perfetta maturazione un maggior numero di grappoli di uva.
Volendo consociare alla coltura della vite anche quella erbacea converrà collocare i ceppi a filari distanti 2-3 metri, sulla fila si metteranno a m. 1,25. Se poi la consociazione fosse fatta con fruttiferi, questi dovrebbero essere piantati sui filari delle viti alla distanza di 8-10 metri in quadro, mantenendo la solita distanza tra i filari stessi.
Preparazione del terreno per l'impianto dei vigneti
Teoricamente per l'impianto del vigneto con le viti americane il lavoro di dissodamento più razionale, più pratico, più perfetto, più completo che si possa immaginare è senza dubbio lo scasso totale alla profondità dai 70 agli 80 cm.
Però questo sistema, se riesce costoso nei terreni piani, pianeggianti e profondi, sulle nostre colline, dove per rompere la roccia bisogna fare impiego del piccone, diventa addirittura impossibile, perché richiede spese ingenti.
Dalle prove fatte mediante i numerosi vigneti sperimentali dei Consorzi viticoli sparsi nella regione, è risultato che per rendere meno dispendiosa la preparazione del terreno per l'impianto dei vigneti si può
limitare il lavoro facendo lo scasso a trincee (canaloni) od anche a buche (fossette).
Il primo sistema consiste nell'aprire le fosse lunghe per quanto è lungo l'appezzamento da piantare, profonde dai 60 ai 70 cm. e larghe da 40 a 50 cm.
Lo scasso a buche (fossette) che è il più usato dai viticultori pugliesi, consiste nello scavare le buche rettangolari lunghe m. 1,00-1,10, larghe cm. 40 e profonde cm. 60-70. Nelle buche le talee o barbatelle vengono collocate di fronte alle facciate più corte.
Sui terreni rocciosi è stata da me sperimentata la piantagione del vigneto col palo di ferro che ricorda, il sistema ormai abbastanza disusato dai nostri viticoltori.
Circa i risultati ottenuti dai diversi sistemi dobbiamo dire che essi sono difformi. Generalmente si
constata la superiorità dello scasso a fossette su quello totale e su quello a trincee. Le viti piantate nelle buche resistono maggiormente alla siccità, fruttificano più abbondantemente ed acquistano maggiore sviluppo di quelle sullo scasso totale. Ciò dipende dal fatto che le viti piantate nelle buche trattengono meglio l'umidità ed anche dal diverso angolo di geotropismo che le
radici sono obbligate ad assumere entro le buche con direzione quasi verticale, per cui possono utilizzare meglio l'acqua contenuta nel sottosuolo. Le viti piantate nelle trincee hanno anche vegetazione superiore a quelle sullo scasso generale, ma inferiore sempre a quelle delle fossette.
Nel Barlettano - secondo il Prosperi nei terreni poggiati sulla crosta calcarea lo scasso a buche risponde benissimo, mentre quello totale si è rilevato dannoso, inquantochè le viti si sviluppano rigogliose nei primi tre o quattro anni e deperiscono rapidamente in seguito per effetto della siccità. Il sistema del palo è stato da me sperimentato da sei anni e per conseguenza non può dirsi ancora l'ultima parola sui suoi risultati. Certa cosa è che in terreni eminentemente rocciosi esso lascia a sperare molto, inquantochè le piante di Rupestris metallica, di 420 A, di 17-37 e di Aramon x Rupestris Ganzin N. 1, presentano una rigogliosa vegetazione, se non superiore uguale a quelli delle viti piantate nelle fossette. Se le future osservazioni confermeranno questo magnifico risultato si potrà ben consigliare ai viticoltori questo sistema abbastanza economico d'impianto nei terreni rocciosi.
Nei territori di Martina Franca, Locorotondo e Cisternino è tramandato da secoli un sistema di scasso, nel quale la parte più profonda è separata da quella superficiale da uno strato di pietre di 25 ed anche 50
cm. Siffatto sistema nella ricostituzione dei vigneti su quelle colline ha dato ottimi risultati.
Vorrei infine accennare all'applicazione degli esplosivi residuati dalla guerra per lo scasso dei terreni, ma rimando i miei gentili ascoltatori alla pregevole pubblicazione della Stazione Agraria Sperimentale di Bari, che fu la prima a studiare questo importante problema.
Soltanto mi sia concesso di affermare che in un vigneto sperimentale istituito da me lo scorso anno in collaborazione con la Stazione predetta in territorio di Noicattaro presso Bari, e precisamente in terreno a strato arabile superficiale, poggiante sul tufo, fu eseguito lo scasso mediante l'applicazione degli esplosivi con risultati abbastanza lusinghieri.
Talee o barbatelle, barbatelle selvagge od innestate?
Nella piantagione dei vigneti dobbiamo impiegare talee o barbatelle?
La questione è molto importante e meriterebbe di essere esaminata da tutti i punti di vista; ma i limiti di tempo concessimi non me lo permettono. Mi si consenta di dirvi che sotto ogni riguardo le barbatelle sono preferibili alle talee. Vediamo intanto che specie di barbatelle occorre preferire, se quelle franche di piede ovvero quelle innestate.
Adoperando le barbatelle selvagge saremo costretti ad eseguire nel secondo anno l'innesto a dimora. In tal caso andremo incontro all'inconveniente, punto trascurabile, di non avere tutta completa la vigna se non dopo qualche anno.
Il fatto di essere obbligati a ritornare più anni di seguito nel vigneto prima di vederne tutti gli innesti attecchiti, costituisce da solo un inconveniente gravissimo, che si risolve in una perdita di tempo e di danaro.
La piantagione di barbatelle innestate e con l'innesto già saldato rende immensamente più facile la ricostituzione ed i nuovi impianti dei vigneti, perchè ci fa
evitare la maggior parte di quegli insuccessi, che si verificano con l'innesto a posto. Non già, intendiamoci, che gli innesti a dimora riescano meno perfetti degli altri, ma è che la loro riuscita non avviene mai molto regolare, ed inoltre lasciano nel vigneto dei vuoti, che è assai difficile riempire.
Molti veggono il pericolo di avere con il sistema delle barbatelle innestate piante poco vigorose, ma è nient'altro che un pregiudizio prodotto da osservazioni superficiali od incomplete. Sulla fede di esso si è ritenuto poter stabilire, quale norma costante, che,
mediante l'innesto a stabile dimora, eseguito uno o due anni dopo la piantagione, si ottengono viti a vigore e produttività superiori a quelli che è possibile conseguire con gli innesti fatti a tavolo. Tutto ciò è cagionato dal fatto che si scelgono come termine di confronto, viti innestate alla stessa epoca, ma di età diversa.
È assurdo voler pretendere che barbatelle, di appena un anno gareggino con innesti eseguiti a dimora su viti già vigorose. Anche a tener conto dei danni inevitabili, che l'apparato radicale di codeste barbatelle ha dovuto subire per il solo effetto del trapianto che le mette provvisoriamente in una condizione di inferiorità, per far i confronti con giusti criteri, occorre guardare alla età delle viti e non soltanto a quella dell'innesto. E qualora si confrontino innesti di due o tre anni eseguiti a, tavolino con viti della stessa età innestate sul posto, e che quindi non abbiano più di uno o due anni di innesto, la differenza di vigore si vedrà che non esiste nella realtà come un fatto costante. Chi avesse tempo e voglia di fare un simile confronto, ad esempio, osservando gli impianti di vigneti sperimentali eseguiti per cura dei Consorzi antifillosserici pugliesi, potrebbe constatare che codesta differenza non è stata mai trovata, mentre nella parte piantata con barbatelle innestate si ammira una perfetta uniformità di vigore e di età.
Siffatti vantaggi ci sembrano tali da rendere preferibile la piantagione delle barbatelle innestate anche quando cosa non ancora provata nei primi anni non fosse possibile ottenere la vegetazione e la produttività che ci possono dare gli innesti a dimora.
Nè si dica che le cure che si richiedono e le difficoltà che bisogna superare per l'impianto di un barbatellaio di piante innestate siano tali da disanimare anche i più volenterosi. Qualunque siano codesti lavori è certo più agevole praticarli nello spazio limitato di un barbatellaio che non in pieno campo.
Il contadino pugliese, in seguito agli insegnamenti pratici impartitigli dal personale tecnico dei Consorzi, è ormai addestrato nella pratica dell'innesto e nelle cure necessarie agli innesti-talea in barbatellaio, al fine di ricavarne le barbatelle innestate.
Nessun dubbio si può ragionevolmente avere sulla sicurezza e facilità di una simile pratica di viticoltura moderna, tanto più che essa non richiede capacità speciale nel contadino innestatore, ma solo un po' di preparazione e della buona volontà.
I diversi metodi d'innesto a posto e la loro applicazione
Dopo che abbiamo dimostrato la preferenza da darsi alle barbatelle innestate ci domandiamo se, di fronte ad
una vasta ed intensa ricostituzione come quella della nostra Puglia, si possa attendere che si prepari l'ingente quantità di barbatelle innestate occorrente o se si debba ricorrere anche all'innesto a dimora per
risolvere egregiamente il poderoso problema.
Secondo il mio modesto parere, la barbatella innestata è il mezzo più semplice e più sicuro per la ricostituzione dei vigneti di coloro i quali non hanno tempo o modo di occuparsi direttamente di questo importante e delicato lavoro di rinnovazione o non dispongono di persone di fiducia, che siano in grado di sorvegliare accuratamente e diligentemente il lavoro d'innesto a dimora. Mentre i coloni e piccoli proprietari, che, per aver frequentato le scuole d'innesto tenute ogni anno dai Consorzi, sono diventati innestatori esperti ed abili, nonchè i grandi e medi proprietari che dirigono personalmente i loro impianti o hanno modo di affidarne la direzione a persone tecniche o per lo meno istruite in elementi pratici di viticoltura, possono ricorrere all'innesto a posto, applicando opportunamente in epoche diverse le migliori forme che nella pratica hanno dato ottima prova. E ciò anche per la ragione che il
materiale viticolo non adatto alla preparazione delle barbatelle innestate (talee da dimora e barbatelle selvagge) deve pur essere impiegato utilmente nella ricostituzione.
Vediamo ora come si regola il viticoltore pugliese nella esecuzione degli innesti a dimora.
Quella a doppio spacco inglese è senza dubbio la forma d'innesto che in Puglia ha avuto la maggiore applicazione. La manualità della esecuzione è nota e mi risparmia quindi di descriverla. Merita invece qualche indicazione l'epoca nella quale questo innesto deve essere eseguito. Finora lo si raccomandava nei climi caldi, come il pugliese, solo nel periodo che corre tra la fine dell'inverno ed il principio della primavera, e più precisamente dal febbraio a tutto aprile.
In questi ultimi anni, sempre ricordando che per ottenere buone saldature occorre un mediocre grado di calore e di umidità, dai Consorzi si fecero con risultati positivi delle esperienze dirette ad utilizzare questo metodo anche nell'autunno e più specialmente dalle fine di settembre a tutto ottobre. La ragione del successo sta nel fatto che al sopraggiungere dei primi freddi la saldatura è già bene iniziata ed alla primavera successiva viene rapidamente completata, in modo che le viti innestate danno subito getti abbastanza vigorosi.
Né gli eccessi di umidità, né i freddi invernali si sono dimostrati dannosi alla buona conservazione delle marze adoperate per gli innesti eseguiti nell'autunno inoltrato, quando si ha cura di mantenere ben coperta la marza stessa col solito cumuletto di terra. Dalla metà di novembre a tutto gennaio deve essere sospeso ogni lavoro.
I viticoltori di Martina Franca, Locorotondo, Cisternino ed Alberobello nella ricostituzione dei vigneti non hanno abbandonato l'antico innesto a spacco totale fatto a 15-20 cm. sotto il livello del suolo. Essi lo eseguono al secondo anno, dall'ottobre al marzo, con una o due marze, avendo cura di tagliare le radichette nate su queste. Quando l'innesto non riesce al primo anno viene ripetuto l'anno seguente a maggiore profondità nello stesso soggetto, e l'operazione viene ancora
ripetuta per la terza volta.
Con questo sistema, che ha dato una ripresa media di circa l'85 %, si ottengono piante robuste e produttive. Resta a vedere se queste piante, con l'andare degli anni manterranno costantemente la vegetazione lussureggiante e la produzione elevata, che offrono presentemente, e se esse dureranno quanto quelle innestate.
L'allarme gettato lo scorso anno dal collega Prof. Cracchiolo, direttore tecnico del Consorzio di Martina Franca e di Taranto, ci dice già che una delle cause dei sensibili deperimenti verificatisi nei vigneti ricostituiti in quel territorio è dovuta alla carie prodottasi nel punto d'innesto, che si è estesa fino a compromettere la saldatura e come conseguenza ha fatto deperire le viti.
L'innesto erbaceo all'inglese non ha incontrato molte simpatie tra i viticoltori pugliesi, sia perché il metodo di potatura usato in Puglia impone di non innalzare troppo da terra il punto di formazione della ceppaia, sia perché è troppo breve il periodo di tempo nel quale può essere applicato.
Invece quello a zufolo è uno dei sistemi d'innesto che ha meritamente incontrato il favore dei viticoltori e che ha acquistato il posto più importante tra gli innesti a gemma nella nuova viticoltura.
I viticoltori però non dovrebbero entusiasmarsi troppo per questo innesto sino al punto da sostituirlo addirittura all'innesto legnoso a spacco inglese. Esso dovrebbe essere usato come innesto complementare e mai come innesto fondamentale, posto questo, che compete all'innesto all'inglese.
Di un altro innesto complementare può servirsi il viticoltore come sussidiario dell'innesto a zufolo, esso è l'innesto a scudo che si può eseguire con la gemma semi-erbacea e legnosa.
L'innesto a scudo semi-erbaceo non ha dato in pratica risultati troppo soddisfacenti. Buoni risultati hanno dato invece le altre due categorie d'innesto a scudo.
Con l'uso opportuno delle diverse forme d'innesto il viticoltore pugliese, che nella ricostituzione non intende servirsi delle barbatelle innestate, ha la possibilità di
eseguire il lavoro degli innesti a dimora per quasi otto mesi dell'anno non solo, ma anche di effettuare sulla stessa pianta per quegli innesti che vengono a mancare, un secondo innesto nello stesso anno.
In questo modo, da febbraio a tutto marzo, come da Settembre a tutto ottobre, egli applicherà come innesto fondamentale l'innesto legnoso a doppio spacco inglese, come complemento nel giugno e luglio l'innesto a zufolo e nell'agosto e settembre quello a scudo. Se alla scalzatura degli innesti legnosi eseguiti in primavera od in autunno per quelli non attecchiti, avrà cura di
allevare uno o due polloni, questi si ingrosseranno abbastanza per poter eseguire ancora l'innesto a zufolo o quello a scudo. Questo metodo dà al viticoltore la possibilità di poter avere in una sola annata le vigne complete e con tutte le piante che entrano in fruttificazione.
Allevamento e potatura delle viti innestate
E veniamo all'allevamento delle viti innestate, per il quale non mancano problemi seri da risolvere. Il più notevole è questo: dovrà conservarsi nella potatura la forma classica dell'alberello pugliese, che si usava per le viti nostrali, o dovranno portarsi delle modificazioni?
È questo il quesito al quale bisogna riconoscerlo, non è facile rispondere a priori. Nessuno potrà certo negare gli indiscutibili vantaggi che questo tipo di potatura poverissima presenta alla nostra regione. Esso risponde non solo alle speciali condizioni, in cui deve svolgersi l'attività vegetativa della vite, ma anche allo speciale tipo di vino che se ne vuole ricavare. È la forma dì potatura per i climi caldi ed asciutti, in cui è necessario la massima economia, nella utilizzazione dell'acqua e la minima dispersione delle materie nutritive.
Questo sistema sarà sempre preferito nei terreni rocciosi oppure in quelli in cui è conveniente produrre uve per vini da taglio. Ma in altre condizioni di terreno e per altri scopi non è possibile conciliare questa potatura troppa povera con il vigore grande che spesso assumono le viti innestate. Altri tipi bisogna adottare. Invece di potare, come nell'alberello pugliese, due soli cornetti o teste con due gemme ciascuno, si potrà adottare l'alberello Ottavi a quattro o cinque speroni, sistema, questo che in Puglia ha dato felicissimi risultati. Ad Andria da un ventennio e più in alcuni vigneti di quel territorio sì pratica siffatto sistema di potatura, e non si e mai manifestato alcun deterioramento alla piantagione, anzi questa si presenta di molto avvantagiata. Il Prof. Prosperi, direttore del Consorzio di Barletta, ha proposto un altro sistema, che egli ha in esperimento da oltre 15 anni nel vivaio consorziale. Esso è il cordone speronato orizzontale, il quale ha di comune con l'alberello il taglio corto dei tralci fruttiferi. Detto sistema è conveniente in Puglia, dove per le speciali condizioni climatiche, le gemme a frutto, cioè quelle fertili, si formano alla base dei tralci.
Nei terreni abbastanza fertili, dove si vuoi fare della viticoltura intensiva ad alta produzione, è da consigliarsi ai viticoltori pugliesi il cordone speronato, il quale diventa l'ideale per le uve da tavola.
Concimazione dei vigneti
In Puglia pochi sono quei viticoltori che, seguendo i suggerimenti del personale tecnico dei Consorzi,
pensano a restituire al terreno gli elementi fertilizzanti sottratti con la raccolta dell'uva ed a stimolare e conservare nelle piante quella salute e quel vigore, che sono garanzia di longevità produttiva. Soltanto in provincia di Lecce nei vecchi vigneti nostrali si applica da anni il sovescio di leguminose concimate con miscela fosfo¬potassica. Resta a vedere se per le viti innestate è da consigliarsi la concimazione che quei viticoltori prodigavano alle vecchie viti nostrali.
Secondo il Prof. Briganti bisognerebbe preferire la concimazione mineraria e quella organica. I Consorzi hanno intraprese esperienze comparative in questo senso, e tra non molto saranno in grado di dare ai viticoltori le conclusioni definitive.
Però dalle prove fatte da me nei terreni di Conversano e Castellana, che sono prevalentemente aridi, con i sovesci di leguminose con concimi fosfopotassici, è risultato che non è prudente escludere in modo assoluto della concimazione la materia organica, la quale, oltre ad introdurvi umidità e ad eccentuare il potere igroscopico del terreno, è fonte di elementi nutritivi ed è ottimo correttivo delle qualità fisiche e meccaniche del terreno stesso.
Le vie nuove della viticoltura pugliese
Altri con più competenza e con più autorità vi hanno parlato dell'indirizzo da dare alla ricostituzione dei vigneti in rapporto ai tipi di vino da produrre.
L'attuale crisi deve persuadere della necessità di proporzionare la media produzione al medio consumo
interno. E i nostri Consorzi possono contribuire a far raggiungere questo utile intento, traendo partito dalla ricostituzione dei vigneti, regolandola e guidandola in modo da far sì che i terreni vallivi, profondi e freschi siano destinati a colture più proficue della vite, la quale dovrà invece trovar posto soltanto nei luoghi, in cui non può essere sostituita con vantaggio da altre coltivazioni e dove potrà produrre tipi di vino veramente pregevoli e ricercati in commercio e la produzione
viticola in armonia con le nuove esigenze del mercato, quello della coltura delle uve da mensa merita tutta l'attenzione dei viticoltori.
La Puglia potrebbe aspirare a conquistare un posto notevole nel commercio di questo prodotto, giacché la precocità e la qualità di esso la mettono in grado di sostenere vittoriosamente la concorrenza di altre regioni, dove la coltura delle uve da tavola non trova condizioni ugualmente favorevoli.
Nella nostra regione la coltivazione delle uve da mensa ha uno sviluppo notevole; la sola provincia di Bari contribuisce alla produzione annua per oltre 100 mila quintali, dei quali prima della guerra ne esportava circa 40 mila.
Il centro più importante e più rinomato per la produzione e il commercio delle uve da tavola è Bisceglie, ricco di importanti Case di esportazione con
stabilimenti grandiosi per la preparazione e l'imballaggio delle uve.
La Puglia ha già quindi la via tracciata per diffondere e sviluppare una delle industrie viticole più sicure e più redditizie. Essa ha favorevole il clima ed il
terreno, specialmente lungo il litorale. Possiede delle varietà di uve, che oltre a trovare le migliori condizioni di sviluppo, sono già conosciute ed apprezzate nei più importanti centri di consumo.
Tra le varietà a produzione precoce, delle quali noi consigliamo una larga diffusione, perché permettono di presentare l'uva sui mercati di consumo quando in altre regioni se ne inizia appena la maturazione, la più diffusa e la più conosciuta è la Turchiesca coltivata sotto diversi nomi specialmente nelle provincie di Bari e Lecce (Turchiesca a Barletta, Baresana a Bisceglie, Bociolo a Conversano, Imperatore a Rutigliano, Lattuaria bianca a Ruvo, Mennangola a Trani, Uva Turca nei dintorni di Bari ed Altamura, Uva rosa nel Salento). A Bisceglie viene iniziata la raccolta di questa uva negli ultimi giorni di luglio.
Altro vitigno, che ha incontrato il favore dei viticoltori pugliesi, è lo Chasselas dorè, che matura pochi giorni prima della Turchiesca. Le prime spedizioni di questa uva fatte da Bisceglie, dove venne introdotta dal Prof. Mignone, furono accolte molto favorevolmente dai mercati esteri di consumo.
Oltre alla Chasselas il Prof. Briganti consiglia di diffondere, sempre nelle contrade bene esposte, la Madeleine Angerine e la Madeleine royale, che sono varietà di uve bianche precocissime a grappolo medio, con polpa abbastanza dura, succosa, molto zuccherina, sapore semplice, a buccia sottile ma resistente, di
colore che dal verde pallido va al giallo oro.
Specialmente la prima di queste due varietà è pregevole per la sua precocità e per il fatto che sopporta bene la compressione dell'imballaggio ed il trasporto a grande distanza. I più eminenti viticoltori francesi la ritengono come la varietà più preziosa che si possa coltivare come uva precoce e consigliano di preferirla nei paesi caldi per effettuare le prime spedizioni perché sarà sempre ricercata per la bellezza e la qualità dei grappoli.
Queste varietà sono presentemente sperimentate dai nostri Consorzi mediante l'innesto sulle viti americane.
Un altro vitigno che converrà diffondere nei nuovi impianti lungo il litorale è il Trebbiano, che è coltivato a Bisceglie, dove produce bene e matura i suoi grappoli con qualche giorno di precedenza e più
completamente e meglio di quello che si raccoglie negli Abruzzi.
Il Trebbiano è stato da me introdotto anche a Conversano, Rutigliano, Monopoli e Castellana. Esso si è mostrato anche un ottimo vitigno da vino, per cui può avere quella delle due destinazioni che ci offre il maggiore tornaconto.
Per competere con l'uva di Almeria sui mercati della Gran Bretagna e degli Stati Uniti di America il Prof. Briganti consiglia di estendere nelle zone più aride, dove il prodotto risulterebbe lungamente conservabile, la coltivazione della Catalanesca, che ha con essa caratteri di somiglianza, e di provare se lo Zibibbo ed il Moscato di Terracina, raccolti sempre prima delle piogge, si adattino ad essere conservati in barili con segatura di sughero, secondo il sistema spagnuolo.
La Catalanesca per suggerimento dello stesso Prof. Briganti - viene provata in alcuni vigneti sperimentali del Consorzio di Bari. Se le prove riuscissero i viticoltori dovrebbero diffondere questa varietà per conquistare un magnifico posto sui mercati inglesi e nord-americani.
Tutte le varietà suindicate dovrebbero costituire la base della nostra esportazione. Ad esse si potrebbero aggiungere il Moscatellone e la Mennavacca che si
prestano particolarmente alla confezione dell'uva passa tipo Malaga e le uve tardive più pregevoli quali la Prunesta, l'Insolia bianca e nera, la Corniola nera e bianca.
Però perchè la coltivazione delle uve da tavola in Puglia possa assumere proporzioni ed importanza economica notevoli è necessario indirizzare la coltivazione stessa con vigorosi criteri tecnici e speculativi e migliorare l'organizzazione commerciale.
Di altri problemi non meno importanti di quelli da me trattati così rapidamente come quelli che si riferiscono agli ibridi produttori diretti, all'impianto dei vigneti dove di recente sono state estirpate le vecchie vigne fillosserate, al rimpiazzo delle fallanze, al commercio delle viti americane, al roncet, vorrei parlarvi se non avessi ritardato a Voi la trattazione di una questione ben più interessante, che decide della maggiore o minore attività in questo poderoso lavoro della ricostituzione del vigneto pugliese: intendo parlare dei
contratti di colonia viticola (Musei G., 1921).
|